“… Il riconoscimento
della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro
diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della
giustizia e della pace nel mondo…”. Sono le parole del preambolo della
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (acronimo inglese UDHR – Universal Declaration of Human Rights), promulgata
settant’anni fa, il 10 dicembre 1948.
Queste parole si supponeva che riflettessero una nuova comprensione delle cause
della guerra e un impegno riguardo ai più alti valori della “comunità
internazionale”.
L’UDHR è
stato il primo maggior strumento prodotto dalle Nazioni Unite (ONU), un’istituzione
anche essa creata alla fine della seconda guerra mondiale. La sua creazione fu
salutata come qualcosa che avrebbe dato sostanza istituzionale alla promessa da
parte degli stati membri di promuovere la cooperazione internazionale, per
impegnarsi in relazioni pacifiche tra gli stati e per rispettare i diritti
umani e le libertà fondamentali.
Secondo
Eleanor Roosevelt, moglie del presidente Roosevelt e rappresentante degli Stati
Uniti nella Commissione dell’ONU per i Diritti Umani, cioè la struttura responsabile
della creazione dell’UDHR, la dichiarazione rifletteva quei diritti naturali ed
eterni che, tuttavia, non erano sempre visti ma che nelle circostanze
appropriate potevano essere rivelate e coltivate.
Molti pensarono che l’UDHR con il suo impegno per la
libertà di pensiero e di parola, di assemblea, per l’istruzione, la previdenza
sociale per tutta la vita, la assistenza sanitaria, per il diritto alla
cultura, rappresentava la speranza di una
comunità internazionale che aveva imparato dalla carneficina della Seconda
guerra mondiale, che era cresciuta e che era pronta a focalizzarsi
collettivamente sulla dignità di tutti.
Settant’anni dopo, la testimonianza storica è chiara. Invece di riconoscere la dignità e
il valore intrinseco di individui e di collettivi, il periodo postbellico è stato un’epoca di
depravazione umana. Si stima che la violenza diretta e indiretta statale
e non statale abbia causato oltre
trenta milioni di morti, intere nazioni distrutte, la normalizzazione della
tortura, lo stupro come arma di guerra, milioni di sfollati e ancora una volta
l’ascesa di movimenti neofascisti in tutta l’Europa e in tutti gli Stati Uniti.
Che cosa è accaduto?
Ciò che è accaduto è la continuazione del
patriarcato suprematista bianco coloniale / capitalista pan-europeo. Il progetto storico
temporaneamente deviato dalla guerra come conseguenza dei tedeschi che
portarono gli orrori del dominio coloniale scatenati dall’invasione europea di
quelle che diventarono le “Americhe” nel 1492, di nuovo in Europa e applicati
ad altri europei. Ma una volta che Hitler fu dispensato, la brutalità
sistematica che creò “l’Europa” continuò. Dopo che, però, ci si sbarazzò di
Hitler, continuò la brutalità sistematica che creò la “Europa”.
La dottrina
della scoperta, della schiavitù, del destino manifesto, del fardello dell’uomo
bianco, della responsabilità di proteggere, di tutte le espressioni ideologiche
e politiche rappresentano ciò che Enrique Dussell definiva la parte inferiore
di quella che viene chiamata modernità occidentale. Quella parte inferiore che
razionalizzava la stratificazione
degli esseri umani in quelli con diritti e quelli che si potevano uccidere,
schiavizzare, stuprare, condannava i non europei colonizzati a quello che Fanon
chiamava “la zona del non
essere”.
Il progetto paneuropeo rappresentava una logica e un
fondamento logico al centro dell’identità europea e della sua base materiale. Ha creato un imperativo a cui non
si poteva facilmente rinunciare, senza negare proprio l’idea e la
materialità dell’Europa e ciò che era inteso come modernità. Pertanto, c’è
stata sempre una contraddizione interna nel pensiero europeo, compresa e
rafforzata durante il cosiddetto Illuminismo che produceva una malattia
analitica e concettuale che può essere spiegata soltanto come una specie di
psicopatologia.
Nell’agosto del 1941, mentre la marcia nazista in
tutta Europa era in piena esecuzione, la forza retorica dei diritti umani
collettivi trovò espressione nella Carta Atlantica creata dagli Stati Uniti e
dalla Gran Bretagna. La Carta
affermava tra gli altri principi che “tutte le persone hanno il diritto di
scegliere la forma di governo in base alla quale vivono”. Dichiarava
audacemente che per le persone a cui era stato negato questo diritto
fondamentale, l’obiettivo della guerra era vedere “i diritti sovrani e
l’autogoverno restituiti a coloro che erano stati forzatamente privati dei
loro”. Per i 750 milioni di soggetti coloniali e le decine di migliaia di
persone arruolati per combattere in guerra, questa era musica per le loro
orecchie.
La Carta Atlantica è servita come base per la
Dichiarazione delle Nazioni Unite, nel 1942, redatta dalle 26 nazioni allora in
guerra, e successivamente da altre 21 nazioni. La Dichiarazione approvava la Carta Atlantica ed
esprimeva la convinzione che la vittoria completa sui loro nemici è essenziale
per difendere la vita, la libertà, l’indipendenza e la libertà religiosa, e per
preservare i diritti umani e la giustizia nelle proprie terre e anche nelle
altre. Infine, molti dei soggetti coloniali credevano che i principi della
guerra e della lotta contro il razzismo e il dominio dei bianchi in Europa,
avrebbero permesso a tutti coloro che erano ancora colonizzati e ai quali
venivano negati i diritti democratici nazionali, di assumere un nuovo status di
esseri umani, e di esercitare i diritti nazionali proprio come gli Europei
bianchi.
Winston
Churchill e Franklin Delano Roosevelt, il leader britannico e quello statunitense,
hanno chiarito che i principi contenuti nella Carta Atlantica non si
applicavano ai soggetti coloniali nei territori coloniali, ma soltanto alle
nazioni d’Europa che erano sotto il “giogo nazista”.
Che cosa è accaduto all’idea di diritti umani?
Samuel
Huntington è stato chiaro nel suo libro Clash of Civilizations (Scontro
di civiltà): “L’Occidente ha vinto il mondo non con la superiorità delle sue
idee o per i valori della religione (a cui pochi membri di altre civiltà si
sono convertiti) ma piuttosto con la sua superiorità nell’applicare la violenza
organizzata. Gli Occidentali spesso dimenticano questo fatto; i non-Occidentali
non lo dimenticano mai”.
Quindi,
quando gli interessi per mantenere il progetto
coloniale / capitalista paneuropeo, che è fondamentalmente basato sulla
violenza sistematica, si scontrarono rispetto alla “dignità intrinseca di tutti
i membri della famiglia umana”, i loro diritti umani e le loro libertà
fondamentali, quei altisonanti principi liberali furono sacrificati all’altare
della realpolitik. In realtà, non sono stati effettivamente
sacrificati. Perché, come abbiamo visto, quei principi liberali non sono mai
stati pensati per essere applicati a soggetti coloniali non europei.
Gli imperi
europei della fine del 19° secolo e dell’inizio del 20°, sfiniti da due guerre
devastanti, si trovarono come vassalli feriti davanti a un egemone emerso da
poco tempo: gli Stati Uniti che fu allora il leader incontrastato del mondo
capitalista occidentale, o quello che i propagandisti imperialisti avrebbero
chiamato il “mondo libero.” I Britannici, i Francesi e i Portoghesi che
dipendevano ancora dai loro imperi coloniali ma che erano indeboliti dalla
guerra, furono, cionondimeno costretti a tentare di imporsi di nuovo ai
soggetti coloniali dopo la guerra. Questi sforzi furono appoggiati dagli Stati
Uniti in quello che Kwame Nkrumah chiamò il processo post-bellico di
“imperialismo collettivo.”
Perciò, dopo la promulgazione dell’UDHR, i
diritti umani individuali e collettivi sono stati violati dall’Algeria al
Vietnam, al Kenya e all’India e, alla fine, in Angola e in Mozambico e in molte
nazioni intermedie. L’impegno a mantenere il dominio europeo
coloniale/capitalista, ha prodotto un vero bagno di sangue in cui
letteralmente milioni morirono milioni di persone e intere nazioni e culture
furono distrutte.
Quello che,
però, è incredibile, riguardo a questa orgia di morte e di distruzione imposta
a così tante persone nel corso di decenni e di secoli, è che,
contemporaneamente al commettere genocidi e a schiavizzare e a
perfezionare nuove e più efficaci armi di distruzione di massa, l’Occidente
avrebbe sostenuto di essere il difensore dei diritti umani, e l’ha fatta
ampiamente franca. L’impegno occidentale per i diritti umani e le libertà fondamentali,
si è rivelato di nuovo per la bugia che è sempre stato per i popoli colonizzati
del mondo. Inoltre, con il cinismo e la psicopatologia prodotti dalla
disfunzionalità cognitiva della supremazia bianca, gli Stati Uniti e il mondo
occidentale si sono proclamati creatori e difensori dei diritti umani quando il
sangue scorreva in tutto il pianeta.
Questo è il
motivo per cui sostengo che se i diritti umani hanno un’incredibilità,
un’applicabilità “universale”, qualsiasi valore, devono essere colti dalla barbara
presa dell’Europa e de-colonizzata.
La
disfunzionalità cognitiva della coscienza bianca suprematista rende gli europei
infetti a causa di questa malattia, incapaci di “distinguere” la storia
contraddittoria dal pensiero liberale dall’Illuminismo del periodo
contemporaneo che continua a organizzare in strati gli esseri umani e le
civiltà e le culture umane. La
presunta superiorità delle culture e dei popoli occidentali non è nemmeno un
punto di disputa. Il
suo sviluppo materiale, le meraviglie della sua scienza, la varietà dei suoi
beni di consumo sono tutte testimonianze della sua innata superiorità.
Il problema è che tutto questo si basa su bugie.
Come ci ha ricordato Franz Fanon, l’Europa è una creazione del colonialismo.
Questa è stata la terribile contraddizione nel cuore
del progetto coloniale europeo. La biforcazione degli esseri umani in coloro
che hanno diritti e quelli che non ne hanno, è ed è sempre stata una distinzione razziale.
In che altro modo si può spiegare come un Benjamin Netanyahu, un criminale le
cui mani grondano del sangue dei Palestinesi, può essere onorato dal Congresso
degli Stati Uniti, mentre Marc Lamont Hill può essere licenziato dalla CNN per
avere difeso i diritti dei Palestinesi?
Non è,
quindi, una coincidenza, che lo stesso anno in cui è stata promulgata la, Israele sia nato come
nazione dopo aver costretto con il terrore 750.000 palestinesi ad abbandonare
le loro case e territori, e che i nazionalisti bianchi olandesi abbiano preso
il potere in Sud Africa,
iniziando la formalizzazione dei loro sistema di apartheid razziale, è lo
stesso anno in cui entrambe le nazioni sono state benvenute nella comunità
delle nazioni senza molte polemiche.
Gli unici
che stavano sottolineando la contraddizione insita nel riconoscere un regime
come quello sudafricano e nel mettere in discussione la spogliazione dei
diritti dei palestinesi, erano Afroamericani impegnati in seri sforzi di
patrocinio presso le Nazioni Unite, chiedendo la fine del colonialismo e
dell’oppressione razziale negli Stati Uniti e in tutto il mondo coloniale.
La creazione
del pensiero suprematista bianco, rappresentato dal liberalismo classico che
converge con la necessità materiale della dominazione allo scopo di sfruttare,
rappresenta un certo tipo di dialettica colonialista che ha assicurato il
fallimento del progetto di diritti umani centrato sullo stato, legalista e
liberale degli ultimi settant’anni, mentre scatenando allo stesso tempo
un’epoca continua di capitalismo parassitario.
L’idea dei diritti umani oggi serve principalmente
come supporto ideologico per l’imperialismo aggressivo. La versione del 21°
secolo del “fardello dell’uomo bianco” si riflette nel concetto di “intervento
umanitario” e nella “responsabilità di proteggere”. L’intervento umanitario e il diritto
di proteggere evocano il presupposto non riconosciuto dei suprematisti bianco
che la “comunità internazionale” – intesa come governo dell’Occidente
capitalista – ha il dovere e il diritto di arrestare, bombardare, invadere,
perseguire, sanzionare, assassinare e violare la legge internazionale in
qualunque luogo del pianeta per “salvare” le persone sulla base delle proprie
determinazioni e dei propri valori.
Come ho
detto in molte occasioni: “De-contestualizzata dalla realtà della dominazione
euro-americana globalizzata, l’idea che ci sia una responsabilità collettiva da
parte degli stati per proteggere le persone dalle violazioni gravi e
sistematiche dei diritti umani associate a crimini di guerra, genocidio,
crimini contro l’umanità e la pulizia etnica potrebbe essere vista come uno
sviluppo progressivo delle relazioni internazionali e della moralità globale,
anche se tale protezione è offerta in modo selettivo. Ma nelle mani di una
arrogante minoranza che domina ancora il sistema internazionale e considera che
il suo progetto di civiltà rappresenta l’apice dello sviluppo umano, il diritto
di proteggere è diventato una comoda copertura per razionalizzare e
giustificare la continua egemonia globale euro-americana attraverso l’uso di
interventi armati per rimodellare le realtà locali in linea con gli interessi
geopolitici occidentali“.
Comunque, l’idea dei diritti umani non deve essere
gettata via, ma deve essere decolonizzata se vuole avere un valore per le
persone e le classi oppresse.
Dobbiamo
abbracciare ed esercitare la tradizione radicale nera dei diritti umani e
la sua successiva espressione in ciò che chiamo ”(i)
diritti umani incentrati sulle persone” (PCHR) – People(s) Centered
Human Rights. I PCHR sono dei diritti non oppressivi che riflettono
il più alto impegno alla dignità umane universale e alla giustizia sociale che
gli individui e i gruppi di individui definiscono e proteggono da soli per
mezzo per mezzo della lotta
sociale.
Questo è
l’approccio della Tradizione Radicale Nera per i diritti umani. È un approccio che vede i diritti umani
come un’arena di lotta che, quando è
radicata e consapevole per mezzo dei bisogni e delle aspirazioni degli
oppressi, diventa parte di una strategia globale unificata per la decolonizzazione e il cambiamento
sociale radicale.
La
caratteristica che distingue la struttura incentrata sulle persone, rispetto a
tutte le prevalenti scuole per la teoria e la pratica dei diritti umani, è che
è basata sulla comprensione che realizzare la serie completa dell’idea di
diritti umani ancora in via di sviluppo, richiede: 1) una rottura
epistemologica con un’ortodossia dei diritti umani fondata sul liberalismo
euro-centrico; 2) una concettualizzare di nuovo i diritti umani dal punto di
vista dei gruppi oppressi; 3) una ristrutturazione delle relazioni sociali
prevalenti che perpetuano l’oppressione; 4) l’acquisizione del potere da
parte degli oppressi per realizzare quella ristrutturazione.
Siamo
d’accordo con Bell Hooks* che
ci ricorda che “per essere impegnati per la giustizia dobbiamo credere che
l’etica sia importante, che è fondamentale avere un sistema di moralità
condivisa”. Il PCHR è basato sulle esperienze delle persone, fonte della sua
legittimità. È, quindi, un
prodotto storico nato dall’oppressione, “intersezionale” e impegnato
nella trasformazione globale della società. È un tentativo di sviluppare
politiche di integrità quando si tratta di diritti umani. Una politica
dell’essere integro che, nelle parole dell’attivista di Portorico, Aurora
Levins Morales indica:
“I sacrifici, né quelli globali e neanche quelli locali, non ignorano né le
strutture istituzionali di potere né il loro impatto più personale sulla vita
dei singoli individui. Questo integra ciò che l’oppressione continua a
infrangere. Ristabilisce le connessioni, non soltanto con il futuro che
sogniamo, ma proprio qui, nella gloria, tumultuosa, speranzosa, caotica e nel
presente imprevedibile”.
Non abbiamo
altri settant’anni per decolonizzare. Le contraddizioni ecologiche, sociali,
economiche, politiche e spirituali della modernità, ancora guidate dal
colonialismo occidentale, rivelano i termini della lotta. O noi (il popolo come
progetto storico ancora in formazione) rovesciamo l’oligarchia borghese globale
e costruiamo un nuovo mondo, oppure
sperimenteremo quella che alcuni dicono sarà la sesta estinzione. È ancora
tutto nelle nostre mani, ma non abbiamo molto tempo.
Traduzione di Maria Chiara Starace per znetitaly.org (© 2018
ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0). Fonte
originale: counterpunch.org
Ajamu Baraka fa parte di Black Alliance for Peace e
collabora con diversi siti e giornali.
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