C’è una caratteristica dei rapporti annuali del Censis che ricorrono e che
ne fanno un appuntamento attorno al quale tirare le fila, ogni dicembre che si
rispetti, dello sviluppo sociale, culturale e politico italiano. E’ il ragionare,
da parte di questo autorevole e potente istituto di ricerca sociale, attorno a
tonalità emotive dominanti. E’ stato così con la spinta all’edonismo che ha
trasformato metà dello stivale – i dorati anni Ottanta -; è stato così con la
prefigurazione di un individualismo di massa e radicale, ma che affondava salde
radici nel solidarismo “dal basso”. Poi è stata volta del “capitalismo
molecolare”, dell’umano divenuto imprenditore di se stesso. Giù, giù fino alla
società marmellata, alla crisi, al disincanto, alla paura, al rancore, al
risentimento.
Questo anno è la volta del “sovranismo pischico”, espressione indicata dal Censis
per indicare quel misto di solitudine, abbandono da parte della Politica,
paura, di incistamento del rancore come sentimento dominante delle relazioni
sociali. Non coincide con il “ritorno al nazionale” che sembra scandire i
rapporti tra Italia e Europa o il complesso sistema di relazioni interstatale
che si è soliti chiamare globalizzazione. Il “sovranismo psichico” ne condivide
però un aspetto, la perdita di un orizzonte che scandisca una direzione di
marcia verso il futuro. Siamo cioè imgabbiati in un eterno presente.
Il quadro che emerge dal Censis non è quindi scandito da chiari e
scuri, ma da una tonalità decisamente cupa che impedisce immaginare un futuro
diverso dalla eterna ripetizione di un presente di miseria – psichica, in primo
luogo: i livelli di reddito diminuiscono significativamente ma la famiglia e le
reti sociali di prossimità continuano a supplire il lento, inarrestabile ritiro
dello Stato nazionale dalla scena pubblica.
Il “sovranismo pischico” coincide però anche con altro
aspetto che non dovrebbe far dormire sonni tranquilli ai tecnocrati di
Bruxelles, né ai nostrani “sovranisti nazionali”. La solitudine, il rancore, la
paura fanno sì che economia locali, piccole “eccellenze produttive” non solo
seguono sentieri di nido di ragni in solitudine per consolidarsi ed espandersi.
L’internazionalizzazione made in Italy non si ferma certo per una situazione
descritta come avvio di una lunga stagnazione, guardando a Oriente, ovviamente,
ma anche in altre direzioni, come verso il continente africano, la Russia,
l’America Latina, ma all’interno di incontri, contaminazioni con economia ben
poco legali. Il rancore, scava feroce nelle anime dei capitalisti molecolari o
degli imprenditori di se stessi. La ricchezza è sempre il miraggio da tradurre
in realtà, perché la sicurezza – parola quasi sussurrata – è l’ambito trofeo in
termini di denari, capitale, relazionalità sociali ricche. In questa
dituazione, la stagnazione, la paralisi è sono prospettive fin troppo reali.
Nel mondo del “sovranismo psichico”, la parte del leone la fa anche la ricerca
di fama e successo, proiettando i singoli a diventar influencer, cioè
ad esercitare un potere di condizionamento e di indirizzo ai
comportamenti collettivi.
L’innovazione rimane sempre l’oggetto del desiderio anche nella
società del rancore. La mobilitazione, più o meno totale, per raggiungere
questo obiettivo continua a macerare e bruciare vite. Fnora, tuttavia, è un
orizzonte che non vede un autore (partito, moivmento, imprese). Non sono certo
i grillini, espressione di un liberismo regressivo, anche se si manifestano
tensioni, conflitti tra chi (la Casaleggio Associati e il suoentourage) vorrebbe
inboccare questa strada, aprendo una serie e profonde relazioni con i big della
Rete e chi, come la costellazione di deputati e di culture imprenditoriali
legate alla gestione di folks politics di piccolo cabotaggio
come quelle rappresentate da Luigi di Maio.
Nella triste performance di Grillo sul transumanesimo emerge l’opzione per
rompere la gabbia della gestione routinaria del governo in mome di una
tecnoutopia (una distopia, in realtà) talmente confusa e respingente, che ha la
smorfia e la vuotezza della maschiera indobbasata da quello che è stato
considerato un divertente guitto.
Non ci sono state molte reazioni da parte del sistema politico italiano al rapporto
Censis. Oppure poche parole di circostanza sulle difficoltà del momento storico.
Il governo è troppo distratto da una manovra divenuta ormai disordinata
sommatoria di provvedimenti che sfuggono a un disegno rigoroso e organico di
intervento pubblico. I partiti di opposizione – dal Pd a Forza Italia,
quest’ultima spesso oggetto polemico dei rapporti del Censis quando a Palazzo
Chigi sedeva Silvio Berlusconi – si leccano ferite di sconfitte politiche più o
meno recenti e provano a non restare né sommerse né salvate dal ridicolo
dell’insipienza progettuale e politica.
Va detto che il Censis, con il suo indiscusso maître à penser Giuseppe
De Rita, è abituato anche all’indifferenza. Ai tempi brevi, alla contingenza
politica spesso privilegia la lunga durata dei fenomeni indagati. E questo del
“sovranismo psichico” c’è il rischio che sia appunto uno dei fenomeni di lunga
durata, che indica non solo smarrimento della società italiana, ma un fenomeno
di chiusura a riccio di una realtà indicata, solo a fino a dieci anni fa, come
un esempio indiscutibile di dinamismo e di capacità innovativa del capitalismo
globale.
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