giovedì 6 dicembre 2018

Gli open day delle scuole magiche - Mauro Presini



Alcuni incontri che avvengono in queste settimane a scuola con le famiglie, prima delle iscrizioni, stanno diventando dei veri e propri spot pubblicitari. Ne ho il fondato sospetto da quando la scuola ha iniziato ad assomigliare sempre più ad un’azienda che ad un “organo costituzionale” [1] ed ha accettato di usare parole non appartenenti al proprio vocabolario (offerta, debiti, crediti, dirigente, bonus premiale, merito, ecc.).
Tali incontri – oggi va di moda chiamarli “open day” – non si facevano quando le famiglie erano obbligate ad iscrivere i propri figli nella scuola più vicina a casa; ora invece che non esistono più i bacini di utenza, dovrebbero servire ad informare i genitori sul funzionamento della scuola in Italia e sulle caratteristiche specifiche di quel determinato plesso. In tal modo le famiglie potranno iscrivere, a ragion veduta, i propri figli alla scuola che hanno scelto.
Quel che succede in questi cosiddetti “open day” è che una buona parte di scuole fa pubblicità a se stessa presentando i propri “prodotti” come fossero medaglie da esibire o articoli da vendere; infatti in una logica aziendalista la concorrenza viene legittimata, addirittura fra scuole statali.
Un’altra parte di scuole invece in questi incontri si prefigge l’obiettivo di informare e di presentare la propria organizzazione nel modo più oggettivo possibile; la competizione infatti risulta paradossale in una logica di scuola intesa come “organo costituzionale”.
Propongo alcuni sintetici confronti.
Nella logica aziendalista, la scuola A cerca di assicurarsi più alunni della scuola B così quella scuola e quel dirigente avranno più successo e più soldi. Nella logica costituzionale, la scuola A e la scuola B cercano di assicurare ai loro studenti un successo formativo più ampio possibile e dovrebbero vedersi assegnate le risorse necessarie per funzionare bene.
Nella logica aziendalista, la scuola mostra certificazioni, premi, riconoscimenti e brillanti risultati nei quiz Invalsi. Nella logica costituzionale, la scuola mostra se stessa “senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo [2].
Nella logica aziendalista, la scuola non accoglie le diversità perché impediscono il raggiungimento degli obiettivi prefissati che sono quelli dei progetti, dei premi, dei riconoscimenti e dei brillanti risultati nei quiz Invalsi. Nella logica costituzionale, la scuola accoglie le diversità perché favoriscono il raggiungimento degli obiettivi prefissati che sono quelli dell’apprendimento cooperativo, dell’integrazione fra culture diverse, di una cittadinanza consapevole e della socializzazione fra pari.
Nella logica aziendalista, la scuola è un servizio a domanda individuale: una specie  di supermercato dove si può comprare quel che si vuole. Nella logica costituzionale, la scuola è un servizio pubblico: una sorta di palestra di democrazia dove si impara meglio se si sta bene a scuola.
Sintetizzando… Nella logica aziendalista che si preoccupa dei prodotti, la scuola forma futuri consumatori che dovrebbero imparare a “crepare”. Nella logica costituzionale che si preoccupa delle persone, la scuola forma  futuri cittadini che dovrebbero imparare a “creare”.
A seconda del modello di scuola che gli insegnanti e i dirigenti hanno in testa e della logica nella quale si muovono, le riunioni con le famiglie e gli “open day” saranno improntati all’esibizione narcisistica dei propri prodotti oppure alla spiegazione di come aiutare gli studenti a stare bene per imparare meglio.
È stato proprio pensando a chi “spaccia” la propria scuola come “magica” che mi è venuto in mente quel prestigiatore strambo e stralunato, interpretato da Mac Ronay, che mi faceva ridere moltissimo quando la televisione era ancora in bianco e nero. Mi divertivano le sue espressioni di fronte alla banalità dei suoi trucchi, la sua nonchalance in seguito al fallimento delle sue magie e la sua goffaggine nel nascondere i suoi giochi di prestigio non riusciti. È pensando ai trucchi banali, alle magie da quattro soldi e ai giochi di prestigio indecenti di chi propone la “sua” scuola come un’azienda che mi chiedo come tutta quella finzione non risulti drammaticamente ridicola anche a chi la propone.


[1] La definizione è di Piero Calamandrei
[2] Danilo Dolci


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