martedì 11 dicembre 2018

Decolonizzare i diritti umani - Ajamu Baraka




“… Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo…”. Sono le parole del preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (acronimo inglese UDHR – Universal Declaration of Human Rights), promulgata settant’anni fa, il 10 dicembre 1948. Queste parole si supponeva che riflettessero una nuova comprensione delle cause della guerra e un impegno riguardo ai più alti valori della “comunità internazionale”.
L’UDHR è stato il primo maggior strumento prodotto dalle Nazioni Unite (ONU), un’istituzione anche essa creata alla fine della seconda guerra mondiale. La sua creazione fu salutata come qualcosa che avrebbe dato sostanza istituzionale alla promessa da parte degli stati membri di promuovere la cooperazione internazionale, per impegnarsi in relazioni pacifiche tra gli stati e per rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali.
Secondo Eleanor Roosevelt, moglie del presidente Roosevelt e rappresentante degli Stati Uniti nella Commissione dell’ONU per i Diritti Umani, cioè la struttura responsabile della creazione dell’UDHR, la dichiarazione rifletteva quei diritti naturali ed eterni che, tuttavia, non erano sempre visti ma che nelle circostanze appropriate potevano essere rivelate e coltivate.
Molti pensarono che l’UDHR con il suo impegno per la libertà di pensiero e di parola, di assemblea, per l’istruzione, la previdenza sociale per tutta la vita, la assistenza sanitaria, per il diritto alla cultura, rappresentava la speranza di una comunità internazionale che aveva imparato dalla carneficina della Seconda guerra mondiale, che era cresciuta e che era pronta a focalizzarsi collettivamente sulla dignità di tutti.
Settant’anni dopo, la testimonianza storica è chiara. Invece di riconoscere la dignità e il valore intrinseco di individui e di collettivi, il periodo postbellico è stato un’epoca di depravazione umana. Si stima che la violenza diretta e indiretta statale e non statale abbia causato oltre trenta milioni di morti, intere nazioni distrutte, la normalizzazione della tortura, lo stupro come arma di guerra, milioni di sfollati e ancora una volta l’ascesa di movimenti neofascisti in tutta l’Europa e in tutti gli Stati Uniti.
Che cosa è accaduto?
Ciò che è accaduto è la continuazione del patriarcato suprematista bianco coloniale / capitalista pan-europeo. Il progetto storico temporaneamente deviato dalla guerra come conseguenza dei tedeschi che portarono gli orrori del dominio coloniale scatenati dall’invasione europea di quelle che diventarono le “Americhe” nel 1492, di nuovo in Europa e applicati ad altri europei. Ma una volta che Hitler fu dispensato, la brutalità sistematica che creò “l’Europa” continuò. Dopo che, però, ci si sbarazzò di Hitler, continuò la brutalità sistematica che creò la “Europa”.
La dottrina della scoperta, della schiavitù, del destino manifesto, del fardello dell’uomo bianco, della responsabilità di proteggere, di tutte le espressioni ideologiche e politiche rappresentano ciò che Enrique Dussell definiva la parte inferiore di quella che viene chiamata modernità occidentale. Quella parte inferiore che razionalizzava la stratificazione degli esseri umani in quelli con diritti e quelli che si potevano uccidere, schiavizzare, stuprare, condannava i non europei colonizzati a quello che Fanon chiamava “la zona del non essere”.
Il progetto paneuropeo rappresentava una logica e un fondamento logico al centro dell’identità europea e della sua base materiale. Ha creato un imperativo a cui non si poteva facilmente rinunciare, senza negare proprio  l’idea e la materialità dell’Europa e ciò che era inteso come modernità. Pertanto, c’è stata sempre una contraddizione interna nel pensiero europeo, compresa e rafforzata durante il cosiddetto Illuminismo che produceva una malattia analitica e concettuale che può essere spiegata soltanto come una specie di psicopatologia.
Nell’agosto del 1941, mentre la marcia nazista in tutta Europa era in piena esecuzione, la forza retorica dei diritti umani collettivi trovò espressione nella Carta Atlantica creata dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. La Carta affermava tra gli altri principi che “tutte le persone hanno il diritto di scegliere la forma di governo in base alla quale vivono”. Dichiarava audacemente che per le persone a cui era stato negato questo diritto fondamentale, l’obiettivo della guerra era vedere “i diritti sovrani e l’autogoverno restituiti a coloro che erano stati forzatamente privati ​​dei loro”. Per i 750 milioni di soggetti coloniali e le decine di migliaia di persone arruolati per combattere in guerra, questa era musica per le loro orecchie.
La Carta Atlantica è servita come base per la Dichiarazione delle Nazioni Unite, nel 1942, redatta dalle 26 nazioni allora in guerra, e successivamente da altre 21 nazioni. La Dichiarazione approvava la Carta Atlantica ed esprimeva la convinzione che la vittoria completa sui loro nemici è essenziale per difendere la vita, la libertà, l’indipendenza e la libertà religiosa, e per preservare i diritti umani e la giustizia nelle proprie terre e anche nelle altre. Infine, molti dei soggetti coloniali credevano che i principi della guerra e della lotta contro il razzismo e il dominio dei bianchi in Europa, avrebbero permesso a tutti coloro che erano ancora colonizzati e ai quali venivano negati i diritti democratici nazionali, di assumere un nuovo status di esseri umani, e di esercitare i diritti nazionali proprio come gli Europei bianchi.
Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt, il leader britannico e quello statunitense, hanno chiarito che i principi contenuti nella Carta Atlantica non si applicavano ai soggetti coloniali nei territori coloniali, ma soltanto alle nazioni d’Europa che erano sotto il “giogo nazista”.
Che cosa è accaduto all’idea di diritti umani?
Samuel Huntington è stato chiaro nel suo libro Clash of Civilizations (Scontro di civiltà): “L’Occidente ha vinto il mondo non con la superiorità delle sue idee o per i valori della religione (a cui pochi membri di altre civiltà si sono convertiti) ma piuttosto con la sua superiorità nell’applicare la violenza organizzata. Gli Occidentali spesso dimenticano questo fatto; i non-Occidentali non lo dimenticano mai”.
Quindi, quando gli interessi per mantenere il progetto coloniale / capitalista paneuropeo, che è fondamentalmente basato sulla violenza sistematica, si scontrarono rispetto alla “dignità intrinseca di tutti i membri della famiglia umana”, i loro diritti umani e le loro libertà fondamentali, quei altisonanti principi liberali furono sacrificati all’altare della realpolitik. In realtà, non sono stati effettivamente sacrificati. Perché, come abbiamo visto, quei principi liberali non sono mai stati pensati per essere applicati a soggetti coloniali non europei.
Gli imperi europei della fine del 19° secolo e dell’inizio del 20°, sfiniti da due guerre devastanti, si trovarono come vassalli feriti davanti a un egemone emerso da poco tempo: gli Stati Uniti che fu allora il leader incontrastato del mondo capitalista occidentale, o quello che i propagandisti imperialisti avrebbero chiamato il “mondo libero.” I Britannici, i Francesi e i Portoghesi che dipendevano ancora dai loro imperi coloniali ma che erano indeboliti dalla guerra, furono, cionondimeno costretti a tentare di  imporsi di nuovo ai soggetti coloniali dopo la guerra. Questi sforzi furono appoggiati dagli Stati Uniti in quello che Kwame Nkrumah chiamò il processo post-bellico di “imperialismo collettivo.”
Perciò, dopo la promulgazione dell’UDHR, i diritti umani individuali e collettivi sono stati violati dall’Algeria al Vietnam, al Kenya e all’India e, alla fine, in Angola e in Mozambico e in molte nazioni intermedie. L’impegno a mantenere il dominio europeo coloniale/capitalista, ha prodotto un vero bagno di sangue in cui letteralmente milioni morirono milioni di persone e intere nazioni e culture furono distrutte.
Quello che, però, è incredibile, riguardo a questa orgia di morte e di distruzione imposta a così tante persone nel corso di decenni e di secoli, è che, contemporaneamente al  commettere genocidi e a schiavizzare e a perfezionare nuove e più efficaci armi di distruzione di massa, l’Occidente avrebbe sostenuto di essere il difensore dei diritti umani, e l’ha fatta  ampiamente franca. L’impegno occidentale per i diritti umani e le libertà fondamentali, si è rivelato di nuovo per la bugia che è sempre stato per i popoli colonizzati del mondo. Inoltre, con il cinismo e la psicopatologia prodotti dalla disfunzionalità cognitiva della supremazia bianca, gli Stati Uniti e il mondo occidentale si sono proclamati creatori e difensori dei diritti umani quando il sangue scorreva in tutto il pianeta.
Questo è il motivo per cui sostengo che se i diritti umani hanno un’incredibilità, un’applicabilità “universale”, qualsiasi valore, devono essere colti dalla barbara presa dell’Europa e de-colonizzata.
La disfunzionalità cognitiva della coscienza bianca suprematista rende gli europei infetti a causa di questa malattia,  incapaci di “distinguere” la storia contraddittoria dal pensiero liberale dall’Illuminismo del periodo contemporaneo che continua a organizzare in strati gli esseri umani e le civiltà e le culture umane. La presunta superiorità delle culture e dei popoli occidentali non è nemmeno un punto di disputaIl suo sviluppo materiale, le meraviglie della sua scienza, la varietà dei suoi beni di consumo sono tutte testimonianze della sua innata superiorità.
Il problema è che tutto questo si basa su bugie. Come ci ha ricordato Franz Fanon, l’Europa è una creazione del colonialismo.
Questa è stata la terribile contraddizione nel cuore del progetto coloniale europeo. La biforcazione degli esseri umani in coloro che hanno diritti e quelli che non ne hanno,  è ed è sempre stata una distinzione razziale. In che altro modo si può spiegare come un Benjamin Netanyahu, un criminale le cui mani grondano del sangue dei Palestinesi, può essere onorato dal Congresso degli Stati Uniti, mentre Marc Lamont Hill può essere licenziato dalla CNN per avere difeso i diritti dei Palestinesi?
Non è, quindi, una coincidenza, che lo stesso anno in cui è stata promulgata la, Israele sia nato come nazione dopo aver costretto con il terrore 750.000 palestinesi ad abbandonare le loro case e territori, e che i nazionalisti bianchi olandesi abbiano preso il potere in Sud Africa, iniziando la formalizzazione dei loro sistema di apartheid razziale, è lo stesso anno in cui entrambe le nazioni sono state benvenute nella comunità delle nazioni senza molte polemiche.
Gli unici che stavano sottolineando la contraddizione insita nel riconoscere un regime come quello sudafricano e nel mettere in discussione la spogliazione dei diritti dei palestinesi, erano Afroamericani impegnati in seri sforzi di patrocinio presso le Nazioni Unite, chiedendo la fine del colonialismo e dell’oppressione razziale negli Stati Uniti e in tutto il mondo coloniale.
La creazione del pensiero suprematista bianco, rappresentato dal liberalismo classico che converge con la necessità materiale della dominazione allo scopo di sfruttare, rappresenta un certo tipo di dialettica colonialista che ha assicurato il fallimento del progetto di diritti umani centrato sullo stato, legalista e liberale degli ultimi settant’anni, mentre scatenando allo stesso tempo un’epoca continua di capitalismo parassitario.
L’idea dei diritti umani oggi serve principalmente come supporto ideologico per l’imperialismo aggressivo. La versione del 21° secolo del “fardello dell’uomo bianco” si riflette nel concetto di “intervento umanitario” e nella “responsabilità di proteggere”. L’intervento umanitario e il diritto di proteggere evocano il presupposto non riconosciuto dei suprematisti bianco che la “comunità internazionale” – intesa come governo dell’Occidente capitalista – ha il dovere e il diritto di arrestare, bombardare, invadere, perseguire, sanzionare, assassinare e violare la legge internazionale in qualunque luogo del pianeta per “salvare” le persone sulla base delle proprie determinazioni e dei propri valori.
Come ho detto in molte occasioni: “De-contestualizzata dalla realtà della dominazione euro-americana globalizzata, l’idea che ci sia una responsabilità collettiva da parte degli stati per proteggere le persone dalle violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani associate a crimini di guerra, genocidio, crimini contro l’umanità e la pulizia etnica potrebbe essere vista come uno sviluppo progressivo delle relazioni internazionali e della moralità globale, anche se tale protezione è offerta in modo selettivo. Ma nelle mani di una arrogante minoranza che domina ancora il sistema internazionale e considera che il suo progetto di civiltà rappresenta l’apice dello sviluppo umano, il diritto di proteggere è diventato una comoda copertura per razionalizzare e giustificare la continua egemonia globale euro-americana attraverso l’uso di interventi armati per rimodellare le realtà locali in linea con gli interessi geopolitici occidentali“.
Comunque, l’idea dei diritti umani non deve essere gettata via, ma deve essere decolonizzata se vuole avere un valore per le persone e le classi oppresse.
Dobbiamo abbracciare ed esercitare la tradizione radicale nera dei diritti umani  e la sua successiva espressione in ciò che chiamo ”(i) diritti umani incentrati sulle persone” (PCHR) – People(s) Centered Human Rights. I PCHR sono dei diritti non oppressivi che riflettono il più alto impegno alla dignità umane universale e alla giustizia sociale che gli individui e i gruppi di individui definiscono e proteggono da soli per mezzo per mezzo della lotta sociale.
Questo è l’approccio della Tradizione Radicale Nera per i diritti umani. È un approccio che vede i diritti umani come un’arena di lotta che, quando è radicata e consapevole per mezzo dei  bisogni e delle aspirazioni degli oppressi, diventa parte di una strategia globale unificata per la decolonizzazione e il cambiamento sociale radicale.
La caratteristica che distingue la struttura incentrata sulle persone, rispetto a tutte le prevalenti scuole per la teoria e la pratica dei diritti umani, è che è basata sulla comprensione che realizzare la serie completa dell’idea di diritti umani ancora in via di sviluppo, richiede: 1) una rottura epistemologica con un’ortodossia dei diritti umani fondata sul liberalismo euro-centrico; 2) una concettualizzare di nuovo i diritti umani dal punto di vista dei gruppi oppressi; 3) una ristrutturazione delle relazioni sociali prevalenti che perpetuano l’oppressione;  4) l’acquisizione del potere da parte degli oppressi per realizzare quella ristrutturazione.
Siamo d’accordo con  Bell Hooks* che ci ricorda che “per essere impegnati per la giustizia dobbiamo credere che l’etica sia importante, che è fondamentale avere un sistema di moralità condivisa”. Il PCHR è basato sulle esperienze delle persone, fonte della sua legittimità. È, quindi, un prodotto storico nato dall’oppressione, “intersezionale” e impegnato nella trasformazione globale della società. È un tentativo di sviluppare politiche di integrità quando si tratta di diritti umani. Una politica dell’essere integro che, nelle parole dell’attivista di Portorico, Aurora Levins Morales indica:
“I sacrifici, né quelli globali e neanche quelli locali, non ignorano né le strutture istituzionali di potere né il loro impatto più personale sulla vita dei singoli individui. Questo integra ciò che l’oppressione continua a infrangere. Ristabilisce le connessioni, non soltanto con il futuro che sogniamo, ma proprio qui, nella gloria, tumultuosa, speranzosa, caotica e nel presente imprevedibile”.
Non abbiamo altri settant’anni per decolonizzare. Le contraddizioni ecologiche, sociali, economiche, politiche e spirituali della modernità, ancora guidate dal colonialismo occidentale, rivelano i termini della lotta. O noi (il popolo come progetto storico ancora in formazione) rovesciamo l’oligarchia borghese globale e costruiamo un nuovo mondo, oppure sperimenteremo quella che alcuni dicono sarà la sesta estinzione. È ancora tutto nelle nostre mani, ma non abbiamo molto tempo.

Traduzione di Maria Chiara Starace per znetitaly.org (© 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0). Fonte originale: counterpunch.org
Ajamu Baraka fa parte di Black Alliance for Peace e collabora con diversi siti e giornali.


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