mercoledì 30 settembre 2020

Scopri quanti ti spiano mentre visiti il tuo sito preferito - Riccardo Luna

Ieri sera ad un certo punto negli Stati Uniti su Twitter è tornato un trending topic dal nostro recente passato: Cambridge Analytica. Decine di migliaia di persone si sono messe a condividere post sulla società che qualche anno fa aveva trovato il modo di profilare gli utenti di Facebook per mandare a ciascuno di loro messaggi in grado di condizionarne il voto.


L’emittente tv Channel 4 era riuscita a mettere le mani sul documento utilizzato nel 2016 dal team elettorale di Donald Trump per profilare 200 milioni di elettori americani, dividerli in gruppi politicamente omogenei, puntare il gruppo non di quelli che avrebbero potuto votare per il candidato repubblicano, ma di quelli che avrebbero potuto non votare per la candidata democratica Hillary Clinton; quel gruppo è stato chiamato “deterrence”, scoraggiamento, perché ciascuno di loro su Facebook ha visto messaggi che puntavano a convincerli a non andare alle urne, scoraggiandoli; in quel gruppo c’erano 3,5 milioni di neri americani, molti dei quali poi in effetti alla urne non ci sono andati. E Trump è diventato presidente degli Stati Uniti. Fine della storia triste. In fondo Facebook dopo ha cambiato le regole di utilizzo della piattaforma e Mark Zuckerberg ha chiesto scusa pubblicamente. Vuol dire che le nostre democrazie sono di nuovo al sicuro?

In questi giorni si dibatte molto di The Social Dilemma, un documentario prodotto da Netflix nel quale una dozzina di pentiti della Silicon Valley raccontano come hanno sviluppato e gestito gli algoritmi con i quali la nostra vita digitale è in ogni istante memorizzata, analizzata, segmentata e utilizzata per condizionarci. Il punto non è se il documentario sia o meno riuscito nel suo scopo, il punto è: non è che per caso quello che Cambridge Analytica poté fare nel 2016 con un uso disinvolto delle larghissime maglie che Facebook aveva all’epoca, adesso è diventato semplicemente legale? E’ diventato la regola e non più l’eccezione? 

Qualche giorno fa The Markup ha rilasciato uno strumento che potrebbe avere la risposta. 
The Markup è un nuovo giornale online nato con l’obiettivo di smascherare e raccontare il vero funzionamento dell’economia digitale. “Big Tech is watching you, we are watching Big Tech” è lo slogan. Lo strumento si chiama Blacklight ed è semplicissimo da usare: scrivi il nome di un sito ed in meno di un minuto quello ti dice quante persone ti spiano quando lo visiti. Spiare è un termine forte ma rende l’idea: parliamo dei “cookie”, pezzettini di software che ti agganciano e ti seguono ovunque vada nel web; e parliamo degli “ad tracker”, registratori del tuo comportamento online utilizzati dalle grandi multinazionali che vendono la pubblicità, quelli che se in una mail hai scritto Maldive, ti propongono subito un viaggio alle Maldive adatto alla tua capacità di spesa. 

The Markup ha testato Blacklight sui 100 mila siti più popolari del Web e ha scoperto che l’87 per cento usa qualche forma di profilazione degli utenti; moltissimi avvisano direttamente Google e Facebook di ogni visita; i più scaltri hanno software che registrano tutto anche se uno ha deciso di bloccare i cookie. Se ne fregano e ti fregano. 

Ho provato Blacklight sui 100 siti più visitati d’Italia e il risultato è lo stesso: a parte Wikipedia e il sito dell’Inps, tutti gli altri hanno “cookie” e “ad tracker”; c’è chi ne ha diverse decine. Ai primi posti ci sono quelli che quando atterri sul loro sito ti accolgono con il messaggio rassicurante “noi abbiamo a cuore la tua privacy, vuoi ricevere tutti i cookie o scegliere quelli che preferisci?”. Al che noi clicchiamo rapidamente su “tutti” per iniziare a leggere o guardare quello che cercavamo e decine di pezzetti di software iniziano a seguirci e profilarci per sempre a nostra insaputa ma non senza la nostra sbrigativa complicità.

Che altro potremmo fare? Moltissime cose: forse basterebbe meno ipocrisia da parte di chi gestisce un sito, basterebbe imporgli di farci  accogliere con un messaggio onesto che dicesse “vuoi essere seguito e profilato da decine di cookie di queste società elencate non sapendo bene che fine faranno i tuoi dati personali?”. Servirebbe una presa di coscienza collettiva del fatto che la vita digitale è meravigliosamente comoda e solo apparentemente gratuita, visto che si regge su presupposti fondamentalmente sbagliati e pericolosi. Perché non si tratta solo di farci andare alle Maldive, ma di mettere qualcuno in condizione di farci votare per un candidato o non farci votare affatto. 
Ecco ho l’impressione che Cambridge Analytica ai tempi ci abbia indignato parecchio, ma che non abbiamo risolto il problema. Lo abbiamo solo reso legale. 

da qui

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