mercoledì 23 settembre 2020

continua la rapina dei servizi pubblici essenziali

La fibra ottica: un altro pezzo d'Italia svenduto agli stranieri - Paolo Maddalena

Per quanto riguarda il contagio da corona virus si può dire che la situazione italiana è stabile, con un’infezione media sotto i mille casi al giorno.

Molto più grave è la situazione degli altri Paesi europei, tra quali preoccupano Spagna, Francia e i Paesi dell’Est Europa. Per il resto del mondo la situazione è tragica in India, che nel solo mese di agosto ha registrato oltre 2 milioni di nuovi infetti, mentre appare fuori controllo negli Stati Uniti, in America Latina e in Africa.

Sul piano economico è da sottolineare che gli effetti del Covid-19 sono stati disastrosi per tutti.

Particolare è la situazione degli Stati Uniti, dove l’ecatombe finanziaria, dovuta alla fragilità del sistema economico predatorio neoliberista, il quale, come ripetuto, è fondato sull’erroneo presupposto della “crescita illimitata”, ha trovato il capro espiatorio nelle persone di colore, secondo un mantra, sostenuto da Trump, in base al quale la situazione di disagio economico dei singoli cittadini sarebbe dovuta all’affermazione nel lavoro e nella vita pubblica degli afroamericani.

Il che ha prodotto atti di ferocia inaudita da parte della polizia che ha soffocato o sparato a brucia pelo afroamericani che si erano comportati disciplinatamente al loro ordine di fermo.

È un atteggiamento questo che è molto pericoloso anche per gli altri Paesi del mondo, poiché si fonda su una menzogna che trova facile accoglimento nella mente degli sprovveduti.

Per quanto riguarda l’economia Italiana, ieri è stato firmato un accordo fra la Tim e il governo, che prevede la costituzione di una società unica (AccessCo), formata da due gruppi di società: l’uno facente capo a Tim e comprendente, oltre a Tim (58%), gli statunitensi del fondo Kkr (37,5%) e Fastweb (4,5%); l’altro gruppo costituito da Openfiber a sua volta formato al 50% da Cassa depositi e prestiti e dall’altro 50% da Enel, la quale, uscirebbe da Operfiber cedendo parte delle sue quote a Cdp e l’altra parte al fondo australiano Macquire.

In sostanza Tim avrebbe il 50,1% delle azioni della nuova società (AccessCo), quindi la maggioranza, e il rimanente 49,9% si dovrebbe dividere fra Cdp, gli statunitensi di Kkr, Fastweb e gli australiani del fondo Macquire. Ed è da sottolineare che Tim è straniera al 65,5%, essendo costituita per il 51,68% da Investitori istituzionali esteri e per il 23,94% dai francesi di Vivendi, mentre Cassa depositi e prestiti detiene appena il 9,89% e gli Investitori istituzionali italiani sono al 2,16%.

In un momento in cui, a causa del corona virus, l’Italia si trova in gravi difficoltà economiche e ha preso in prestito 209 miliardi dall’Europa, il governo si permette di cedere agli stranieri quella che, al momento, è una fonte importantissima di produzione di ricchezza e di profitti, che, anziché andare al Popolo italiano, vanno a fameliche società straniere e a inesperti faccendieri privati.

Sottolineiamo al riguardo che la costruzione e la gestione della rete della fibra ottica è da ritenere un servizio pubblico essenziale, il quale, secondo l’articolo 43 della Costituzione, deve essere in mano pubblica o di comunità di lavoratori o di utenti, e che, così agendo, il governo ha fraudolentemente tolto agli italiani una fonte enorme di produzione di ricchezza a essi spettante, come “proprietà pubblica demaniale” (art. 42 Cost.), e cioè una proprietà inalienabile, inusucapibile e inespropriabile.

Si deve aggiungere che, menzogneramente e al solo fine di rendere l’operazione accettabile dall’immaginario collettivo, detto accordo prevede che la governance della nuova società sarà tenuta da Tim e da Cassa depositi e prestiti.

A questo punto è doveroso chiedersi quale forza potrà avere la Cassa depositi e prestiti con la sua esigua quota sociale, difronte al gruppo Tim, formato, come quasi esclusivamente da stranieri.

Insomma si tratta di un accordo capestro per gli interessi nazionali, che restano assolutamente indifesi di fronte alla cupidigia delle avide società private, Tim in prima fila, il cui fine è il perseguimento dei profitti dei propri soci e non l’interesse dell’intera comunità italiana.

È da aggiungere che la Cassa depositi e prestiti è anche essa una S.p.A., e come tale proiettata ad agire più come una banca privata, che procede anche a investimenti rischiosi, piuttosto che un Ente pubblico tenuto a perseguire gli interessi della collettività.

È da ricordare, comunque, l’errore fondamentale della trasformazione di Cdp da Ente pubblico a S.p.A. risale al governo Berlusconi, costituisce cioè un passaggio importante per la costituzione del sistema economico predatorio neoliberista, realizzato con la legge 24 novembre 2003, numero 126 di conversione del decreto legge 30 settembre 2003, numero 269.

da qui



Diffusione del potere - Paolo Maddalena, Ugo Mattei

In Italia la lotta per I beni comuni ha incominciato ad articolarsi, nei primi anni del nostro secolo, come difesa di quanto appartiene al popolo rispetto alle privatizzazioni neoliberali. Attraverso la resistenza per i beni comuni abbiamo articolato un’ideologia politica radicalmente alternativa al neoliberismo, denunciando i veri e propri saccheggi che si sono celati dietro slogan sempre più dominanti quali la concorrenza, l’efficienza, la governance, l’innovazione tecnologica ad ogni costo….

Le tappe salienti sono state: il 2008, con la proposta di riforma della Commissione Rodotà, che ne ha legato la definizione all’implementazione dei diritti costituzionali fondamentali e agli interessi delle generazioni future, senza precisare tuttavia che essi sono “proprietà collettiva” del Popolo sovrano; il 2011, con la clamorosa vittoria dei referendum sull’acqua bene comune, contro il rigurgito del nucleare e la “messa a gara” dei servizi pubblici locali; il 2013 con il movimento per i beni comuni emergenti (Teatro Valle, Asilo Filangieri….) e la cosiddetta Costituente per i beni comuni, guidata dallo stesso Rodotà e che sfociò nella candidatura al Quirinale; il 2015 con la diffusione capillare dei diversi regolamenti per i beni comuni urbani; e infine il 2018 quando, a seguito del crollo del Ponte Morandi, nasceva il Comitato Rodotà per riproporre, sotto forma di Legge Iniziativa Popolare, il vecchio testo di riferimento, del 2008.

Quest’ultima iniziativa, proprio per il mancato riferimento alla proprietà collettiva del Popolo, ha provocato una spaccatura fra diverse sensibilità del movimento per i beni comuni, depotenziandone la capacità di incidere. La diatriba è stata in realtà più tecnica che sostanziale e a seguito di diverse discussioni fra i giuristi più sensibili a queste tematiche, i tratti teorici unificanti sono tuttavia finalmente prevalsi.

Oggi il movimento per i beni comuni si è ricompattato. Tutti noi oggi riconosciamo che la titolarità dei beni comuni appartiene direttamente al popolo inteso come comunità – nello spazio e nel tempo, quindi comprensiva anche delle generazioni future – ed è perciò direttamente fondata nell’Articolo 1 della Costituzione. È il popolo attraverso il processo democratico inteso nel senso più ampio a “riconoscere” quali siano i beni comuni e dunque a collocarli anche culturalmente “fuori mercato” (res extra commercium), informandone il governo a una logica della cura e del bisogno. Si tratta naturalmente di comunità ecologica aperta, non comunità proprietaria chiusa, e infatti l’accesso e la tutela diffusa, oltre alla gestione condivisa e partecipata sono le cifre strutturali dei beni comuni.

Ogni utilità sociale può essere riconosciuta come “bene comune” attraverso atti politici formali o informali di natura costituente (Bruce Ackerman parla di momenti costituzionali). Riconoscere un bene comune significa operare una “diffusione del potere decisionale” rispetto ad esso, secondo i tratti della democrazia partecipativa autentica, vero brodo di coltura della rappresentanza che oggi il movimento dei beni comuni difende votando NO al referendum. Già nel 2016, il Popolo ha ripreso nelle proprie mani il momento costituente, bocciando una trasformazione della Costituzione in chiave decisionista, efficentista e neoliberale. ll vero processo costituente materiale è infatti quello che attua, non che riscrive la Costituzione, proprio a partire dai suoi tratti democratici di sovranità popolare diffusa sui beni comuni. La diffusione del potere (e quindi la massima partecipazione in Parlamento, nelle Regioni, nei Comuni ma anche reinventando tratti di governo democratico dell’economia ai sensi dell’Articolo 43 della Costituzione) è la cifra dominante di ogni discorso sui beni comuni. La Costituzione nata dalle Resistenza è il primo bene comune. Essa deve appartiene, nel modo più collettivo possibile, al popolo italiano.

da qui


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