Trump viene invitato a Parigi da Macron per il
Centenario della Grande Guerra ma non è il benvenuto. Immagine ripresa da
Flickr/Jeanne Menjoulet in licenza CC. Alcuni diritti sono riservati
Nel 2017, il Partito Laburista inglese si era
impegnato a creare in Inghilterra un National Education
Service al fine di “avanzare
verso un’istruzione dalla culla alla tomba che fosse gratuitamente
fruibile” e che
comprendesse anche l’abolizione delle tasse scolastiche. Appena al di là del
Canale della Manica, la Francia, che
vanta da sempre un sistema d’istruzione gratuito a vita, vede oggi questo stesso sistema
soffrire a causa di scarsi
finanziamenti.
Per noi autori (una di nascita
francese, l’altro inglese) entrambi i sistemi sono stati fondamentali e hanno significato:
l’apertura verso nuovi mondi, la possibilità di riorientamento delle nostre
vite e un modo per riaccendere quell’avida curiosità che segna la fine della
nostra infanzia. Tuttavia, ora è proprio la base universale di tale modello ad essere minacciata.
Lo scorso 19 novembre, il Primo Ministro francese,
Édouard Philippe, ha annunciato nuovi piani governativiche vedono un aumento astronomico delle
tasse universitarie per gli studenti non comunitari. Finora, infatti, il Paese di
provenienza non incide sui contributi universitari che, annualmente, ammontano
a circa 170 € per le lauree triennali, 243 € per quelle magistrali e 380 € per
i dottorati di ricerca. Ora invece il Governo prevede di aumentare le tasse per
gli studenti extraeuropei: 2770 € all’anno per la triennale e 3770 € per
specializzandi e dottorandi.
#BienvenueEnFrance (“Benvenuti in Francia”), è
questo l’hashtag che, attraverso una dedica in chiave ironicaalla politica di Trump, introduce la serie di misure riguardanti l’aumento
delle tasse. L’obiettivo dichiarato dal
Governo è quello di incrementare, entro il 2027, il numero di studenti stranieri da 324.000 a 500.000 nonostante un rincaro delle
tasse di almeno dieci volte.
Il modello anglo-americano
Visto dalla prospettiva del modello inglese dell’istruzione superiore – elitario, a pagamento e nazionalista – sarebbe normale restare più
colpiti dalla parziale apertura dell’attuale sistema francese piuttosto che dai
cambiamenti proposti. Effettivamente, un confronto tra i due modelli
rappresenta un’azione preveggente perché sembra sempre più chiaro che
l’obiettivo della mossa del Governo Macron sia quello di importare nel Paese il modello anglo-americano di
istruzione superiore.
All’inizio di quest’anno, il Governo ha introdotto
dei criteri di selezione più
rigidi per i
diplomati che desiderano andare all’università. Un’azione simile è stata
ampiamente vista come un allontanamento
dall’idea di un tipo di scuola non selettiva e comprensiva, alla base delle università pubbliche francesi. Il
principio di non selezione – incarnato dall’Università Paris 8 e istituito in
seguito ai movimenti studenteschi del ’68 come un esperimento di istruzione
aperta al popolo – è stato sempre minato sia dagli scarsi finanziamentiricevuti, sia dall’esistenza delle Grandes Écoles (un piccolo gruppo di Istituti
altamente selettivi ed elitari come l’École Normale
Supérieure).
Eppure, questo principio continua ad influenzare fortemente i dibattiti sul futuro dell’istruzione
superiore in Francia. In realtà, le prime due misure del Governo riguardanti le
università – accrescere la loro selettività e tracciare confini
finanziari – segnano un cambiamento preoccupante nell’ambito della mobilità studentesca.
Minaccia esistenziale
Come scrive il sociologo Éric Fassin sul
quotidiano Le Monde, l’obiettivo
dell’ultima misura governativa risiede palesemente nella
volontà del Governo di attirare i
più ricchi e respingere i più poveri. Sebbene
il numero delle borse di studio per gli studenti esteri godrà di un loro
aumento da 13.000 a 21.000, questo non sarà che una goccia nel mare in quanto,
oggi, gli studenti stranieri sono circa 324.000.
E anche se il numero delle borse di studio andasse a
compensare l’aumento delle tasse, l’introduzione dellaverifica dei mezzi economici costituisce sempre una minaccia
esistenziale al principio dei servizi universali pubblici: una volta che si
inizia a indagare chi dovrebbe pagare e chi no, si imbocca l’ambigua strada verso laprivatizzazione.
In concomitanza con l’insufficiente aumento
nell’erogazione di borse di studio, Édouard Philippe, ha dichiarato
l’intenzione del Governo di voler attirare più studenti provenienti da “Paesi emergenti (quali Cina, India, Vietnam e Indonesia) e quelli non francofoni dell’Africa sub-sahariana”. E ciò è in netta contrapposizione con
l’attuale tipo di popolazione studentesca straniera.
Delle 10 nazioni che mandano la maggior parte degli
studenti in Francia, 6 sono Paesi dell’Africa francofona con studenti africani
che, generalmente, costituiscono circa il 45%. Questi sono gli studenti che il
Governo spera di riuscire a dissuadere dallo studiare in Francia: i figli delle sue ex colonie.
Tradizione repubblicana
Tutto questo affonda le sue radici in quello che
alcuni considerano una consolidata
tradizione repubblicana: ovvero se
si sa parlare il francese e si hanno le qualifiche, si può studiare nel Paese
praticamente con pochissimo. Tale tradizione – che ha funto, inizialmente,
da strumento coloniale nella formazione delle élite
governative delle colonie francesi e, in seguito, da misera forma di riparazione post-coloniale – ha contribuito all’emergere
di alcuni dei più noti pensatori e scrittori degli ultimi decenni: Achille Mbembe, Albert Memmi, e René Depestre, giusto per citarne alcuni.***
Al fine di compensare, il Governo francese sta
proponendo di contribuire allo sviluppo
degli Istituti d’istruzione superiore al di fuori
dell’Europa. Sebbene
questa mossa potrebbe essere ben accetta tra coloro che preferiscono studiare
nel proprio Paese natale, la proposta presenta, comunque, dei problemi. Si
tratta non solo di un tentativo di rafforzare l’influenza globale della francophonie (che cerca di raggiungere la stessa
diffusione nel mondo delle più note Università americane o inglesi), ma anche
di limitare le dinamiche dell’attuale decolonizzazione nelle stesse ex métropoles. Come afferma in una famosa
frase Stuart Hall, “siamo qui perché voi eravate lì”.
La stessa è stata più volte pronunciata dagli studenti
delle ex colonie che erano presenti al meeting indetto poco dopo l’annuncio da
parte del Governo. Il tentativo di aumentare le tasse per gli studenti
provenienti dalle ex colonie rappresenta un cambiamento forzato delle attuali dinamiche di decolonizzazione – un processo in corso non
solo nelle ex colonie ma anche negli ex centri di potere coloniale.
Patriottismo come apertura?
La pura e semplice ipocrisia di una tale mossa è tanto
più scioccante se si pensa alla posizione internazionalista di Macron a livello mondiale. Solo il mese scorso, durante
la visita di Trump a Parigi in occasione del Centenario della fine della Prima
Guerra Mondiale, il presidente francese era impaziente di denunciare il nazionalismo economico a favore di un vago concetto
di patriottismo come apertura.
Che questo poi coincida con l’aumento delle tasse
universitarie per gli studenti non comunitari, ci rivela tutto ciò che c’è da
sapere sugli aspetti elitari dell’internazionalismo neoliberista.
*** Non menzioniamo qui
figure come Frantz Fanon e altri in quanto la Martinica resta, sul piano
amministrativo, parte della Francia.
[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Constance Laisné e Gabriel Bristow su openDemocracy]
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