Quest’estate
ho fatto un piccolo trekking di una settantina di chilometri della val di Susa.
Sono passato per Susa, per la chiusa di San Michele, per Bardonecchia,
Bussoleno, Condove. Mi è servito per farmi un’idea diversa da quella che si
legge e si ascolta sulla questione della Tav e che anche io avevo sviluppato in
questi anni. La questione non è quella di un treno da lasciare o meno passare
qui, non è la polarità tra velocità e lentezza, progresso e natura, una
comunità di imprenditori che si riunisce a Torino, una comunità di resistenti
che lotta nella valle. La prospettiva, ad allargarla bene, è quella di cosa
vuol dire educarsi alla politica oggi. L’esperienza dei No Tav ha insegnato a
fare politica a una generazione intera di persone che negli ultimi anni avevano
abbandonato il campo della riflessione e dell’azione. La vera polarità è quella
della politica contro la governance.
Per la prima
volta da Genova 2001 il movimento dei No Tav ha riportato al centro del
dibattito pubblico in Italia il confronto su che idea di futuro vogliamo: le
persone si sono riappropriate della propria capacità di scelta, al di là del
voto e di una manifestazione online.
Non c’è
stata nessuna mobilitazione in Italia negli ultimi anni così lunga, ampia e
soprattutto così consapevole; questa cosa ha spiazzato chiunque dall’altra
parte ha provato a liquidare la forza e le ragioni della protesta, come
minoritarie, nimby, retrograde, strumentali, fuori tempo massimo. L’infinita
stagione dell’antipolitica ha prodotto una retorica per cui ascoltare vuol dire
ignorare e confrontarsi vuol dire imporre: è stata un’attitudine alla cosa
pubblica che ha attraversato tanto la fascinazione per i tecnici quanto per i
populisti; in entrambi i casi è stata fatta piazza pulita dei luoghi della
discussione, dei corpi intermedi, del corpo vivo della democrazia.
Ora il gioco
non può essere più coperto, ed è per questo che si sta arrivando a un redde
rationem: la manifestazione di Torino del 10 novembre ha messo in luce la
composizione di classe e generazionale di chi è a favore della Tav e chi è
contro. Fate lo zoom sulle foto della manifestazione: faticherete a trovare
persone con meno di settant’anni. Fatelo alle foto che arriveranno dai cortei
di sabato prossimo, e troverete soprattutto un popolo di studenti, liceali,
universitari, da tutta Italia, oltre che le famiglie, adulti, anziani della
valle e oltre la valle.
Se Marco
Rovelli ha sbagliato a liquidare quella piazza Castello come un inconsapevole
agglomerato indistinto guidato da sette madamine torinesi; è innegabile però
che le foto che provenivano da quella piazza o dalla riunione della
Confindustria alle Officine Grandi Riparazioni è quella di una generazione
anziana che ha un’idea astratta della politica e che immagina di far valere le
proprie ragioni in nome di una superiorità morale e di classe.
Per fortuna
non è accaduto così, e accadrà così. Nonostante l’annichilimento feroce delle
coscienze politiche, le ragioni dei no Tav non sono quelle di chi si indigna o
di chi protesta, sono le ragioni di chi lotta. E le comunità, create
dall’esperienza della lotta, sono impossibili da liquidare.
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