giovedì 10 settembre 2020

se sei mapuche ti tirano le pietre, e non solo

La guerra contro i mapuche - Raúl Zibechi

 

Negli ultimi giorni, l’offensiva militarista dello Stato cileno contro il popolo nazione mapuche s’è intensificata con attacchi razzisti e fascisti alle comuneras e ai comuneros che continuano la resistenza pacifica in appoggio agli scioperi della fame, scatenata dalla grave situazione del machi (leader religiosi tradizionali, ndtCelestino Córdova che si avvicina al raggiungimento dei 100 giorni di digiuno.

La direttrice dell’Istituto nazionale per i diritti umani con Celestino durante il precedente lunghissimo sciopero della fame (102 giorni) nell’aprile del 2018.

I fatti recenti mostrano una svolta profonda che si può riassumere parlando di escalation della guerra contro il popolo mapuche. Nella notte del primo e del due di agosto, gruppi di civili armati hanno attaccato i mapuche che occupavano i municipi di Curacautín, Ercilla, Victoria e Traiguén. Si tratta di “militanti dell’Associazione di Pace e Riconciliazione nell’Araucanía (APRA), un’organizzazione suprematista bianca di ultradestra, composta da latifondisti e padroni di imprese transnazionali, che “hanno usurpato le terre nella Wallmapu (il nome indigeno dell’Araucanìa, ndt)”, come denunciano in un comunicato ben 21 organizzazioni.

Le organizzazioni denunciano, inoltre, che il corpo dei carabineros ha lasciato agire impunemente i civili violenti che hanno colpito i mapuche, hanno bruciato i loro veicoli e hanno intonato grida di odio e razzismo, giungendo perfino a collaborare con gli aggressori razzisti.

Ricordiamo che l’attuale crisi si è scatenata con lo sciopero della fame di Celestino Córdova, che chiede l’applicazione dell’articolo 169 dell’OIL, quello che permette di scontare la pena detentiva decisa dalla giustizia cilena nella comunità del condannato. Allo sciopero della fame del machi Celestino si sono aggiunte più di 20 persone imprigionate nelle carceri di Temuco, Angol e Lebu.

Man mano che la salute degli scioperanti si andava deteriorando in più di tre mesi di digiuno, diversi lof (comunità) hanno cominciato a mobilitarsi, in particolare nel triangolo compreso tra Tirúa-Temuco-Ercilla.

Verso la fine di novembre il governo di Sebastián Piñera ha deciso una svolta a destra, causata dal profondo logoramento seguito alla rivolta cilena iniziata nell’ottobre del 2019, che continua con molteplici forme, dall’insuccesso nel contenimento della pandemia di coronavirus e da una sconfitta parlamentare nel provvedimento che permette di ritirare dai fondi pensione il 10% dei risparmi. Questo è stato possibile per la divisione nella base di appoggio parlamentare del governo.

Questa svolta si è concretizzata nella nomina di un sostenitore di Pinochet a capo del Ministero degli Interni, Víctor Pérez. La sua prima iniziativa pubblica è stato un viaggio a Wallmapu, dove ha tenuto un discorso di ordine e sicurezza senza lasciare il minimo margine al negoziato. Non è affatto un caso che dopo il viaggio del ministro si siano attivati i gruppi razzisti di ultradestra. Il governo di Piñera è molto debole, incalzato dalla protesta di strada e dalla destra, e alla fine ha messo da parte ogni ipotesi di dialogo per ricomporre la propria base di sostegno aprendo il governo ai sostenitori di Pinochet.

Pochi giorni fa, il Centro di Ricerca Giornalistica (CIPER) ha diffuso un rapporto di intelligence dei carabinieri, stilato nel 2015, in cui si individuano proprietari di tenute agricole che stavano formando dei gruppi di autodifesa a carattere paramilitare in zone di alta conflittualità con i mapuche, ma non è stato preso alcun provvedimento per arrestarli e fermarne lo sviluppo.

 

Malgrado la brutalità della repressione e una escalation del terrorismo di Stato, le principali organizzazioni mapuche hanno riaffermato il proprio cammino storico: “Questi attacchi, invece che intimorirci, ci confermano nella nostra lotta per la riappropriazione dei nostri diritti territoriali e politici, per l’autonomia e l’auto-determinazione per il Paese Mapuche”.

Domenica 9 agosto c’è stata una grande manifestazione di diverse comunità nella piazza di Curacautín, dov’è stato letto un documento che riafferma la solidarietà con i prigionieri in sciopero della fame e denuncia le imprese forestali e multinazionali chiedendo che “i tre milioni di ettari delle imprese forestali siano ripartiti attraverso il recupero del territorio mapuche”.

Alla fine, il documento fa appello all’organizzazione dei mapuche della città e delle campagne affinché recuperino la propria lingua (il mapuzugun i mapudungun), la cosmovisione e le usanze tradizionali, “perché quanto è mapuche non è una razza ma un modo di intendere la vita di tutti gli esseri e le cose”.

I prossimi mesi saranno molto duri per il popolo mapuche mobilitato, per lo meno fino alle elezioni dei membri del Congresso di aprile, passando per il plebiscito del 25 ottobre. La destra si sta unendo intorno alla difesa della Costituzione del 1980, quella dell’epoca di Pinochet. Il popolo nazione mapuche, tuttavia, ben al di là dell’attuale offensiva militarista, continuerà nelle sue lotte e rivendicazioni. Lo sta facendo da quattro secoli.


Traduzione per Comune-info: marco calabria

Qui la versione in lingua originale su Desinformémonos


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Pura dignità - Raúl Zibechi

Le comunità mapuche si stanno mobilitando a sostegno dei loro prigionieri politici che stanno facendo lo sciopero della fame nelle prigioni di Temuco, Lebu e Angol. Chiedono il rispetto della Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che consente loro di scontare la pena nelle loro comunità, cosa fondamentale in tempi di pandemia; chiedono inoltre una revisione della detenzione preventiva e denunciano le condizioni degradanti nelle carceri.


Il machi Celestino Córdova ha fatto lo sciopero della fame per 80 giorni e ha dovuto essere trasferito all’ospedale che porta il nome inadeguato di Ospedale Pluriculturale di Nueva Imperial, perché la sua salute è peggiorata e le sue condizioni sono critiche. Nella cultura mapuche, il machi è un’autorità spirituale e un guaritore con un grande ascendente nelle sue comunità.

Nel carcere di Angol ci sono anche altri otto detenuti scioperano da 80 giorni avanzando le stesse richieste, oltre a undici detenuti nel carcere di Lebu che sono in sciopero da 17 giorni e altri sette che scioperano da quattro giorni in quello di Temuco.

Jakelin Curaqueo, presidente della Comunità di Storia Mapuche, spiega che la mobilitazione è molto difficile durante una pandemia fuori controllo che in Cile conta più di 17.000 contagiati per milione di abitanti, uno dei tassi più alti del mondo. Nonostante le difficoltà, si riscontrano manifestazioni e dimostrazioni nel nord, nel centro e nel sud del Cile. “La pandemia non ha rallentato la repressione e la guerra contro le comunità mapuche e la repressione dei loro leader, con un dispiegamento di artiglieria pesante a Wallmapu”, spiega Jakelin all’altro capo del telefono.

Il machi Celestino, un uomo robusto e di grande spiritualità che ho conosciuto durante una visita al carcere di Temuco poco più di un anno fa, ha dovuto essere trasferito in ospedale a causa del suo precario stato di salute. L’ultima volta che l’hanno visitato, mercoledì 22, i medici hanno detto che il suo stato di salute era “critico”. Non ha potuto nemmeno assistere alla cerimonia eseguita da altri machis a causa delle sue condizioni, che gli danno vomito e vertigini.

Decine di uomini e donne delle comunità mapuche si sono riuniti davanti all’ospedale lo stesso giorno in cui Celestino ha deciso di iniziare uno sciopero della fame e della sete, che ha sospeso quella stessa sera per riprendere lo sciopero dei liquidi. Il timore della famiglia e dello stesso Celestino è che venga sottoposto all’alimentazione forzata, per cui ha messo per iscritto che non permetterà nessun tipo di iniezione o di somministrazione di cibo o acqua con la forza.

Gli scioperi della fame intendono denunciare anche la repressione che i mapuche stanno subendo in tutto il Paese. L’esempio più lacerante è la persecuzione delle venditrici di verdura e di cochayuyo, un’alga marina che vendono nei mercati.

Nel dicembre 2018, un’ordinanza del sindaco di Temuco ha vietato il commercio ambulante stabilendo un perimetro di interdizione intorno al mercato. La particolarità è che l’ordinanza impone multe sia ai venditori che a chi compra i loro prodotti.

Il divieto e la successiva repressione ricadono su due settori: un collettivo di 750 piccoli orticoltori di alcune zone vicine a Temuco e i venditori di cochayuyo, uno degli alimenti più apprezzati in Cile. In diverse occasioni i venditori e i compratori si sono uniti per contrastare la repressione della polizia.

Jakelin sottolinea la forza spirituale di Celestino Córdova nonostante le sue precarie condizioni fisiche. Le comunità mapuche non potranno dimenticare una frase del loro punto di riferimento spirituale: “Se muoio, chiedo al mio popolo che continui a lottare”.

Fonte: “A pura dignidad. Veintisiete presos mapuche en huelga de hambre”, in desInformémonos, 23/07/2020.

Traduzione a cura di Camminardomandando

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Annientare i Mapuche Edgars Martínez Navarrete (*)


Come è già successo davanti alla resistenza dei popoli indigeni e durante la rivolta popolare di ottobre, che ha posto Piñera nel mirino degli organismi internazionali in quanto artefice di una crisi dei diritti umani, siamo testimoni di come il governo stia per macchiarsi di nuovo le mani con sangue mapuche

Non tutti i detenuti in Cile valgono allo stesso modo. Mentre ad un terzo della popolazione penale del paese (13.321 reclusi su un totale di 39.677) è stata concessa la modifica della misura cautelare o del compimento della condanna, che ha portato i reclusi ad uscire di prigione per decreto giudiziale dal 18 marzo di quest’anno, lo Stato ha deciso di mantenere in carcere più di 30 detenuti politici mapuche in diversi centri penitenziari. Alcuni di questi, nel pieno della crisi dovuta alla pandemia, sono in sciopero della fame da più di tre mesi. Come se non fosse abbastanza, tra i beneficiari della misura c’è anche Carlos Alarcón Molina, un poliziotto che si trovava in custodia cautelare perché accusato dell’omicidio di Camilo Catrillanca nel novembre del 2018.

Il governo di Sebastián Piñera è rimasto indifferente alle richieste dei prigionieri mapuche in sciopero della fame, anche se queste riguardano l’apertura di un tavolo delle trattative e il rispetto del Convegno 169 dell’Ilo (organizzazione internazionale del lavoro) che si riferisce alla prigione indigena. Nonostante questi siano dei punti stipulati nell’ambito di base della legge, il governo preferisce fare finta di niente aggravando le condizioni di salute dei comuneros nelle carceri cilene.

Oltre ad un’eccessiva perdita di peso dovuta allo sciopero della fame, i detenuti mapuche sono estremamente esposti al contagio per il Covid-19, dato l’indebolimento che ha sofferto il loro sistema immunitario.

Lontani dai loro territori e impossibilitati a vedere le loro autorità culturali, lo stato di salute dei prigionieri in sciopero della fame corre un rischio vitale imminente. Un caso estremo è quello del machi (autorità spirituale mapuche) Celestino Córdova, al quale è stato proibito di tornare al suo spazio sacro (Rewe) per rinnovare le forze spirituali di cui ha bisogno un’autorità come lui.

Oltre a questa indifferenza, un’altra delle strategie di frammentazione che il governo ha esercitato per indebolire il movimento di sostegno ai prigionieri è quella dei trasferimenti arbitrari che puntano a deviare certi imputati verso centri penitenziari lontani dai loro territori di origine. La custodia cautelare che sta scontando Tomás Antihuen Santi a Concepción, a più di 150 km dalla sua casa, e le minacce di trasferire gli 11 detenuti mapuche dal carcere di Lebu a Concepción (stessa distanza) sono un esempio concreto di questa strategia divisoria, considerando che le famiglie e le comunità sono i principali sostegni spirituali, morali e materiali degli scioperanti.

Nonostante ciò, davanti a tale situazione i prigionieri mapuche e le loro famiglie non sono soli. Nel mezzo dell’attuale crisi dovuta alla pandemia, nelle ultime settimane in tutto il territorio nazionale si sono moltiplicate le diverse dimostrazioni in supporto alle loro richieste.

Occupazione delle strade, manifestazioni nelle principali città del paese, atti di sabotaggio al capitale forestale nel sud del Cile e occupazione di diverse strutture governative e regionali sono state parte del repertorio della protesta articolato dalle comunità e dalle organizzazioni mapuche che insistono nel chiedere al governo di aprire una via democratica di comunicazione per risolvere le richieste dei prigionieri in sciopero. Durante queste azioni donne, bambine e bambini mapuche sono stati fortemente repressi da parte della polizia cilena, arrivando a trascorrere giornate intere trattenuti in diversi centri penitenziari.

Ma non solo la polizia o l’esercito – che sono ancora dispiegati nel Wallmapu, teoricamente a causa della “crisi pandemica” – si sono incaricati di reprimere il movimento di sostegno ai prigionieri. Di fronte all’occupazione da parte delle comunità e lov mapuche dei comuni di Curacautín, Victoria, Ercilla, Traiguén e Collipulli nella IX regione, come misura per fare pressione, durante la notte del 1° agosto di quest’anno decine di persone, convocate da proprietari terrieri e dirigenti dei settori forestale e agro-esportatore della zona, hanno picchiato le famiglie, incendiato i loro veicoli e sgomberato violentemente le strutture con la complicità della polizia. Per di più, hanno distrutto gli spazi sacri che le comunità mapuche mantenevano nelle città per incontrarsi e svolgere varie attività. Evidentemente, questi livelli di violenza non sono stati criminalizzati dal governo con la stessa mano dura con cui vengono trattati il mapuche o il povero. Tali atti sono stati persino giustificati sui media dalla destra nazionale e dai gruppi complici del neoliberismo, rimanendo finora impuniti di fronte alla giustizia.

I responsabili politici di tale scenario e coloro che traggono profitto da questi atti razzisti non sono esattamente gli esecutori diretti, che agiscono come complici consapevoli della violenza padronale, ma le élite economiche e suprematiste bianche che hanno mantenuto la loro accumulazione di capitali, lo sfruttamento e l’espropriazione a partire da un sistema coloniale che ha storicamente minato le condizioni di vita sia del popolo mapuche che dei settori popolari cileni, alimentando le gerarchie razziali, la violenza tra gli oppressi e affrontando settori costruiti sull’immaginario eurocentrico. Una guerra tra poveri, travestita da conflitto “etnico”, a vantaggio dei potenti.

Non è un dato minore che tali livelli di violenza si siano verificati pochi giorni dopo la visita nella zona del ministro dell’Interno Víctor Pérez Varela, viaggio in cui, oltre a delineare le nuove misure di controinsurrezione e repressione contro il movimento mapuche, ha offerto il suo sostegno a diverse corporazioni economiche della regione. Sono stati proprio i settori organizzati di queste corporazioni, famosi per le loro politiche anti-mapuche, e di estrema destra – come la Asociación de Agricultores de Malleco o la Agrupación Paz y Reconciliación en la Araucanía (Apra) – che, secondo l’audio in circolazione sui social network, hanno convocato i civili a riunirsi la notte del 1° agosto per linciare le famiglie mapuche che stavano occupando i comuni dell’Araucanía.

Nonostante questo contesto di violenza, che mostra la reale profondità del problema nel sud del continente, si è manifestato a livello mondiale il sostegno alle giuste richieste dei prigionieri politici mapuche.

Le diverse reti di solidarietà nazionali e internazionali hanno inviato messaggi di solidarietà ai detenuti e alle loro famiglie, chiedendo che lo Stato del Cile applichi le disposizioni contenute nella Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, e hanno esposto il pericolo che corrono i membri della comunità quando sono imprigionati in dure condizioni di sovraffollamento. Attraverso la pagina mapuche Aukin sono stati raccolti e riprodotti decine di comunicati e video inviati da diverse parti del mondo, tra cui i messaggi del Congresso Nazionale Indigeno (Messico), del comune autonomo di Cherán (Messico), dell’Ongi Etorri Errefuxiatuak Araba (Paesi Baschi), del popolo Nasa (Colombia), di organizzazioni popolari in Argentina, Italia e Cile, del movimento internazionale di solidarietà con il Kurdistan e dei collettivi femministi comunitari in Bolivia, insieme a molti altri.

Ogni ora che passa è terribile per lo stato di salute dei prigionieri politici mapuche. A quasi tre mesi dall’inizio dello sciopero della fame, l’indolenza di Sebastián Piñera dimostra il carattere razzista e repressivo dello Stato cileno. Come è già successo davanti alla resistenza dei popoli indigeni e durante la rivolta popolare di ottobre, che ha messo Piñera nel mirino degli organismi internazionali come artefice di una crisi dei Diritti Umani, siamo testimoni di come il governo stia per macchiarsi di nuovo le mani con sangue mapuche.


(*) Fonte: DINAMOPress

Articolo originariamente pubblicato sul portale Mapuexpress.org; traduzione dal castigliano di Alessandra Cristina e Susanna De Guio per l’America Latina

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Brutale repressione in Cile contro il popolo Mapuche - Pilar Paricio

 

Beatriz Aurora Castedo, pittrice e attivista sociale, ha consegnato il 1° settembre una lettera al viceconsole del Cile a Barcellona, chiedendo solidarietà con il popolo Mapuche e i prigionieri in sciopero della fame.

 

Beatriz Aurora Castedo Mira è nata in Cile da madre catalana e padre madrileno esiliato dalla guerra civile spagnola. Dopo un anno di lotta contro la dittatura di Pinochet è stata arrestata e torturata, ma la sua famiglia è riuscita a farla portare in Spagna, dove ha vissuto gli ultimi anni della dittatura di Franco e il passaggio alla democrazia. In seguito si è stabilita in Messico, ha vissuto le rivoluzioni centroamericane in Guatemala, El Salvador e Nicaragua. Dopo un periodo di disincanto, è rimasta affascinata dalla causa zapatista. Ora vive in Chiapas e lavora per la giustizia e la libertà dei popoli nativi dell’America.

 

Lei ha consegnato una lettera al Consolato cileno di Barcellona. Qual è il contenuto della lettera?

È una lettera molto semplice che chiede solidarietà urgente con il popolo Mapuche:

“Al presidente Sebastián Piñera, al governo del Cile, al popolo Mapuche, ai popoli del mondo.

Di fronte alla brutale repressione scatenata dal governo cileno contro il popolo Mapuche e le sue terre, noi, artisti, scienziati, intellettuali e organizzazioni cilene e mondiali chiediamo la fine immediata delle violenze, il ritiro totale delle forze repressive dal loro territorio e il rilascio incondizionato di tutti i prigionieri politici, alcuni dei quali hanno fatto uno sciopero della fame per più di 100 giorni mettendo in serio pericolo la loro vita. I Mapuche non sono soli e lo stato neocoloniale e neoliberale non potrà distruggere il loro ecosistema o la loro cultura millenaria.

MARICHIWEU !!!!

MILLE VOLTE VINCEREMO!

Si conclude con l’adattamento della seguente poesia di Violeta Parra:

Arauco ha un dolore

che io non posso tacere

sono ingiustizie di secoli

che tutti vedono fare,

nessuno vi ha posto rimedio

pur potendo rimediare

Alzati Huenchullán…

Violeta Parra

La lettera è accompagnata da uno dei miei disegni, in cui Violeta Parra, su una luna, canta “Arauco ha un dolore”.

Ho scritto la lettera un mese fa e ho iniziato a chiedere agli amici, che ho incontrato in tutto il mondo attraverso le diverse lotte per un mondo migliore, di firmarla. In un mese abbiamo raccolto 3.792 firme da persone e organizzazioni in più di 60 paesi. Hanno firmato molti accademici, artisti e scienziati europei e statunitensi. Tra i firmatari ci sono persone conosciute come Manu Chau, Lluis Llac, Paco Ibáñez, Naomi Klein, ecc. Abbiamo contato quasi 2.000 firmatari dal Cile, 800 dal Messico, 400 dalla Spagna, 150 dall’Argentina e 50 dagli Stati Uniti. Questa attività si è sviluppata a partire da Barcellona ed è stata possibile grazie al sostegno di molte persone. Si è aggiunta la solidarietà storica di tutte le lotte degli ultimi cento anni. Ora, se vogliamo prendere d’assalto il futuro, questo è un momento in cui la solidarietà è più necessaria che mai. Abbiamo anche fatto una petizione su change.org.

La mattina del 1° settembre ho consegnato la lettera al viceconsole del Cile a Barcellona. Il popolo Mapuche e i prigionieri sono oggi un simbolo che riflette la brutalità del sistema. L’interesse di questa lettera è far sapere al popolo Mapuche che non è solo, che ha la solidarietà della brava gente del mondo.

Ci può spiegare chi sono i Mapuche?

Il popolo Mapuche (che vuol dire uomini della terra) è un popolo originario del Sud America che comprende gli abitanti della regione di Araucania di lingua mapudungun. Quando i conquistadores spagnoli arrivarono nel XVI secolo, questo popolo viveva nella Valle dell’Aconcagua e nel centro dell’isola di Chiloé, in quello che oggi è il Cile. È l’unico popolo originario dell’America che la corona spagnola non è riuscita a dominare. La Spagna ha dovuto riconoscere il loro territorio e la loro indipendenza dall’impero spagnolo, stabilendo confini e accordi di pace.

Ma alla fine del XIX secolo, dopo l’indipendenza del Cile e dell’Argentina dalla corona spagnola, il popolo Mapuche fu sottomesso dai governi di questi due paesi attraverso campagne militari che massacrarono migliaia di persone. I Mapuche furono trasferiti in piccole riserve, mentre il resto delle loro terre fu occupato. Negli ultimi decenni le loro terre sono state allagate da bacini idroelettrici, le aziende di legname hanno distrutto le foreste e le risorse marine sono finite nelle mani di grandi aziende che schiacciano i pescatori artigianali. Si tratta di un modello economico estrattivo neoliberale che distrugge gli ecosistemi, aumenta l’inquinamento e l’impronta ecologica e porta la popolazione alla povertà.

Qual è il motivo per cui i prigionieri mapuche stanno facendo lo sciopero della fame?

Nel maggio 2020, 26 detenuti mapuche hanno iniziato uno sciopero della fame, di cui 16 stanno facendo lo sciopero della fame e della sete. La maggior parte di questi 16, ricoverati in ospedale, è in punto di morte.

I prigionieri chiedono di essere uguali davanti alla legge e di avere il diritto agli arresti domiciliari per la durata della pandemia Covid-19. Il governo ha applicato questo diritto a più di 4.000 prigionieri, compresi i principali violatori dei diritti umani, ma lo ha negato a tutti i prigionieri Mapuche.

Il governo dovrebbe applicare la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) riguardante le condizioni speciali di detenzione per le persone dei popoli indigeni, compresa la giustizia riparativa in accordo con la loro cultura, che include la possibilità di visitare le loro case e comunità di tanto in tanto.

Con questa lettera chiedo solidarietà con il popolo Mapuche e con i prigionieri in sciopero della fame. Sostengo la loro richiesta di conformità alla Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) sui popoli indigeni e tribali nei Paesi Indipendenti, che il Cile ha ratificato nel 2009.

Quali progetti avete per il futuro?

Stiamo lavorando con Marco Aparicio, giurista e professore di Diritto Costituzionale all’Università di Girona e presidente dell’Osservatorio per i Diritti economici, Sociali e Culturali (DESC) che ci sta aiutando a creare una commissione internazionale a sostegno dei prigionieri politici Mapuche.

Per maggiori informazioni: http://www.beatrizaurora.net

Traduzione dalle spagnolo di Thomas Schmid. Revisione: Silvia Nocera

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Celestino ha sospeso lo sciopero - Claudia Fanti

 

La vita del machi Celestino Córdova è salva. Dopo un lungo negoziato con un governo che ha giocato fino all’ultimo con la sua vita e con quella degli altri detenuti mapuche, l’autorità spirituale ha annunciato martedì di aver messo fine a 107 giorni di sciopero della fame.

Una bella notizia appena offuscata dal contenuto dell’accordo raggiunto, molto distante dalle rivendicazioni iniziali: il machi potrà sì recarsi al suo rewe (l’altare mapuche che simboleggia la connessione con il cosmo), ma solamente per 30 ore, anziché per i sei mesi richiesti. E potrà anche richiedere il trasferimento a uno dei centri di educazione e lavoro previsti dall’ordinamento penitenziario per il reinserimento sociale dei detenuti.

Riguardo agli altri prigionieri politici in sciopero della fame, l’accordo stabilisce che non potranno essere oggetto di sanzioni disciplinari e prevede facilitazioni per il loro ingresso nei programmi di studio e lavoro, la creazione di «moduli speciali» nelle carceri per i rappresentanti dei popoli originari, la possibile revisione delle misure cautelari (con gli arresti domiciliari in sostituzione della carcerazione preventiva), la continuità dei «Dialoghi interculturali» mirati a una modifica dei regolamenti carcerari per i popoli indigeni.

«Ho apportato il mio umile granello di sabbia alla lotta del popolo mapuche», ha dichiarato Celestino Córdova in un comunicato letto dalle sue portavoce Cristina Romo e Giovanna Tafilo. L’autorità spirituale riconosce che i risultati ottenuti «non sono soddisfacenti nella loro totalità», ma, prosegue, «ho assunto lo sciopero della fame con dignità, ponendo la mia vita a disposizione della nostra lotta, allo scopo di avanzare un passo alla volta». Con ciò, conclude, «la lotta non è terminata, né quella dei prigionieri politici, mapuche e non mapuche, né quella del nostro popolo, né quella di tutti i popoli oppressi del mondo».

Soddisfazione per l’accordo raggiunto è stata espressa dal presidente Piñera, il quale ha persino rivendicato il rispetto della sempre calpestata Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro sui popoli indigeni. E ciò benché il suo articolo 10, che raccomanda sanzioni penali alternative per i rappresentanti dei popoli originari, in considerazione delle loro caratteristiche economiche, sociali e culturali, non sia mai stato applicato dai tribunali nei 12 anni passati dalla sua ratifica.

Fonte: il manifesto

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Cile: i detenuti mapuche in sciopero della fame e della sete - Claudia Fanti

 

Il ministro della Giustizia cileno non rispetta l’accordo trovato con i prigionieri politici, che riprendono la loro lotta in carcere. Contro di loro, in campo scendono anche i camionisti “anti-indigeni”

È una corsa contro il tempo quella per salvare gli otto detenuti mapuche del carcere di Angol che, già in sciopero della fame da 117 giorni, hanno smesso da lunedì anche di ingerire liquidi.

Una misura estrema – a cui si sono uniti nei giorni successivi anche otto mapuche del carcere di Lebu – adottata per protestare contro l’assenza di risposte da parte dello Stato cileno rispetto all’applicazione effettiva al codice penale della Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro sui popoli indigeni.

IL 9 AGOSTO IL MINISTRO della Giustizia Hernán Larraín si era impegnato a dare risposta, entro 12 giorni, alla richiesta dei mapuche di un dialogo di alto livello mirato a individuare una soluzione per i detenuti già condannati e per quelli in custodia cautelare, in cambio di un’assoluta riservatezza sui negoziati e della sospensione dello sciopero della sete che i prigionieri politici avevano appena intrapreso.

Al solito, a fronte del rispetto da parte mapuche delle condizioni dell’accordo, il ministro non ha mantenuto la parola: scaduti i 12 giorni, nessuna risposta è giunta dal governo. Da qui la decisione dei detenuti, tutti in condizioni assai critiche, di riprendere lo sciopero della sete.

Grande preoccupazione per la sorte dei 16 mapuche (e anche degli altri 11 in sciopero della fame) è stata espressa dal machi Celestino Córdova che il 18 agosto, dopo 107 giorni, aveva terminato lo sciopero della fame dopo aver raggiunto un accordo, benché parziale, con il governo.

Esigendo dallo Stato il rispetto degli accordi, l’autorità spirituale ha ringraziato il popolo mapuche e quello non mapuche per la solidarietà espressa, invitando a promuovere marce e atti di protesta in appoggio ai prigionieri politici.

NELLA CRISI SONO ENTRATI a gamba tesa anche i camionisti, che giovedì hanno iniziato uno sciopero per esigere la rapida approvazione, in funzione prevalentemente anti-mapuche, dei progetti di legge repressivi varati dal governo Piñera durante le proteste dei mesi scorsi: dalla cosiddetta legge «anti-incappucciati» a quella sulla presenza di militari a guardia della «infrastruttura critica», fino a un inasprimento della già severa legge antiterrorismo promulgata durante la dittatura di Pinochet.

Uno sciopero che – malgrado la minaccia di paralizzare il paese in piena pandemia e con la disoccupazione alle stelle grazie alla contestatissima legge di «protezione» dell’impiego – ha incontrato la totale comprensione del governo che, descrivendo i potenti camionisti come vittime dei disordini provocati dai mapuche nell’Auracanía, ha già fatto sapere che lunedì «sarà trovata una soluzione». E si può star certi che in questo caso manterrà fede ai propri impegni.

È così, con minacce e pressioni a favore del pugno di ferro contro ogni dissenso, che la destra si sta preparando al plebiscito sull’elaborazione di una nuova Carta costituzionale del prossimo 25 ottobre, non risparmiando alcuno sforzo per blindare lo status quo: non solo attraverso il potere di veto garantito dalla trappola della maggioranza dei due terzi, ma anche limitando il più possibile la portata della discussione, a partire dal divieto di modificare i trattati internazionali e dalla pretesa di impedire anche il dibattito sul modello economico.

SI MOBILITA TUTTAVIA anche il movimento di protesta, che – pur continuando a indicare come vera soluzione la realizzazione di uno sciopero generale continuato e a oltranza per ottenere la caduta di Piñera e imporre un’Assemblea costituente libera e sovrana – è deciso a buttarsi nella mischia, prendendo parte al voto, al fine di aprire quante più crepe possibili nel muro di contenimento innalzato dalle forze politiche per bloccare ogni cambiamento reale. Magari, chissà, creando una forza politica alternativa per presentare i propri candidati al processo costituente.


(da il manifesto)

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