martedì 14 aprile 2020

librerie ancora chiuse?

Siamo librai, non simboli
Il nuovo decreto preannunciato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte prevede per il 14 aprile la riapertura delle librerie, riconosciute da più fronti come presidi sociali e luoghi essenziali per il tessuto culturale del nostro Paese.
Come libraie e librai siamo contenti di questa improvvisa attenzione al nostro lavoro, ma ci sarebbe piaciuto ci fosse stata anche prima delle misure governative per il contenimento della pandemia e, soprattutto, ci piacerebbe ci fosse dopo: se siamo dei luoghi essenziali del tessuto culturale italiano, allora sarebbe il caso che questa funzione ci fosse riconosciuta sempre e in modo strutturale, attraverso una serie di misure economiche a sostegno delle nostre attività nel quotidiano.
Mentre sono ancora in vigore misure che costringono le persone dentro casa e sospendono la mobilità, viene chiesto a noi librai e, di conseguenza ai nostri lettori, di tornare a muoverci per raggiungere le librerie.
Ci siamo adoperati tutti quanti, come cittadini prima di tutto, a rispettare le regole, a proteggere gli altri e noi stessi, ci siamo fermati e abbiamo pensato, cercando modi alternativi di continuare a fare rete, cultura e dove possibile servizio.
Ci siamo re-inventati sui canali digitali, abbiamo raccontato libri a distanza, abbiamo studiato le formule giuste per permettere ai libri di arrivare alle porte delle persone senza mettere in pericolo nessuno, abbiamo messo in atto modalità, come quella delle consegne e spedizioni a domicilio, in assenza di un contesto normativo chiaro e unitario, per non perdere il contatto con i lettori.
Se alla decisione di riaprire possono aver contribuito lettere e appelli che fanno forza sul valore e sul conforto culturale del libro, la prima domanda da porsi è: a quali condizioni? E perché tra le firme di questi appelli mancano proprio quelle dei librai?
In merito alla proposta di riaprire le librerie, molte e molti di noi nutrono una serie di dubbi e perplessità che ci piacerebbe fossero sciolti:
1. Sono state previste delle indicazioni precise per la sicurezza del nostro lavoro, come l’adozione di specifici dispositivi? E nel caso: quali? Il lavoro del libraio, infatti, prevede un tempo lungo della comunicazione verbale faccia a faccia, una pratica che, se non precisamente regolata, comporta in questo momento degli evidenti rischi di sicurezza sanitaria. Inoltre è buona abitudine di chi frequenta le librerie prendere, toccare, manipolare una gran quantità dei libri presenti sui nostri scaffali. È stata pensata una procedura per la sanificazione di libri e ambienti? Senza contare l’inevitabile ripresa dell’attività di tutti i lavoratori (corrieri, logistica, promotori ecc.) coinvolti nel funzionamento della filiera e la cui salute va tutelata al pari di quella di chiunque altro.
2. È stato considerato cosa significhi, dal punto di vista della sicurezza sanitaria, fare muovere tutti i librai e le libraie d’Italia verso i loro luoghi di lavoro, e tutti i nostri lettori in direzione delle librerie, in tempi in cui viene chiesto a tutti i cittadini italiani di restare a casa il più possibile? Andare in libreria implica che i lettori escano di casa, scendano in strada, salgano in macchina o sui mezzi pubblici, passino del tempo tra gli scaffali a maneggiare libri e a cercare dialogo e confronto con noi librai. La scelta di un libro avviene per contatto diretto, per passaggi di mano e di idee. Come gestire tutto questo?
3. Malgrado la riapertura delle librerie restano comunque in vigore le misure restrittive che limitano la libertà di movimento e circolazione delle persone. Andare a comprare un libro sarà una giustificazione valida per uscire, esattamente come andare al supermercato?
4. È stato considerato cosa significhi in merito alla possibilità di concordare sulla base dell’art. 1623 c.c una congrua riduzione dei canoni di affitto delle nostre attività, l’intervento di una disposizione che ci dà facoltà di riaprire ma a fronte di una prevedibile e consistente riduzione delle vendite? Aiutare le librerie, in quanto riconosciuti luoghi di produzione di cultura, non prevedrebbe invece la possibilità di una norma che consenta ai proprietari dei nostri locali di godere loro di un credito di imposta equivalente alla riduzione che ci accorderebbero sulle pattuizioni contrattuali relative al canone di locazione ed alle spese relative?
5. Perché non creare un fondo nazionale o una partnership con i servizi postali, simile nella premessa alle iniziative attualmente sostenute dal contributo libero degli editori, ma su finanziamento statale, per aiutare le librerie a sostenere la gestione economica delle forme alternative di vendita attualmente in atto (spedizioni fuori città, spedizioni a domicilio ecc.)?
6. In questo momento sono attive delle misure di welfare (possibilità di cassa integrazione straordinaria, accessi a contributi pubblici, agevolazioni fiscali) pensate per contribuire alla sostenibilità economica degli esercizi commerciali. Quali certezze abbiamo che queste misure verranno mantenute anche dopo la riapertura “simbolica”?
Riaprire le librerie non può essere considerato un puro gesto simbolico, ma deve essere un’azione strutturata e gestita nella sua complessità, così come dovrebbe avvenire per tutte le altre attività necessarie alla vita sociale.
Le librerie sono dei presìdi culturali che vivono costruendo relazioni, dei luoghi che hanno un peso nella creazione di comunità culturali e sociali, spazi che creano dibattiti, lavorano alla promozione e alla diffusione della lettura e della cultura in senso ampio, organizzano eventi e occasioni di confronto. Quando una libreria viene disarticolata da questo tessuto connettivo, quando non si guarda al complesso di attività che svolge e la si riduce a mero luogo di vendita delle merci non solo si tradisce il ruolo che riveste nel territorio ma si fa finta di non vedere la differenza tra consumo e fruizione, tra cliente e cittadino.
Tanti di noi hanno continuato a lavorare senza alcuna certezza di sostegno economico, ad altri non è stato possibile portare avanti il proprio lavoro nel quotidiano, ma NON abbiamo mai smesso di fare cultura: abbiamo continuato a dialogare con la nostra comunità di lettori attivando tutti i mezzi a nostra disposizione. Ora non abbiamo intenzione di esporci al solo scopo di fingere una “ripresa culturale delle anime” che ci potrà essere davvero solo quando sarà possibile la messa in sicurezza di tutti i corpi.
In mancanza di garanzie sulle richieste qui avanzate molti di noi si riservano di non riaprire comunque l’attività nemmeno dopo l’entrata in vigore del decreto, finché non sarà possibile esercitare il nostro lavoro nelle condizioni e con le tutele adeguate.




Se le librerie diventano specchietti per le allodole della politica - Marirosa Pili

L’Adei (Associazione degli editori indipendenti) si era espressa negativamente riguardo la riapertura delle librerie subito dopo la pubblicazione dell’appello pubblicato dal manifesto nazionale che la auspicava. Il perché principale è il rischio oggettivo di trasformare, soprattutto per i colleghi e le colleghe del nord Italia (ma anche per Cagliari, che purtroppo negli ultimi giorni vede rialzarsi la curva dei contagi), le librerie in luoghi di oggettivo rischio sanitario.
Chiudere le librerie fa soffrire una filiera intera (come del resto vale per qualsiasi settore commerciale), quindi oltre ai librai soffrono editori e distributori. Non è a cuor leggero che molti e molte del settore si esprimono negativamente sulla riapertura. Ali (Associazione librai italiani) si esprime favorevolmente, lasciando alle singole librerie la scelta se aprire o meno durante una pandemia.
Ci si chiede se questa retorica stucchevole del libro che lo definisce “cibo per la mente”, o che definisce le librerie “farmacie per l’anima”, tenga conto delle problematiche oggettive di una libreria che deve aprire a città deserta. È stato senza dubbio un appello in buona fede, ma che non ha tenuto conto delle difficoltà e dei rischi a cui si espone chi sta in front office e in back. Riaprire le librerie significa anche riaprire i magazzini di distribuzione le consegne dei corrieri e molto altro.
Personalmente trovo ridicolo definire essenziale un’attività come quella delle librerie. Davvero non ci vedo come supereroi, come medici, infermieri, personale sanitario, addetti alle vendite di beni realmente essenziali, corrieri, rider, operatori ecologici. In effetti durante le epidemie di epoca moderna c’erano i menestrelli, adesso potremmo sostituirli noi, ergendoci a eroi e eroine salvatori e salvatrici della cultura ma, ahinoi, in un paese di non lettori. Fa davvero sorridere questa priorità.
Innanzitutto facciamo i conti col fatto che la libreria ormai si rivolge a un segmento di mercato molto preciso, il lettore e la lettrice forte. I lettori forti non hanno pilette di libri non letti in casa? Sembra strano dai professionisti e dalle professioniste dello tsundoku. E davvero pensiamo che il lettore debole, in piena recessione economica, andrà a creare file di decine di metri fuori da una libreria aperta?
La libreria aperta, come una qualsiasi attività commerciale, comporta dei costi (per esempio di personale) che vanno sostenuti, ci si chiede come, con le vie deserte.
Anche la libreria con la clientela più fidelizzata risente del passaggio e del movimento cittadino, nessuno ha messo in conto che in questo momento questo elemento potrebbe essere determinante?
La libreria in cui lavoro si è momentaneamente appoggiata a un’edicola. La risposta dei clienti è stata positiva più di quanto ci si aspettasse, ma è una risposta positiva lontana da quella che dovrebbe essere una fonte di sostentamento reale e dalla media degli incassi a pieno regime. Stesso discorso per i distributori, riapriranno il conto pagamenti ora che le librerie possono riaprire?
Questa arbitrarietà nella scelta di riaprire o meno lascia diritto a chi decide di non farlo di accedere a forme di tutela economica come ad esempio la cassa integrazione? Quali misure di sanificazione locali si dovranno adottare? Quali premure per la tutela degli operatori e delle operatrici, oltre che ovviamente dei clienti, si dovranno prendere in questa situazione?
Già alcuni e alcune di noi avevano perplessità sulla selezione dei metodi di vendita di beni più o meno essenziali. Il commercio online, Amazon in primis, continua a poter vendere l’inutile dell’inutile, in barba alle attività fisiche chiuse in città e al diritto alla salute dei loro lavoratori e dei corrieri, esposti per dei beni qualsiasi. Confindustria sembra essere l’unica immune alle riflessioni dei sociologi su questo momento storico.
Adesso il libraio e la libraia diventano anche un simbolo di “ripartenza” e ancora si fa coincidere il nostro mestiere con una romantica vocazione, al di là di mere esigenze economiche. Ma allora davvero riapriamo anche le chiese il giorno di Pasqua. Se la cultura intesa nel senso più stereotipato del termine deve illuminare, allora anche la fede religiosa forse (specifico che sono sarcastica, a scanso di equivoci). E che si tratti di becero stereotipo lo dimostra il fatto che si sia pensato solo alle librerie per questa ripartenza culturale, non alle biblioteche, non ai musei, non a qualsiasi altro settore della cultura, che forse non ha un’icona così vintage, e perché vintage accattivante, come il libro cartaceo.

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