Ma, mi dispiace,
io non scriverò che «sono Charlie Hebdo». Non metterò una bandiera nera sul mio
profilo Facebook e non posterò nessun disegno di Charb e nemmeno di Wolinski
che mi piace tanto… E se avete tempo di leggere il mio lungo ragionamento vi
spiego il perché.
«Charlie Hebdo»
nasce nel 1992 ma la squadra che lo fonda viene da una lunga storia di giornali
di satira libertaria. Quello che si può considerare come l’antenato di Charlie
è «Hara-kiri» dove lavoravano già vari membri dell’attuale redazione.
«Hara-kiri» se la prendeva con i potenti, con De Gaulle, con l’esercito, con la
chiesa e fu varie volte chiuso e riaperto sotto varie forme e titoli.
Era divertente,
dissacrante, feroce qualche volta. Ma sapeva di quella aria di libertà
dell’epoca. Oggi il «Charlie Hebdo» è cambiato. Lo si compra ancora, qualche
volta, perché ha un nome. Il suo pubblico non è più l’operaio o lo studente
senza una lira, ma la “gauche-caviar” della Parigi bene.
Negli ultimi anni
poi ha preso una linea editoriale apertamente islamofoba. Non è il fatto di
prendere ogni tanto in giro una religione. Quello l’ha sempre fatto anche con
la chiesa cattolica. Il problema non è qui. Se prendesse in giro i musulmani,
l’islam, il profeta, dio o qualsiasi altro persona o simbolo sacro non ci
vedrei personalmente niente di sbagliato. Ma le numerose campagne di «Charlie
Hebdo» contro i musulmani, l’islam, i simboli sacri di questa religione
sapevano di accanimento. Faceva parte di una certa cultura molto diffusa negli
ambienti che una volta erano stati di sinistra e che oggi sono solo
sinistramente cinici. Ambienti che hanno definitivamente deciso di stare dalla
parte dei forti e che non hanno più nessuna bataglia vera da portare avanti.
Una ex sinistra che si è arresa mani e piedi legati alla logica di mercato, al
dominio delle banche e ultimamente anche alla retorica dello scontro di
civiltà. Una ex sinistra che considera che l’integralismo islamico sia l’unico
e ultimo pericolo che minaccia l’umanità. Una ex sinistra che non ha più sogni
né progetti del resto e che si accontenta di guardare il mondo dall’alto della
sua presunta superiorità culturale.
Ma non è per
questo che non metterò nessun segno di cordoglio per i morti di «Charlie
Hebdo». Non riconosco a nessuno il diritto di ammazzare nessuno in nome di
niente e ancor meno in nome di una qualunque discordanza di opinioni. Le mie
ragioni sono altre.
L’attacco alla
redazione del giornale satirico viene in un momento particolare. Ancora un anno
fa non si parlava per niente di integralismo. Era quasi scomparso dalle prime
pagine. E se si vedevano immagini di barbuti in armi nelle strade di Tripoli o
di Aleppo venivano chiamati “Rivoluzionari”. E si cantavano le lodi di questi
bravi ragazzi. Si legge ovunque che i bravi ragazzi ricevono aiuti da tutte le
parti. Si legge un po’ meno che in Siria i ragazzi prendono il controllo di
varie stazioni di estrazione di petrolio e che la Turchia, uno stato membro
della Nato glielo compra tranquillamente. Si legge ancora meno che oltre agli
aiuti e alle migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo in aiuto dei
bravi ragazzi ci sono anche consiglieri militari che insegnano ai bravi ragazzi
a combattere…
Poi
all’improvviso tutto cambia. Ritornano a chiamarlo terrorismo, le uccisioni di
membri delle minoranze finora taciute vengono a gala. I servizi segreti di
tutti i paesi della Nato (e i loro numerosi alleati) fanno tutti finta di
cadere dalle nuvole scoprendo che migliaia di giovani sono partiti dalle loro
città per dare man forte ai “rivoluzionari”. Non sapevano nulla, pare. E noi a
scandalizzarci con loro.
Sono ormai decenni
che questo giochetto va avanti. Le reti che oggi si chiamano Al Qaeda e poi
Isis, Boko Haram e compagnia bella sono stati messi in sella in piena guerra
fredda in chiave anti-sovietica. I paesi del Golfo persico in collaborazione
con la Nato hanno fatto un montaggio finanziario, propagandistico e
organizzativo per far arrivare combattenti da ogni dove. Al Qaeda è l’alleato
principale della Nato e ovviamente dei Paesi del golfo fino agli anni novanta.
Poi poco a poco scivola verso l’area di illegalità.
Intanto la guerra
fredda stava finendo e Samuel P. Huntington preannunciava un nuovo conflitto e
lo battezzava “scontro di civiltà”.
Nel frattempo
arriva la guerra d’Algeria. Centinaia di giovani rientrati dall’Afghanistan
contribuiscono a formare i primi nuclei dei Gruppi Islamici Armati. Gruppi che,
insieme all’esercito algerino (che anche lui non ha scherzato) hanno fatto
passare al Paese due decenni infernali. Nel frattempo nelle moschee londinesi
soprattutto ma anche francesi, italiane, tedesche individui poco raccomandabili
predicavano la lotta armata in Algeria e raccoglievano soldi e facevano fare
affari d’oro all’industria delle armi. L’Algeria stava uscendo da una era
socialista e aveva bisogno di una piccola spintarella per privatizzare le sue
enormi risorse energetiche. E come per miracolo a ogni concessione firmata con
una multinazionale veniva chiusa una rete di sostegno all’integralismo armato.
Poi quando le multinazionali presero il controllo del petrolio algerino, le
reti diventarono terroristiche e furono smantellate ovunque. O almeno così ci
disse la stampa libera del mondo libero.
Fatto sta che nel
2001 ci fu l’11 settembre e ci fu una vera e propria isteria. Chi non aveva
terroristi islamici da arrestare se li inventava. Tutti volevano avere la loro
minaccia, il loro mini attacco. Non fu mai chiaro né chi né perché né come
furono eseguiti gli attentati di quel giorno ma cadevano a fagiolo per
giustificare le nuove politiche di controllo militare dell’area del Medio
Oriente volute dai neo-cons americani. Sono ormai 14 anni che va avanti la loro
War on Terror e non ha prodotto che sempre più Terror e sempre nuove Wars.
Ma poi i Neo-cons
se ne sono andati e arriva Obama, che dice di voler ritirare le truppe e se ne
va al Cairo e fa un discorso lungo e forte in cui dice che tende la sua mano
per aiutare alla creazione di un “Nuovo Medioriente”. Poco dopo quel discorso
le piazze arabe cominciano a muoversi. Il mondo scopre che nel mondo arabo non
ci sono solo militari baffuti e ribelli barbuti. In mezzo ci sono popoli
colorati e variegati che aspirano, tutto sommato, alle stesse cose di tutti i
popoli: dignità, libertà, benessere… Gli islamisti sono del tutto assenti dalle
piazze o quasi. Comunque non hanno l’iniziativa. Seguono qualche volta. Qualche
volta si ritirano. Ma il “là” lo danno giovani laici, colti e amanti della
libertà e dei diritti umani.
Ma questo non
soddisfa tutti, sembra. Già nel maggio 2011, i servizi segreti russi
(generalmente ben informati per quel che mi risulta) davano l’allarme
sull’imminente ricostruzione di reti integraliste internazionali sotto il
commando dello specialista saudita in materia: il principe Bandar Assudairi Ben
Saud, artefice di vari gruppi e varie guerriglie islamiste attraverso il mondo.
L’obiettivo è riportare l’islamismo politico alla testa delle rivolte.
L’informazione fu ripresa soltanto dalla rete Voltaire, ufficialmente classificata
nel rango dei complottisti e tutti fecero finta di niente.
Oggi tutto quello
che era previsto in quell’avvertimento si è avverato e anche di più.
In Libia un
comandante “ex” Al Qaeda alla testa di un esercito armato dal Qatar e
dall’Arabia Saudita e addestrato dalla Cia prende la città di Tripoli che le
milizie tribali non riuscivano a conquistare e il Paese diventa una specie di
territorio liberato per i gruppi armati di ogni tipo. In Yemen l’Arabia Saudita
rimette il vecchio regime in piedi ma stranamente gruppi armati spuntano
ovunque come funghi. In Egitto e Tunisia i Fratelli Musulmani sono portati al
potere su un tappeto di petrodollari. In Siria non ne parliamo… Il resto della
storia lo sappiamo.
Nel frattempo in
Occidente le moschee (non tutte per fortuna ma quelle più estremiste e che
sarebbero in teoria anche quelle più monitorate dai servizi) hanno ripreso a
diventare luoghi di raccolta fondi e reclutamento. Domani forse se qualche
giudice indaga troppo da vicino sul perché, potrà esserci più di un nuovo caso
Abu Omar. E poi adesso, da meno di un anno, tutti a gridare al lupo. Ma a che
gioco giochiamo. Qualcuno ce lo può spiegare?
Sono ormai 30
anni che i servizi di tutto il mondo giocano come si gioca con il fuoco con i
gruppi integralisti. Sono controllati, sono infiltrati, sono gonfiati quando
servono e sgonfiati quando non servono. Del resto è quello che si è anche fatto
e che si continua a fare con vari gruppi estremisti di destra e di sinistra
dalla seconda guerra in qua. Chi si ricorda della sigla “Stai Behind” e dei
finti attentati (ma con veri morti) attraverso tutta Europa sa di che sto
parlando.
Oggi c’è bisogno
di far salire la posta in gioco. La crisi chiede guerre. Le nuove guerre per il
controllo del Medio Oriente hanno bisogno di legittimità. La crisi ha
sputtanato tutta la classe politica europea e solo la salita degli estremismi
di destra può spingere la gente a rivotarli di nuovo. Non ti piace Renzi ma
siccome c’è il rischio Salvini (chi sa come mai è sempre in tv quello?) allora
ci vai e lo voti. Del resto anche le reti dell’integralismo armato hanno
bisogno di far salire il livello di tensione. Chi vive di violenza e per la
violenza ne ha bisogno come dell’ossigeno. Stanno nella stessa logica anche
loro.
E allora adesso,
commesso il fattaccio, tutti i fascistoidi, che avrebbero volentieri fatto
esplodere la testa al gruppo «Charlie Hebdo» per le vecchie posizioni
antifasciste o per le loro posizioni sull’omosessualità e altri temi del
genere… tutti hanno già pubblicato sulle loro bacheche messaggi di cordoglio e
tutti piangono lacrime di coccodrillo su questa Europa, che loro vorrebbero
libera, ma che è minacciata dai musulmani, dagli africani, dagli asiatici,
portatori di valori antidemocratici! E sui set televisivi hanno già cominciato
a raccogliere i frutti di questa vera e propria manna politica servita loro su
un piatto… di piombo.
É per non fare
parte di questo gigantesco teatrino delle emozioni su ordinazione, degli
sgomenti selettivi, della solidarietà di facciata, delle amnesie collettive e
dell’ipocrisia generalizzata che non metterò bandiera nera, né scriverò «Io
sono Charlie». Io non sono Charlie. Lo sono stato da piccolo, quando anche
Charlie era Charlie. Oggi non lo siamo più né lui né io.
Oggi Charlie non
fa più ridere nessuno e a me mi viene voglia di piangere, ma da solo, in
disparte. Mi vien da piangere, ma non solo per Wolinski o per i suoi colleghi.
Mi vien da piangere per tutti i morti di questa sordida storia. Mi vien da
piangere per le centinaia di migliaia di morti durante la guerra sporca in
Algeria, per gli amici che vi ho perso. Mi vien da piangere per le vittime del
World Trade Center, per il mezzo milione di iracheni, le centinaia di migliaia
di afghani, pachistani, per le decine di migliaia di libici, di yemeniti, di
palestinesi, per le centinaia di migliaia di persone uccise in Siria, il tutto
in una tragica farsa chiamata Scontro di civiltà.
Ma, sai... anche in coloro che hanno detto, a caldo, sull'onda dell'emozione e dello sgomento e della paura, Je suis Charlie, ci sono ... buoni e cattivi, diciamo così. Io l'ho detto, ad esempio, come l'urlo in reazione a un dolore improvviso, ad una ingiustizia palese, e, sì, anche riconoscendomi umana tra gli umani, a differenza di chi uccide. Ho ricordato però anche come, a casa nostra, in Italia, Calderoli avesse cavalcato subito lo scontro nato all'epoca delle prime vignette danesi del Jyllands-Posten e riflettuto, allora, di come, forse, anche la satira avrebbe dovuto avvicinarsi con cautela a temi tanto delicati e pericolosi, inutili se al sorriso che avessero ispirato fosse stata affiancata troppa sofferenza, intesa in senso lato come quello che è regolarmente accaduto dopo. Insomma, alla fine, il gioco valeva la candela? L'obiettivo era una risata o un giudizio sull'Islam intero? L' equivoco era verosimile. Nessun equivoco possibile di fronte alla morte.
RispondiEliminanon ci sono equivoci, è una mattanza senza giustificazione, se non nell'ottica del videogioco di cui non so il nome, gli assassini qui hanno fatto molti punti.
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