martedì 18 dicembre 2018

Tra i prigionieri politici mapuche - Raúl Zibechi



“Se paragono la situazione attuale con quella di undici anni fa, vedo un cambiamento notevole nel nostro popolo”, spiega Mónica Quezada, madre de Matías Catrileo, assassinato (da un carabiniere con un colpo di pistola mitragliatrice sparato, ndt) alle spalle nel 2008, mentre recuperava delle terre. La congiuntura a cui si riferisce Mónica è la compatta mobilitazione sociale di massa cominciata dopo il 14 novembre, giorno in cui è stato assassinato Camilo Catrillanca, anche lui colpito alle spalle.
Abbiamo avuto quel dialogo lo scorso lunedì 10 dicembre nel carcere di Temuco, dove abbiamo fatto visita a tre degli otto detenuti politici mapuche: i fratelli Benito e Pablo Trangol e il machi Celestino Cordova. Erano attorniati da mezza dozzina di donne del loro popolo, che si prendono cura di loro ogni settimana, come sorelle politiche dei prigionieri.
I Trangol sono stati accusati dell’incendio di una chiesa evangelica, ma incriminati grazie a “testimonianze anonime”A loro era stata applicata la Legge AntiterrorismoHanno fatto uno sciopero della fame di oltre cento giorni, lo scorso anno, per rovesciare l’applicazione di norme che, secondo le organizzazioni che difendono i diritti umani, rappresentano la violenza, il razzismo e la discriminazione su basi etniche contro il popolo mapuche.
All’esteso periodo di rifiuto del cibo si sono uniti un fratello dei Trangol e un’autorità della sua comunità. Esigevano l’inizio di un processo giusto, visto che erano stati incarcerati per oltre un anno in attesa del giudizio, e la non applicazione della Legge Antiterrorismo. Il tribunale ha comminato dieci anni di carcere per Benito (35 anni) e Pablo (25 anni), senza altri elementi che non le dichiarazioni di una donna la cui identità è sconosciuta perfino agli avvocati. 
Il machi Celestino è stato accusato nel quadro delle indagini sulla morte della coppia di proprietari terrieri Luchsinger-Mackay, nel 2013. È stato condannato a 18 anni di prigione e ha fatto anche lui un lungo sciopero della fame di oltre 100 giorni per poter andare nella sua comunità a officiare una cerimonia tradizionale e compiere così la sua funzione di autorità religiosa dei Mapuche.
L’impressione che abbiamo avuto nella visita, confermata in tutti i dialoghi con le autorità mapuche, è che la repressione sta crescendo in forma esponenziale. Alcuni comuneros hanno riferito che il corpo dei carabineros utilizza modalità repressive illegali per attaccare le comunità e, in particolare, quelle impegnate nel recupero delle terre e nella resistenza verso lo Stato cileno.
I delitti nei confronti di Catrileo e Catrillanca mostrano chiaramente l’azione delittuosa dei carabineros. In entrambi i casi gli uomini in divisa hanno mentito. Catrileo muore nel corso di un’azione pacifica nel fondo Santa Margherita, dell’agricoltore Jorge Luchsinger, un terreno che rivendicano le comunità e che era presidiato dai carabineros che hanno sparato sul militante mapuche. La versione ufficiale parla di uno scontro armato, ma gli assassini avrebbero dovuto esser condannati quando l’inganno è stato smontato e smentito dalle prove acquisite con l’esame del corpo della vittima.
Catrillanca è stato colpito a morte alle spalle da un membro del Comando Jungla ancora dei carabineros mentre conduceva un trattore. La prima versione dei militari sosteneva che l’azione era avvenuta in risposta a un furto di automobili di insegnanti della scuola di Ercilla, furto compiuto da persone incappucciate, e che Catrillanca aveva precedenti penali. Le forze dell’ordine sostennero che l’azione non era stata filmata, ma in realtà decisero solo di far sparire le immagini girate.
Quando tutte le bugie sono venute alla luce, il governo ha fatto marcia indietro e in tutto il Cile si sono moltiplicate le manifestazioni di sostegno al popolo mapuche. A quelle enormi manifestazioni si riferiva Monica, la mamma di Matias Catrileo, quando menzionava la crescita del suo popolo in questo lungo e difficile decennio.
Come l’assassinio di Matias ha alimentato la crescita di una nuova generazione di militanti, così quello di Camilo sta ampliando l’orizzonte di tutto un popolo. Quel che è davvero nuovo nel Cile attuale non è la lotta dei Mapuche, un popolo che resiste da cinque secoli, ma il coinvolgimento di nuove generazioni di giovani (e meno giovani) in uno scontro di lunga durata contro uno Stato genocida e terrorista.
La dimostrazione della “potenza” che menziona Monica, quella crescita di popolo, non va cercata nelle grandi manifestazioni e nemmeno nelle azioni di protesta e solidarietà. È invece palpabile nei gruppi di base, nella moltiplicazione delle organizzazioni mapuche e miste, nella rilevante crescita del numero di persone che parlano e studiano il mapudungun (la lingua mapuche, ndt), compresi molti huinca (le persone non mapuche). Una forza che nasce dalla terra, da molto in basso, e che sta risultando imbattibile.
ll principale flagello di questo popolo è l’estrattivismo forestale, protetto e difeso dallo Stato e dal governo di Piñera. Quel modello ha un limite: come segnala nell’ultimo editoriale Mapuexpress, la dignità mostrata dalla famiglia e dalla comunità di Camilo Catrillanca hanno generato “un forte scossone perché si guardi con maggior precisione storica e politica a ciò che sta avvenendo nel Wallmapu (il nome con cui i Mapuche chiamano il territorio che lo Stato definisce Auracania, ndt) e segnato “una potente rotta per il popolo mapuche”.

Articolo pubblicato su Desinformemonos
e tradotto per Comune-info da Marco Calabria



2 commenti:

  1. Grazie per questo post, la questione dei Mapuche la sento molto e la seguo spesso da vicino.

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    1. Mapuche, palestinesi, curdi e rohingya sono perseguitati, e nessuno, di quelli in alto, fa niente, purtroppo...

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