domenica 20 settembre 2020

Bielorussia: ci interroga il passato di quale sinistra? - Davide Grasso

La diffusa contestazione di piazza dei risultati ufficiali delle elezioni in Bielorussia ha portato alla ribalta  un personaggio, il presidente Lukašenka, che a trent’anni dai rivolgimenti del 1989-91 sembra effetto di un riavvolgimento del nastro della storia. Di fronte a manifestanti pacifici ha raggiunto il suo palazzo esibendo un Kalashnikov a beneficio delle telecamere, e salutato i poliziotti-robocop che lo proteggevano con il pugno chiuso. Ennesima e tardiva manifestazione di ciò che fu il tardo socialismo reale? Un po’ più di questo: monito prezioso, sempre ritornante, della permanente, ineliminabile possibilità che gesti di libertà siano gettati nel fango da chi ne esibisce il simulacro. Lukašenka incarna, piaccia o non piaccia, un ultimo effetto del potere sovietico nell’est europeo; e il carattere caricaturale della sua figura non diminuisce il disprezzo mondiale che attira ancora una volta su nobili idee per cui tante persone hanno perso la vita.

Come reagiscono gli eredi, nel resto d’Europa, del socialismo novecentesco? La classe politica che, a cavallo dell’89, passò senza colpo ferire dalla contiguità con le tecnocrazie dell’est alla membership entusiasta presso i circoli non meno tecnocratici del neoliberismo di Schengen si schiera secondo criteri puramente geopolitici: l’Unione europea ha parlato; i vertici bielorussi hanno torto, i manifestanti hanno ragione. La marginale area di individui che invece – privati di un ruolo politico nei tempi odierni – non condivisero o non condividono la svolta liberal-democratica dell’eurocomunismo, adotta un criterio sovente del tutto speculare: più tenera e possibilista riguardo a Lukašenka, al suo sistema di potere e ai bielorussi che si rifiutano di aderire alle proteste, ritiene che il presidente sia sempre meglio di Charles Michel o Ursula von der Leyen.

In questa visione calcistica della politica, i riferimenti alla presunta bontà del sistema istituzionale bielorusso sono infrequenti o di contorno, non meno delle poco argomentate, liquidatorie condanne espresse dal mondo liberale. La politica non è, per questo genere di invettiva, materia d’analisi dei fatti (magari in loco e a proprio rischio e pericolo) ma d’intuizione metafisica, se non divina. O Lukašenka è l’avatar di Putin (cosa infatti non vera) oppure il movimento è un pupazzo collettivo artificialmente prodotto da poteri esterni, secondo una retorica che sostituisce alla considerazione di ovvie e inevitabili relazioni di sostegno incrociato tra stati e movimenti politici nel mondo, una contrapposizione ridicola tra rivoluzioni “pure” e “impure”, “false” e “autentiche”.

Ogni tentativo della gente di pretendere una vita migliore è – se ciò avviene nei paesi “sbagliati” – mera interfaccia di cospirazioni occulte di riconoscibile origine straniera; dove “straniera” vuol però dire “euro-americana”, poiché Russia, Cina o Iran, là dove agiscono, lo fanno in consonanza con l’azione oggettiva di uno spirito assoluto della storia. (Tale ironia si applica inalterata all’opposto versante, se l’ennesimo dramma nazionale è ridotto a querelle tra spettatori distanti: basta cambiare i termini dell’equazione.)

Non si può prendere posizione, in questo mondo, senza tenere conto delle implicazioni geopolitiche (il che non coincide, sia detto di passaggio, con l’applicazione compulsiva di statici e anacronistici preconcetti). Schiacciare destini e vite di milioni di persone sotto cingolati concettuali tanto grossolani quanto grondanti disprezzo per le voci in assenza, è tuttavia inaccettabile. Mi sono sempre chiesto se sarebbe possibile ripetere certe affermazioni guardando negli occhi un/a protagonista in carne ed ossa di quelle vicende. Forse si avrebbe timore di un pugno in faccia. Fisico o morale?

Presidenti e generali hanno sempre mistificato le rivoluzioni come complotto straniero, dagli Zar alla Cia, in primis contro chi alzava il pugno chiuso. La presenza della destra nei movimenti di oggi è figlia della miseria culturale e umana della sinistra. Cosa resta della dimensione di senso originaria di essa? Nulla: socialismo, democrazia, femminismo non sarebbero esistiti se attitudini gregarie o di servizio avessero prevalso tra le militanti e i militanti di allora, inducendoli a parteggiare regolarmente, da osservatori arcigni, per questo o quello stato contro le rispettive società. Costruire futuro senza guardare al passato è impossibile; ma quale passato scegliamo – questo fa la differenza.

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