domenica 20 settembre 2020

Recovery Fund, azzerati gli interessi del Popolo italiano: ecco cosa manca - Paolo Maddalena

Per quanto riguarda gli aspetti economici, è da segnalare che il Presidente del Consiglio Conte ha inviato alle Camere le linee guida per l’utilizzazione dei 209 miliardi del Recovery Fund.

Le materie su cui intervenire sono le seguenti: digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione, formazione, ricerca e cultura; equità sociale, di genere e territoriale; salute.

Si direbbe che gli obiettivi da raggiungere sono importanti, anche se non si nota un coordinamento delle azioni da compiere, e viene in evidenza una sorta di dispersione degli interventi in vari rivoli.

Comunque, quello che c’è di importante da obiettare, è che queste linee guida non tengono in nessun conto il contesto economico globale nel quale l’Italia deve agire.

Come tutti sanno, la globalizzazione dell’economia è stata affrontata in modo diverso dai vari Stati europei e internazionali e soltanto l’Italia ha privatizzato, immettendoli sul mercato, i beni essenziali sui quali si regge la vita del Popolo, e cioè le fonti di produzione del patrimonio pubblico, disintegrandolo e offrendolo a prezzi irrisori a società private italiane o straniere.

Se davvero i nostri governanti volessero salvare il nostro Paese, dovrebbero utilizzare i fondi del Recovery fund e, aggiungiamo noi, l’emissione di una moneta di Stato, per restituire al Popolo tutti quei beni, che sono stati proditoriamente privatizzati e svenduti.

Questa finalità è imposta dall’articolo 43 della Costituzione, secondo il quale devono oggi ritenersi inalienabili, inusucapibili e inespropriabili: le industrie strategiche, i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia e le situazioni di monopolio, usando gli istituti della nazionalizzazione e del golden power, come spesso hanno fatto gli Stati stranieri.

I governanti italiani invece, tradendo le aspettative del Popolo, hanno messo tutto sul mercato, addirittura gloriandosi per questa loro azione, senza tener presente che privatizzare, trasformando cioè l’Ente o l’Azienda pubblica in una S.p.A., significa togliere al Popolo questi beni essenziali e cederli per pochi spiccioli a singoli soci privati, prevalentemente stranieri, delle S.p.A.

Così, solo per fare qualche esempio il governo Prodi nel 1997 non esitò a svendere Telecom (ora Tim) per 26 miliardi di lire pari a circa 13 milioni di euro, con una situazione economico finanziaria effettivamente brillante, costituita da un fatturato pari a oltre 27 miliardi di euro e un debito pari a 8 miliardi di euro.

Dopo la vendita, Telecom fu oggetto di speculazioni da parte di faccendieri italiani (Colaninno, Tronchetti Provera, Benetton), che portarono la società in un grave indebitamento, che nel 2006 già raggiungeva i 43 miliardi di euro.

Dopo varie vicende la proprietà di Telecom, intanto trasformata in Tim, fu ceduta a investitori di fondi stranieri per il 51,68%, ai francesi di Vivendì per il 23,94%, alla Cassa depositi e prestiti e fondi istituzionali italiani per il 12%. Producendo inoltre la perdita di numerosissimi posti di lavoro e la svendita quasi totale del patrimonio immobiliare della società (e poi si dice che il privato è meglio del pubblico).

Ecco a cosa servono le privatizzazioni. Anche il governo attuale non si è mostrato da meno, donando una miniera d’oro, costituita dalla fibra ottica (per la cui realizzazione saranno utilizzati anche i fondi del Recovery Fund), proprio a Tim, e facendo in modo che i Benetton, responsabili del crollo del Ponte di Genova, anziché vedersi revocata la concessione, escono da Autostrade con un guadagno di oltre 2 miliardi di euro.

In questa situazione agli italiani non resta che utilizzare quell’istituto che Dossetti denominava “diritto di resistenza” e cioè lo sciopero generale e il ricorso alla magistratura per portare le leggi incostituzionali finora emanate al giudizio della Corte costituzionale.

Ciò è possibile poiché in base all’articolo 2 della Costituzione, il cittadino può agire non solo come singolo, ma anche come parte della collettività, e, in base all’articolo 3, comma 2, esso ha il diritto di partecipare all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, mentre secondo l’articolo 118, ultimo comma, egli può svolgere, sia come singolo, sia insieme ad altri cittadini, attività di interesse generale secondo il principio di sussidiarietà.

Esiste dunque, in Costituzione, il riconoscimento della legittimazione ad agire in giudizio di tutti i cittadini, specie se uniti in comitati, ed è da sottolineare che, nel nostro caso, detti cittadini possono chiedere al giudice ordinario di dichiarare, senza limiti di tempo, la nullità dei contratti di cessione a privati dei beni che appartengono al Popolo a titolo di sovranità, in quanto contrari al principio precettivo e imperativo dell’utilità pubblica di cui all’articolo 41 della Costituzione, ottenendo l’annullamento di tali atti ai sensi dell’articolo 1418 del codice civile.

Come si nota, è soltanto la Costituzione che ci offre una sicura via d’uscita.


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