"Siamo soli, ancora una volta. Ci hanno
abbandonati tutti, come è successo a Sabra e Chatila e a Tal Al
Zaatar ": è questo che ci raccontano i palestinesi del campo di
Yarmouk, a Damasco.
“Siamo soli, ancora una volta”. Questa frase
sconsolata, riferitaci da un operatore umanitario a lavoro nel campo di
Yarmouk, riassume al meglio le impressioni che ci giungono parlando con la
gente del campo.
Dal 1°aprile scorso i 18mila
civili intrappolati dentro quella che era la capitale della diaspora
palestinese, il campo profughi di Yarmouk nel sud di Damasco, devono affrontare
l’assalto di Daesh (il sedicente “Stato Islamico”) oltre all’assedio che va
avanti da circa tre anni e che da 200 giorni li ha privati persino dell’acqua
corrente.
L’assedio che affama i palestinesi di Yarmouk e che ha
causato la morte di stenti di oltre 170 persone non ha però impedito ai
terroristi dalle bandiere nere di accedere al campo dal lato sud, dalla parte
di Hajar Al Aswad, aiutati dagli ex commilitoni di Jabhat Al Nusra (JAN), la
branca siriana di Al Qaeda da cui Daesh ha divorziato oltre un anno fa a suon
di decapitazioni e sgozzamenti reciproci.
La prima ondata d’invasione di Daesh gli ha consentito
di controllare quasi tutto il campo; le milizie soprattutto palestinesi
presenti a Yarmouk sono riuscite in un primo momento a ricacciarle nella zona
meridionale, ma già dal 3 aprile le bandiere nere hanno ripreso a sventolare su
buona parte del campo e gli scontri sono stati continui, costringendo i civili
a chiudersi in casa mentre ormai i bidoni di acqua potabile ed i pacchi
alimentari da cui dipendono le famiglie sotto assedio sono finiti o stanno
finendo.
Ad opporsi a Daesh e JAN
sono soprattutto i palestinesi di Aknaf beit el Maqdes, una milizia
storicamente vicina a Hamas ma in cui in questi giorni sono confluiti i
palestinesi di ogni credo politico che vogliono difendere Yarmouk, debolmente
assistiti da piccole milizie vicine all’Esercito Libero Siriano come Jaish
Al Ababil che, mentre scriviamo, è riuscito a riprendere il controllo
del centro culturale e da lì continua a combattere sul fronte sud.
Le altre milizie rivoluzionarie o sedicenti tali
attive nel sud di Damasco, pur dichiarando ufficialmente di sostenere la lotta
dei palestinesi, si sono fermate sui confini del campo per evitare lo scontro
aperto con JAN che impedisce loro di accedere.
“Ci hanno abbandonati tutti,
come è successo a Sabra e Chatila, come a Tal Al Zaatar o nella guerra dei
campi” ci ha detto un residente di Yarmouk che abbiamo raggiunto via Skype.
Parla a condizione che non si renda noto il suo nome e
ci chiede di non registrare la conversazione, ha paura persino a nominare
Daesh. “Ci dicono di tener duro e di resistere, nei comunicati ufficiali lodano
la nostra eroica resistenza e il fatto che restiamo qui, ma la maggior parte di
noi non resta qui per resistere, siamo intrappolati qui dentro. Se potessi
scapperei in Europa oggi stesso. Ci descrivono come combattenti fieri e senza
paura, ma questo fa parte della loro mitologia. Noi siamo gente normale,
vorremmo solo vivere”.
Da tre giorni sia l’UNRWA, l’agenzia ONU dedicata ai
profughi palestinesi, che le organizzazioni umanitarie come la Jafra Foundation
non possono distribuire aiuti, la distribuzione sarebbe dovuta avvenire venerdì
3 per cui la gente non ha provviste.
Finora gli “arresti”
compiuti da Daesh sono almeno 75, tra cui due sorelle rapite da casa propria,
le “esecuzioni” almeno 7 di cui tre per decapitazione. Tra le vittime anche il
coordinatore della Jafra Foundation all’interno del campo, di soli 21 anni.
Oltre a queste vittime ci sono quelle dei
bombardamenti dell’artiglieria di Daesh e del regime di Asad che hanno
provocato un gran numero di feriti e la morte anche di un noto mediattivista ed
un altro attivista civile molto conosciuto.
Le cure mediche, già scarsissime a causa dell’assedio
del regime di Damasco, sono ormai inesistenti e l’ospedale Palestina,
principale avamposto medico, è sotto il controllo di Daesh e nel mirino del
regime stesso che nella sola serata del 4 aprile ha sganciato almeno 7 barili
bomba intorno alla struttura già martoriata da precedenti bombardamenti.
I civili non riescono a
fuggire, nonostante numerosi appelli alla Croce Rossa Internazionale, all’UNRWA,
all’UNHCR e all’OLP perché intervengano per spingere verso la creazione di
corridoi sicuri per uscire dal campo, l’ultimo dei quali lanciato dalla Lega
della Società Civile Palestinese in Siria (tradotto qui da Frontiere News).
“Alcune decine di civili sono riusciti ad uscire dal
campo e li abbiamo accolti. Molti non mangiavano ne’ bevevano da giorni, sono
feriti ed in pessime condizioni. Altri che hanno provato a scappare sono stati
colpiti dai cecchini o sono rimasti coinvolti nei combattimenti”, riferiva la
sera del 4 aprile un altro operatore della Jafra Foundation a Radio Yarmouk
63, una piccola emittente online che sta raccontando passo passo gli
scontri da qualche scantinato del campo.
“Non possiamo prenderci la responsabilità di dire ai
civili di provare a scappare, non ci sono vie sicure ed è estremamente
pericoloso. Ma assicuriamo che se qualcuno riesce ad uscire verrà accolto e
curato, abbiamo anche istituito delle linee verdi per assistere la gente”.
Mentre scriviamo giunge la notizia, riportata da AFP, che i civili fuggiti dal
campo sarebbero 2mila.
Il 3 aprile c’è stata una
riunione organizzata da Jabhat Al Nusra a cui hanno partecipato molti dei
notabili civili del campo. In questa occasione Abu Hasan, uno dei capi di Al
Nusra a Yarmouk, ha comunicato che la presenza di Daesh è solo temporanea ed ha
dettato le condizioni per il ritiro: il campo deve rimanere sotto il controllo
di JAN e i combattenti di Aknaf beit el Maqdes devono
consegnarsi.
Condizioni rifiutate dai combattenti palestinesi che,
sempre dai microfoni di Radio Yarmouk 63, hanno dichiarato che combatteranno
fino alla liberazione del campo, anche se sono da soli o quasi nel farlo. Del
resto pare che l’assalto sia dovuto proprio all’arresto e all’uccisione da
parte degli Aknaf di dirigenti di Al Nusra e Daesh avvenute
nelle ultime settimane e al fatto che JAN stava perdendo posizioni nel
campo.
Ancora alla radio del campo
ha parlato anche la celebre cantautrice
palestinese Rim Banna, che a Yarmouk è stata più volte prima della
rivoluzione siriana tenendo anche un concerto. La Banna si è fatta portavoce
dell’uomo comune palestinese dichiarando tutto il suo sconforto di fronte al
fallimento dell’Autorità Nazionale Palestinese e dell’OLP nel difendere il
campo.
Le istituzioni palestinesi sono state sostanzialmente
silenti sull’assedio pluriennale imposto da Asad al campo, ad eccezione di un
paio di settimane a cavallo del vertice di Ginevra 2, quando le immagini dei
primi bambini morti per fame avevano risvegliato il pubblico sdegno ed indotto
queste istituzioni a cercare di intercedere con il dittatore siriano, ottenendo
che alcune sparute carovane umanitarie raggiungessero Yarmouk, pur sotto il
fuoco dei cecchini.
Anche nei comunicati pubblicati in questi giorni,
oltre ad appellarsi alle parti in conflitto perché consentano l’uscita dei
civili, OLP ed ANP continuano a ribadire il principio di “non intervento negli
affari interni degli altri Stati arabi” e promettono di visitare il campo.
Una retorica che non basta
più alla società civile palestinese, che invece ha organizzato varie
manifestazioni di fronte alle sedi dell’OLP, della Croce Rossa e dell’UNRWA in
varie parti dei Territori Occupati, in territorio israeliano e all’estero, in
collaborazione anche con molti movimenti pro-palestinesi che pure in questi
anni avevano del tutto ignorato la situazione dei siro-palestinesi.
“Nella serata del 4 aprile è stato diffuso un appello
in molte lingue e ci sono state anche proteste elettroniche, attraverso il
cambio delle immagini di profilo sui social network ed i cosiddetti
tweet-storm”, ci ha riferito l’attivista palestinese di Ramallah Lema Nazeh “mentre nei prossimi giorni sono
previste altre mobilitazioni per fare pressione sulle nostre istituzioni. Siamo
terribilmente in ritardo ed avremmo dovuto fare molto di più in questi anni.
Non è possibile che serva la presenza di Daesh perché qualcuno si ricordi dei
nostri fratelli e sorelle intrappolate a Yarmouk”.
Nell’appello c’è la richiesta di intervento e
pressioni rivolta alle grandi organizzazioni umanitarie e quello rivolto ai
media, quelli palestinesi in testa, perché informino su quanto avviene a
Yarmouk. Gli hashtag adottati sono #SaveYarmouk e #Yarmouk_will_not_fall
, "Yarmouk non cadrà“.
“Se cade Yarmouk è la fine
della causa palestinese, perché se cade Yarmouk, la capitale della diaspora
palestinese e il simbolo del diritto al ritorno, sarà la fine del diritto al
ritorno e cos’è la causa palestinese se non, innanzitutto, la rivendicazione di
quel diritto?”.
Queste sono le parole che ci ha affidato un altro
cittadino del campo, quando gli abbiamo chiesto cosa vorrebbe dire ai movimenti
pro-palestinesi in Italia e nel mondo.
Non possiamo che unirci a questo auspicio che Yarmouk
non cada. Intanto però su Youtube circolano i video di
miliziani di Daesh che calpestano la bandiera palestinese
dicendo che “questa è la bandiera che sventola chi vuole dividerci, dei
politici che ci spingono alla fitna (caos, forte frattura all’interno della
umma,ndr) tra i musulmani per tenerci sotto controllo” ed ordinano che
solo il loro tristemente noto stendardo nero sventoli sul campo di Yarmouk,
dove solo 18mila degli oltre 150mila palestinesi che vivevano qui nel 2011 sono
rimasti.
Mentre un’altra pagina nera della storia palestinese
viene scritta col sangue in queste ore.
da qui
Che tristezza il fatto che l'Europa giri la faccia altrove ...
RispondiEliminagli altrove piano piano finiscono, non si potrà far finta di niente
Elimina