È difficile immaginare quali parole
Albino Bernardini, scrittore e vecchio maestro di scuola, spenderà domani
mattina (alle 10,30) nell'aula del Rettorato in via Università a Cagliari.
Difficile immaginare se nelle sue corde prevarranno unicamente la commozione e
la gioia per essere stato chiamato a ricevere uno dei più importanti
riconoscimenti della sua vita, il diploma di laurea "Honoris Causa"
in Scienze dell'educazione che gli verrà consegnato dal rettore Pasquale
Mistretta. O se, nella sua intatta vitalità di fresco 87enne, ci stupirà dando
ancora fiato e gambe a un'idea di scuola, e insieme di società, coltivata e
difesa caparbiamente con l'esempio di tutta una vita. Il riconoscimento della
laurea al Maestro di Pietralata, così come viene ancora ricordato in tutta
Italia l'autore del libro che ispirò lo sceneggiato Diario di un maestro
diretto da Vittorio de Seta e mandato in onda dalla Rai negli anni Settanta,
giunge in un momento quanto mai difficile e controverso. Non solo per le
retrive ventate ideologiche che oggi spirano con violenza sulla scuola pubblica
italiana. Ma anche a causa dell'incredibile scandalo che in questi giorni
scuote la stessa facoltà di Scienze della formazione dell'Università di
Cagliari, dopo la pubblicazione nei suoi Annali di un testo (peraltro
immediatamente rigettato e stigmatizzato dal Rettore e dai vertici
universitari), teso a giustificare lo sterminio degli ebrei nella Shoah e a
irridere a ogni valore di convivenza civile, di partecipazione e di concreta
solidarietà tra gli individui e tra i popoli. Ovvero a tutti quei valori a cui
Bernardini, nei suoi scritti e nelle aule dove ha operato, ha sempre fatto
riferimento con lo stesso piglio visionario e insieme con la stessa
rivoluzionaria concretezza dei Mario Lodi, dei Don Lorenzo Milani e dei
Giuseppe Pontremoli. La richiesta di assegnazione del riconoscimento a
Bernardini, promossa e presentata dalla sezione cagliaritana del Movimento di
cooperazione educativa con il sostegno di numerosi docenti universitari sardi,
ha ripercorso le tappe di un straordinario viaggio nella scuola italiana. Dagli
esordi del giovane maestro di Siniscola dietro le cattedre nei piccoli paesi
della Baronia, in un difficile dopoguerra nel quale già riecheggiavano gli
insegnamenti della scuola americana tesi a iniettare robuste dosi di pedagogia
"democratica" nel complicato processo di defascistizzazione del
sapere; alle esperienze nelle realtà profonde del malessere barbaricino (da cui
più avanti nacque il fortunato volume Le bacchette di Lula, riedito
recentemente da Ilisso con l'originale e appassionata prefazione dell'amico
fraterno Gianni Rodari); al trasferimento a Roma e all'immersione nella
degradata realtà delle borgate. È in questo periodo, siamo negli anni '60, che
Bernardini si avvicina alle istanze della pedagogia popolare di Célestin
Freinet, elaborate in Francia e approfondite in Italia dal Movimento di
cooperazione educativa e da personalità quali Mario Lodi, Giuseppe Tamagnini e
Bruno Ciari. Un'adesione che non fu solo rinnovamento di prassi metodologiche e
tecniche operative, peraltro fondamentale nel rigettare la pratica verticale e
meramente trasmissiva del sapere da docente a discente, ma anche precisa scelta
di campo. Una scelta, per quest'uomo mite ma capace di sgretolare ogni convenzione
e ogni costrizione a colpi di maglio, a cui è rimasto sempre fedele. Maestro
dalla parte dei più sfortunati, degli esclusi, di quelli che il Don Milani di
Lettera a una professoressa denunciava come vittime del meccanismo infernale
attraverso il quale la scuola pubblica perpetuava e riproduceva la
discriminazione e lo svantaggio delle classi sociali più deboli. Quanto sia
stata netta questa scelta di campo, e quanto sia stata significativa e
pregnante l'azione di Albino Bernardini a partire dagli ultimi anni '60, lo si
colse quando il suo modo di fare scuola e la realtà dei suoi alunni borgatari,
i "malestanti" descritti in Un anno a Pietralata (primo suo libro
pubblicato, ai quali ne seguirono un'altra decina in parte dedicati alle esperienze
vive nel mondo della scuola e in parte alla narrativa per ragazzi), bucarono
gli schermi televisivi nello sceneggiato interpretato da Bruno Cirino. Perché
per la prima volta l'universo muto e minore dei bambini diseredati, di coloro
ai quali la scuola italiana non dava quelle risposte educative pure previste
per dettato costituzionale, riemergeva dalle nebbie del ghetto nel quale era
stato sino ad allora relegato. Dimostrando di nutrire grandi aspirazioni. Di
avere fame e sete di riscatto. Di saper cogliere nella scuola, se la scuola si
metteva al servizio dei più deboli con la capacità di ascoltare e di capire
(più che di sentenziare e selezionare), tutto il patrimonio di opportunità
utile a riscrivere il proprio destino. Certo erano anni di profondi mutamenti.
Anni un cui si dissolvevano le classi differenziali. In cui veniva richiesta a
gran voce pari dignità per gli alunni diversamente abili. In cui il bambino, a
prescindere dalla sua estrazione economica e sociale, veniva chiamato a
diventare finalmente artefice del proprio processo educativo. Ciò che però lo
sceneggiato di Vittorio de Seta riuscì a veicolare, ottenendo un enorme
successo di pubblico, fu sicuramente anche una nuova/rinnovata figura di
maestro ideale. Un maestro finalmente tanto lontano dalle leziosità
ottocentesche di De Amicis, così restie a rimuoversi dall'immaginario
collettivo, quanto dai dickensoniani e giustificatissimi strali di Carlo
Lorenzini-Collodi ("i pedagoghi e i maestri di scuola, queste macchie nere
e malinconiche che rattristano l'orizzonte sereno della prima
fanciullezza"). Un maestro che aveva in sé qualcosa dell'incorrotta
gentilezza del "Re dei bambini" di Acheng e insieme del rigore
monastico del giovane Pasolini nell'improvvisata scuola di Versuta; della dura
coerenza di Don Milani e insieme della delicatezza della professoressa di Pawel
Huelle e della scanzonata visionarietà del supplente di Silvio d'Arzo nel
Premiato Collegio Minerva. Un maestro, Bruno Cirino/Albino Bernardini,
finalmente capace di piegarsi a statura di bambino, dei suoi bisogni e dei suoi
punti di vista, per meglio accompagnarlo in quel difficile "cammina
cammina" che è l'affacciarsi alla vita. Per tutto questo, e per tanto
altro ancora, il vecchio Maestro di Pietralata riceverà la laurea honoris causa
all'Università di Cagliari, discutendo la tesi "Riflessioni sulla Scuola
di Base". E anche se oggi per il mondo dell'educazione e della scuola mala
tempora currunt, tra infortuni accademici, reazionarie riforme imposte
dall'alto e continui svilimenti di quello che resta il "mestiere" più
bello del mondo, non saranno comunque in pochi ad alzare il calice in suo onore
e a stargli idealmente vicino.
Alberto
Melis
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