giovedì 29 agosto 2019

Le chiacchiere di Biarritz e le bombe di Israele - Alberto Negri




Gli ingredienti per la rappresentazione di Macron c’erano tutti: Biarritz ha fornito la scenografia vacanziera e il palco del napoleonico Hotel du Palais per la messa in scena dei Grandi della Terra. Soprattutto si doveva soddisfare il primo attore, Donald Trump, un «pericoloso e petulante narcisista» come lo definisce sul Financial Times il suo ex consigliere Anthony Scaramucci: una star bizzosa, da trattare con i guanti.
In primo piano nel canovaccio francese il disastro mondiale dell’Amazzonia, le disuguaglianze economiche e sociali, l’Iran, la Cina, le guerre commerciali. Ma niente di questi temi così seri doveva prendere un tono drammatico, come era avvenuto al summit dell’anno scorso in Canada, ma virare verso la pochade ottocentesca, un intreccio caratterizzato da equivoci e doppi sensi da interpretare. E così è stato: il regista Macron ha puntualmente sorpreso il pubblico con i colpi di scena di al Sisi e Zarif senza mai scivolare in una tediosa, e pericolosa, serietà.
Questa del G-7 doveva restare una commedia brillante, un puro divertimento senza neppure l’ombra inquietante di una vera notizia. Un’elegante fake news per distrarre il pubblico internazionale dalla prossima e temuta recessione economica.
Ci sono le chiacchiere e poi c’è la realtà, al G-7 come in qualunque consesso umano. Il vertice di Biarritz non è stato esattamente come lo descrivono le cronache. Con il colpo di teatro dell’arrivo del ministro degli Esteri iraniano Macron ha annunciato alle tv che era stata raggiunta un’intesa per inviare un messaggio comune a Teheran. Trump poco dopo lo ha smentito, anche se ha aggiunto di non avere niente da obiettare agli sforzi francesi di mediazione. «Siamo aperti al negoziato _ è la posizione ufficiale Usa _ ma non ci sono le condizioni per avviarlo». Stop.
In realtà Trump ha lasciato fare a Macron le sue evoluzioni mentre Israele bombardava in quattro Paesi del Medio Oriente facendo la sua guerra all’Iran. Gli israeliani hanno colpito in Iraq le milizie sciite affiliate a Teheran, poi ha cercato di bersagliare gli Hezbollah filo-iraniani a Beirut, preso di mira i Pasdaran degli ayatollah in Siria e bombardato Gaza. In poche parole mentre a Biarritz si faceva finta di discutere, il maggior alleato Usa nella regione faceva parlare le armi. Nei campi di battaglia se ne fregano del G-7.
Per il presidente americano questi vertici internazionali sono di una noia assoluta, l’unica cosa che poteva interessarlo era riammettere Putin espulso nel 2014 per l’annessione della Crimea ma gli europei si oppongono e la questione è stata per il momento archiviata.
La stessa cosa vale per i dazi, una guerra commerciale che sta trascinando al ribasso l’intera economia mondiale. Trump non solo vuole imporli ai cinesi ma anche agli europei: è consapevole che questo può portare a una vasta crisi economica mondiale ma è disposto a pagarne il prezzo, almeno fino al punto che questo non incida sulla sua rielezione, visto che ormai è entrato in piena campagna elettorale.
Anche la Brexit nella pochade di Biarritz è apparsa meno drammatica ma persino il prossimo amicone di Trump, il premier Boris Johnson, ha ribadito che il libero commercio è un pilastro della politica britannica da 200 anni. Per ora il patto transatlantico non si vede e Trump, per non perdere troppo tempo, ha vestito per un momento anche i panni del piazzista vendendo il suo grano ai giapponesi. Tokyo ha specificato che acquisterà solo le quote di grano Usa che non saranno vendute in Cina.
Quanto all’Italia questo G-7 era soltanto una passerella per il premier dimissionario Giuseppe Conte che, contrariamente alla Lega di Salvini, sostenendo la candidatura della tedesca Ursula von der Leyen alla presidenza della commissione europea, si è guadagnato l’appoggio dell’establishment dell’Unione, secondo il copione dettato dal presidente Mattarella.
Conte è apparso così sicuro da dichiarare che «dopo un anno di governo è in grado di indicare le soluzioni per risolvere i problemi del Paese». Neppure Andreotti aveva mai detto una cosa simile dopo mezzo secolo ai vertici della repubblica.

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