domenica 9 dicembre 2018

Una società che si chiude a riccio - Benedetto Vecchi



C’è una caratteristica dei rapporti annuali del Censis che ricorrono e che ne fanno un appuntamento attorno al quale tirare le fila, ogni dicembre che si rispetti, dello sviluppo sociale, culturale e politico italiano. E’ il ragionare, da parte di questo autorevole e potente istituto di ricerca sociale, attorno a tonalità emotive dominanti. E’ stato così con la spinta all’edonismo che ha trasformato metà dello stivale – i dorati anni Ottanta -; è stato così con la prefigurazione di un individualismo di massa e radicale, ma che affondava salde radici nel solidarismo “dal basso”. Poi è stata volta del “capitalismo molecolare”, dell’umano divenuto imprenditore di se stesso. Giù, giù fino alla società marmellata, alla crisi, al disincanto, alla paura, al rancore, al risentimento.
Questo anno è la volta del “sovranismo pischico”, espressione indicata dal Censis per indicare quel misto di solitudine, abbandono da parte della Politica, paura, di incistamento del rancore come sentimento dominante delle relazioni sociali. Non coincide con il “ritorno al nazionale” che sembra scandire i rapporti tra Italia e Europa o il complesso sistema di relazioni interstatale che si è soliti chiamare globalizzazione. Il “sovranismo psichico” ne condivide però un aspetto, la perdita di un orizzonte che scandisca una direzione di marcia verso il futuro. Siamo cioè imgabbiati in un eterno presente.
Il quadro che emerge dal Censis non è quindi scandito da chiari e scuri, ma da una tonalità decisamente cupa che impedisce immaginare un futuro diverso dalla eterna ripetizione di un presente di miseria – psichica, in primo luogo: i livelli di reddito diminuiscono significativamente ma la famiglia e le reti sociali di prossimità continuano a supplire il lento, inarrestabile ritiro dello Stato nazionale dalla scena pubblica.
Il “sovranismo pischico” coincide però anche con altro aspetto che non dovrebbe far dormire sonni tranquilli ai tecnocrati di Bruxelles, né ai nostrani “sovranisti nazionali”. La solitudine, il rancore, la paura fanno sì che economia locali, piccole “eccellenze produttive” non solo seguono sentieri di nido di ragni in solitudine per consolidarsi ed espandersi. L’internazionalizzazione made in Italy non si ferma certo per una situazione descritta come avvio di una lunga stagnazione, guardando a Oriente, ovviamente, ma anche in altre direzioni, come verso il continente africano, la Russia, l’America Latina, ma all’interno di incontri, contaminazioni con economia ben poco legali. Il rancore, scava feroce nelle anime dei capitalisti molecolari o degli imprenditori di se stessi. La ricchezza è sempre il miraggio da tradurre in realtà, perché la sicurezza – parola quasi sussurrata – è l’ambito trofeo in termini di denari, capitale, relazionalità sociali ricche. In questa dituazione, la stagnazione, la paralisi è sono prospettive fin troppo reali. Nel mondo del “sovranismo psichico”, la parte del leone la fa anche la ricerca di fama e successo, proiettando i singoli a diventar influencer, cioè ad esercitare un potere di condizionamento e di indirizzo ai comportamenti collettivi.
L’innovazione rimane sempre l’oggetto del desiderio anche nella società del rancore. La mobilitazione, più o meno totale, per raggiungere questo obiettivo continua a macerare e bruciare vite. Fnora, tuttavia, è un orizzonte che non vede un autore (partito, moivmento, imprese). Non sono certo i grillini, espressione di un liberismo regressivo, anche se si manifestano tensioni, conflitti tra chi (la Casaleggio Associati e il suoentourage) vorrebbe inboccare questa strada, aprendo una serie e profonde relazioni con i big della Rete e chi, come la costellazione di deputati e di culture imprenditoriali legate alla gestione di folks politics di piccolo cabotaggio come quelle rappresentate da Luigi di Maio.
Nella triste performance di Grillo sul transumanesimo emerge l’opzione per rompere la gabbia della gestione routinaria del governo in mome di una tecnoutopia (una distopia, in realtà) talmente confusa e respingente, che ha la smorfia e la vuotezza della maschiera indobbasata da quello che è stato considerato un divertente guitto.
Non ci sono state molte reazioni da parte del sistema politico italiano al rapporto Censis. Oppure poche parole di circostanza sulle difficoltà del momento storico. Il governo è troppo distratto da una manovra divenuta ormai disordinata sommatoria di provvedimenti che sfuggono a un disegno rigoroso e organico di intervento pubblico. I partiti di opposizione – dal Pd a Forza Italia, quest’ultima spesso oggetto polemico dei rapporti del Censis quando a Palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi – si leccano ferite di sconfitte politiche più o meno recenti e provano a non restare né sommerse né salvate dal ridicolo dell’insipienza progettuale e politica.
Va detto che il Censis, con il suo indiscusso maître à penser Giuseppe De Rita, è abituato anche all’indifferenza. Ai tempi brevi, alla contingenza politica spesso privilegia la lunga durata dei fenomeni indagati. E questo del “sovranismo psichico” c’è il rischio che sia appunto uno dei fenomeni di lunga durata, che indica non solo smarrimento della società italiana, ma un fenomeno di chiusura a riccio di una realtà indicata, solo a fino a dieci anni fa, come un esempio indiscutibile di dinamismo e di capacità innovativa del capitalismo globale.

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