venerdì 24 aprile 2020

Pandemia da coronavirus. Evento inatteso ma non imprevedibile - Francesco Carta



La pandemia da coronavirus (COVID-19) è un evento inaspettato ma non del tutto imprevedibile. Era forse imprevedibile in queste dimensioni.
Sei mesi fa l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) scriveva “La pandemia incombe”. Lo ricorda Davide Milosa, in un articolo pubblicato su il Fatto quotidiano il 17 marzo 2020. Lo scorso settembre l’OMS incaricò un gruppo di esperti (Global Preparedness Monitoring Board) di redigere un rapporto da titolo predittivo A world at risk (“Un mondo a rischio”). Il piano può essere visionato su internet come rapporto annuale dell’OMS. Gli esperti scrivono: “La malattia prospera nel disordine, le epidemie sono in aumento e lo spettro di un’emergenza sanitaria globale incombe su di noi […] C’è una minaccia molto reale di una pandemia in rapido movimento, altamente letale, di un agente patogeno respiratorio che uccide da 50 a 80 milioni di persone e spazza via quasi il 5% dell’economia mondiale […] Il mondo – scrivevano gli esperti dell’OMS – deve stabilire sistemi necessari per individuare e controllare potenziali focolai di malattie”.  Nello studio sono state esaminate la pandemia della febbre suina (H1N1) e l’epidemia dell’Ebola. Molte delle raccomandazioni non sono state attuate. Tra il 2011 e il 2018 l’OMS ha seguito 1.483 eventi epidemici in 172 Paesi: Sars, Mers, Ebola, febbre gialla. Tutti questi studi annunciavano “una nuova era di epidemie ad alto impatto e potenzialmente a diffusione rapida”.  A settembre era già scritto: “Gli agenti patogeni si diffondono attraverso le goccioline respiratorie; possono infettare un gran numero di persone molto velocemente e, con le odierne infrastrutture di trasporto, si spostano rapidamente in diverse aree geografiche” […] “La grande maggioranza dei sistemi sanitari nazionali non sarebbe in grado di gestire un grande afflusso di pazienti infettati da un agente patogeno respiratorio capace di una facile trasmissibilità e di un’elevata mortalità”.
Lascio ai tecnici la valutazione del rapporto annuale dell’OMS. Penso di potere affermare che la pandemia in corso non era del tutto imprevedibile, anzi era attesa, per quanto non nelle dimensioni attuali.
Per un approfondimento segnalo l’intervista al Professor Ernesto Burgio[1] trasmessa da Radio Onda Rossa di Roma il 21 marzo 2020, dove egli ha espresso concetti chiari e comprensibili anche ai non addetti ai lavori[2].
Solo un servizio sanitario pubblico può affrontare una situazione pandemica dagli esiti imprevedibili per l’Italia, la Sardegna e il mondo intero. La difesa della vita e della salute delle persone nel nostro pianeta non può essere affrontata dai singoli stati. Nell’era della globalizzazione la pandemia ha avuto una diffusione rapidissima, in quanto il virus viaggia rapidamente con le persone da un continente all’altro; non si sposta a piedi come accadeva nelle altre grandi epidemia (peste, colera , spagnola) bensì in aereo, sorprendendoci per la sua rapidità.
Quanto la pandemia in corso sia in grado di determinare danni sociali ed economici a livello mondiale lo stiamo sperimentando.
In un articolo di Gael Giraud pubblicato sulla rivista Civiltà Cattolica e riproposto da il Manifesto Sardo nel mese di aprile 2020 viene evidenziata e dimostrata in modo inoppugnabile l’importanza della Sanità pubblica per contrastare questa e possibili future epidemie e pandemie, che gli esperti ci segnalano. Giraud sostiene che nessun sistema economico possa sopravvivere senza una sanità pubblica forte e adeguata. La salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno.
La pandemia da Covid-19  ha evidenziato l’insufficienza del nostro sistema sanitario, che ha avuto gravi difficoltà ad  accogliere le richieste derivanti da un numero imprevisto di malati e di ricoveri  ospedalieri, specie  nelle terapie intensive. Trasformare un sistema sanitario pubblico in aziende sanitarie e industria medica in fase di accelerata privatizzazione si sta rivelando un grave problema. Giraud ricorda che prevenire eventi come la pandemia non è redditizio, a breve termine, ma è indispensabile per la collettività.
L’impreparazione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è aggravata dalla tendenza alla privatizzazione nella sanità grazie alla forte pressione delle aziende private e  delle multinazionali della salute. Queste scelgono di realizzare affari investendo nella sanità, certi della benevolenza e della complicità di una classe politica bipartisan che negli ultimi decenni ha deciso di ridurre il peso del servizio pubblico, i posti letto e il personale, lasciando alle aziende private settori importanti che permettono loro di realizzare grossi profitti e affari, tramite le convenzioni.
Giraud sostiene che l’ideologia dello smantellamento del servizio pubblico crea gravi danni e oggi si manifesta per quello che è, cioè un’ideologia che uccide.
In Italia il coronavirus ha colpito inizialmente le regioni più sviluppate del paese, regioni ricche e avanzate, dove le privatizzazioni nella sanità hanno  assunto dimensioni consistenti. Anche il tanto decantato sistema sanitario lombardo ha dimostrato la sua inadeguatezza, fortemente ridimensionato. Gli ospedali anziché essere luogo di cura spesso sono luogo di diffusione di malattia. Se poi analizziamo le strutture residenziali per anziani e pazienti fragili il quadro si fa ancora più drammatico.
Il SSN è stato ridimensionato ma è pur sempre presente e ha dato risposte a questa emergenza grazie allo spirito di abnegazione, dedizione e professionalità del personale, che in questi decenni ha subito un forte ridimensionamento.
Fra il 2010 e il 2019 il SSN “ha perso” 45.000 posti letto e 43.386 dipendenti, di cui 7.625 medici e 12.556 infermieri: questo è i risultato del definanziamento cumulato in questo decennio pari a 37 miliardi di euro. Carenze e inadeguatezze strutturali e strumentali, chiusura di reparti e ospedali pubblici completano il quadro. Si tratta di dati spaventosi, elaborati da Medicina Democratica su dati forniti da Fondazione GIMBE e Istituto di Ricerca NEBO.
I sostenitori delle  politiche bipartisan di fiscal compact e pareggio di bilancio, dettate dalla UE e fatte proprie dagli Stati,  oggi si devono ricredere e arrivare alla conclusione che  i parametri che hanno  guidato la politica europea sono inadeguati e nemici della salute pubblica. È necessaria una svolta, un diverso paradigma di politiche sociali che difende e sostiene il bene più prezioso che abbiamo: la vita e la salute dell’uomo singolo e associato. Lo stato sociale (welfare state) è nato in Europa ed è un suo elemento costitutivo, rinunciare ad esso equivale a mettere in discussione l’esistenza stessa  della UE.
L’economia ha avuto un grande peso nelle scelte degli Stati con le politiche neoliberiste e i governi si sono affidati completamente al libero mercato, rinunciando ad un ruolo di programmazione. Oggi la politica, per affrontare l’epidemia in corso si affida alle competenze e alla scienza: è un importante passo avanti. Dobbiamo tuttavia ricordare che la pandemia in corso non è stata prevista dalle classi dirigenti, ma nemmeno dal mondo scientifico internazionale, che pure era stato avvisato e allertato sui pericoli di possibili pandemie. Conseguentemente si sarebbero dovuti allertare gli Stati e le istituzioni internazionali: affidarsi alle evidenze scientifiche per guidarci nelle scelte che riguardano la vita e la salute pubblica è fondamentale. Esse ci dicono che l’epidemia in corso è causata da un virus di origine animale che ha subito delle modificazioni ed è arrivato a diffondersi tramite le cellule umane. Sarà la scienza a indicarci la giusta strada, quella scienza al servizio dell’uomo e della collettività, non del profitto.
Il bollettino della Protezione Civile ci aggiorna quotidianamente sulla diffusione dell’epidemia, sui nuovi casi e sui deceduti. Al 19 aprile 2020 in Sardegna 1.178 persone hanno contratto il virus, 86 sono decedute. In Italia 175.925 persone hanno contratto il virus, 23.227 sono decedute.                                       A livello mondiale 2.347.875 sono i casi confermati e 161.402 i decessi[3]. In due mesi in Lombardia sono morti 11.851 civili, quasi il 50% dei decessi in Italia sono avvenuti in questa Regione.
Voglio ricordare il contributo di medici, rianimatori, infermieri, operatori sanitari, tecnici del SSN in tutta Italia e in particolare in Lombardia. Ad oggi 19 aprile, i medici deceduti sono 131, di cui 70 sono medici di base, che rappresentano oltre il 50% dei deceduti nella categoria dei medici[4]; gli infermieri 34; i farmacisti 10. Costretti a lavorare a mani nude senza Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), per diversi mesi, guidati dallo spirito di dedizione per contribuire a salvare vite umane.
Mettere in sicurezza il personale sanitario è il presupposto per affrontare un’epidemia, dotandolo di DPI per tutelare la salute degli operatori ed evitare la diffusione della malattia. Come dimostra l’esperienza della Lombardia, anche  in  Sardegna oltre il 40% dei positivi al COVID-19 sono  operatori sanitari. Nei giorni scorsi abbiamo avuto  il primo medico deceduto in Sardegna a causa della malattia virale, Nabeel Kaher, stimato medico, dalle grandi doti umane e professionali. Un altro medico è deceduto a Sassari: era in pensione ed è stato richiamato in servizio.
In un’intervista al Sole 24 Ore di fine marzo il Presidente della Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta,  afferma: “I numeri dimostrano che abbiamo pagato molto caro il prezzo dell’impreparazione organizzativa e gestionale all’emergenza: dall’assenza di raccomandazioni nazionali ai protocolli locali assenti o improvvisati; dalle difficoltà di approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (DPI), alla mancata esecuzione sistematica dei tamponi agli operatori sanitari; dalla mancata formazione dei professionisti sanitari all’informazione della popolazione […] Tutte queste attività, inclusa la realizzazione di piani regionali, erano previste dal ʿPiano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzaleʾ predisposto dopo l’influenza aviaria del 2003 dal Ministero della Salute e aggiornato al 10 febbraio 2006 […] È inspiegabile, continua il presidente, che tale piano non sia stato ripreso e aggiornato dopo la dichiarazione di emergenza nazionale, lo scorso 31 gennaio”. Conclude dicendo: “ Confidiamo che l’Istituto Superiore di Sanità proceda ad una revisione del documento per garantire la massima protezione di professionisti e operatori sanitari, che tutte le Regioni dispongano di effettuare i tamponi a tutti gli operatori in prima linea contro l’emergenza e che la fornitura di mascherine per medici, operatori sanitari e pazienti sia adeguata secondo quanto previsto dalle migliori evidenze scientifiche”. In Sardegna solo la scorsa settimana gli operatori sanitari sono stati dotati di un minimo di dispositivi di protezione individuale (DPI).
La mancata e tardiva predisposizione di accessi separati e dedicati ai pazienti COVID-19 ha ulteriormente aggravato i numeri dei contagiati tra i sanitari e i ricoverati per altre patologie.
Nella nostra isola, come purtroppo è noto, il numero degli operatori sanitari infetti, soprattutto in ambito ospedaliero, ha toccato la scorsa settimana il 40,81% sul totale dei positivi,  un primato drammatico rispetto alla media nazionale di circa il 10%.
L’alto tasso di letalità in Lombardia causato dal COVID-19, con percentuali superiori al resto d’Italia, è dovuto, secondo gli epidemiologi e virologi, al sistema sanitario saturo,  allo scarso numero di tamponi, all’età avanzata della popolazione e alla tardiva chiusura delle attività produttive a causa dell’opposizione di settori imprenditoriali e industriali. Carlo Bonomi, eletto il 16 aprile Presidente di Confindustria, ha criticato il Governo in quanto “in ritardo sul riavvio”.  Senza programmi di sicurezza non si possono riavviare le imprese. Ancora una volta si vuole anteporre le esigenza di profitto alla salute e alla sicurezza dei lavoratori e della collettività.
Dati dell’OMS ci dicono che in Cina se il blocco totale fosse stato applicato una settimana prima si sarebbero ridotti i casi di malattia di oltre il 50%, se si fosse applicato un mese prima la percentuale di casi  si sarebbe ridotta considerevolmente e non avrebbe avuto un impatto così rilavante.
Si rende sempre più evidente che l’elevato numero di infetti, malati, ricoverati in terapia intensiva e deceduti è da attribuirsi a una mancata predisposizione di programmi di prevenzione e sicurezza, a una mancata e tardiva dotazione del personale sanitario dei DPI, a un’assenza di accessi separati e di strutture dedicate ai pazienti COVID-19.
Manca una cultura della prevenzione e della sicurezza nei luoghi di lavoro: va creata per affrontare possibili e probabili future epidemie e le istituzioni si devono dotare di piani nazionali e regionali di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Solo la sanità pubblica, con un forte  SSN, può dare queste risposte e tutelare la salute dei singoli e della collettività. È necessaria un’inversione di tendenza sulle politiche sanitario e di welfare state. Non devono essere più come prima.

Francesco Carta è un medico, presidente regionale di Medicina Democratica Sardegna

[1] Esperto di epigenetica e biologia molecolare, Presidente del Comitato scientifico della Società Italiana di Medicina ambientale (SIMA) e membro del Consiglio scientifico di European Cancer and Environment Research Institute (ECERI) di Bruxelles.
[2] Per l’intervista trasmessa da Radio Onda Rossa si veda il link: https://www.ondarossa.info/redazionali/2020/03/coronavirus-origini-effetti-e; per un ulteriore approfondimento si veda l’intervista riportata su “Business Insider Italia” dell’ 8 aprile 2020 al seguente link:
[3] Fonte: Protezione Civile e Regione Autonoma della Sardegna.
[4] Fonte: Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCEO).


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