venerdì 30 agosto 2019

MIGRANTI – Derek Walcott



L’onda della marea dei rifugiati, non un semplice passo di oche selvatiche,
gli scali di carbone nei vagoni merci, le facce smunte,
e in particolare lo sguardo fisso dei bambini come succede ai corpi dei morti
dentro le fosse di calce, o come fa il pacciame luccicante che si disfa
sotto i piedi in autunno nel fango, mentre il fumo di un cipresso
segnala Sachsenhausen,)
e quelli che non stanno sopra un treno, che non hanno muli o cavalli,
quelli che hanno messo la sedia a dondolo e la macchina per cucire
sul carretto a mano perchè da tempo le bestie hanno lasciato
i loro campi al galoppo per tornare alla mitologia del perdono,
alle campane di pietra sui ciottoli della domenica e al cono
della guglia del campanile aranciato che buca le nubi sopra i tigli,
quelli che appoggiano la mano stanca sulla sponda del carro
come sul fianco del mulo, le donne con la faccia di selce
e gli zigomi di vetro, con gli occhi velati di ghiaccio che hanno
il colore degli stagni dove posano le anitre, e per le quali
c’è un solo cielo e una sola stagione nel corso di un anno
ed è quando il corvo come un ombrello rotto sbatte le ali,
si sono tutti ridotti alla comune e incredibile lingua
della memoria, e questa gente che non ha una casa e nemmeno
una provincia parla delle fonti limpide e parla delle mele,
e del suono del latte in estate dentro le zangole
piene,
e tu da dove vieni, da quale regione, io conosco
quel lago e anche le locande, la birra che si beve,
e quelle sono le montagne dove riponevo la mia fede,
ma adesso sulla carta, che è simile a un mostro, altro non si vede
che una rotta che ci porta verso il Nulla, anche se sul retro
c’è la veduta di un posto che si chiama la Valle del Perdono,
dove il solo governo è quello dell’albero dei pomi e le forze
schierate dell’esercito sono gli striscioni di orzo
all’interno di umili tenute, e questa è la visione
che a poco a poco si restringe dentro le pupille
di chi muore e di chi si abbandona in un fosso,
rigido e con la fronte che diventa fredda come le pietre
che ci hanno bucato le scarpe e grigia come le nuvole
che quando il sole si leva, si trasformano subito in cenere
sopra  i pioppi e sopra le palme, nell’ingannevole aurora
di questo nuovo secolo che è il vostro.

(traduzione di Luigi Sampietro)


Nessun commento:

Posta un commento