Il prossimo mese di maggio Oscar López
Rivera sconterà il trentaquattresimo anno della sua vita in prigione:
conosciuto come il “Mandela latinoamericano”, il lottatore sociale portoricano
è il prigioniero politico più antico del mondo e nei suoi confronti si è
scatenata l’ostilità statunitense da quando ha cominciato a battersi per
l’indipendenza del suo paese. Attualmente, Oscar López Rivera si trova in un
carcere Usa.
Nato
nel 1943 in Portorico, il militante indipendentista è stato uno tra i
pluridecorati al valor militare in qualità di veterano durante la guerra del
Vietnam. La sua consapevolezza politica crebbe dopo il suo ritorno a Chicago,
dove risiedeva la famiglia: fu allora che iniziò a impegnarsi per migliorare i
diritti della comunità portoricana, partecipando ad azioni di disobbedienza
civile all’insegna della non-violenza. Nel 1976 Oscar López Rivera sceglie la
strada della clandestinità e si unisce alle Fuerzas Armadas de Liberación
Nacional (Faln): cinque anni dopo, nel 1981, l’Fbi con l’accusa di cospirazione
e per aver aderito ad un gruppo armato. Il militante portoricano si appella al
Protocollo I della Convenzione di Ginevra del 1949, che riconosce i diritti dei
detenuti coinvolti in conflitti contro l’occupazione coloniale e non li
assimila ai criminali comuni, ma gli Stati Uniti lo condannano a 55 anni di
prigione, infischiandosene del diritto internazionale. Oscar López Rivera
tenterà anche una fuga, che non andrà a buon fine: gli Usa gli aumentano la
pena a 70 anni e lo costringono a 12 di isolamento totale. Attualmente Oscar
López Rivera è l’unico militante delle Faln ancora dietro le sbarre e il
paradosso sta nel fatto che non gli sono mai state imputate azioni armate, ma
esclusivamente quella di cospirazione sediziosa, per la quale, evidenzia la sua
avvocata Jan Susler, le sanzioni del governo degli Stati Uniti non
superano mai più di venti anni. Alla fine degli anni Novanta, a seguito delle crescenti
proteste della società civile portoricana, l’allora presidente Bill Clinton
concesse un indulto che però non riguardava tutti i prigionieri politici ed
escludeva Carlos Alberto Torres e Haydée Beltrán. Oscar López Rivera dichiarò
il suo appoggio ai suoi due compagni, evidenziò che si trattava di una
questione esclusivamente politica e scelse di rimanere in carcere per
protestare contro la mancata concessione dell’indulto a tutti i militanti delle
Faln. Tuttavia, tra il 2009 e il 2010 Torres e Beltrán uscirono dal
carcere e adesso sono pienamente integrati nella vita sociale e civile, mentre
Oscar López Rivera si trova ancora in carcere: ad oggi, l’unica possibilità per
uscire immediatamente dal carcere risiede nell’ottenere la concessione
dell’indulto dal presidente Obama, una condizione molto difficile da
realizzarsi. Il militante portoricano, che ha 72 anni, tornerà ad essere
ascoltato nel 2023: così ha deciso la giustizia statunitense che, in pratica,
ha deciso di seppellirlo in carcere fino alla fine dei suoi giorni. In passato,
il presidente nicaraguense Daniel Ortega e quello cubano Raúl Castro, l’ex mandatario uruguayano
Pepe Mujica, Hugo Chávez, i premi Nobel per la pace Rigoberta Menchú e Adolfo
Pérez Esquivel e l’ex giudice spagnolo Baltasar Garzón si sono espressi per la
sua liberazione. L’ultimo tentativo in suo favore lo ha fatto alcuni mesi fa il
presidente del Venezuela bolivariano Nicolás Maduro proponendo di liberare
Leopoldo López, il leader del partito di estrema destra Voluntad Popular che
nel 2002 partecipò al colpo di stato anti-chavista, il 12 febbraio scorso
capeggiò l’assalto alla Fiscalía della Repubblica ed è stato tra i
principali responsabili delle violenze di piazza dei guarimbeiros, per scambiarlo con Oscar López Rivera.
Leopoldo López si trova tuttora in carcere ed è definito dalla stampa di mezzo
mondo come un sincero democratico (sic!), mentre Oscar López Rivera è
considerato dall’opinione pubblica come un criminale che si trova in carcere
per reati di sangue e non in quanto prigioniero politico. Secondo il Comité Pro
Derechos Humanos de Puerto Rico è inconcepibile che Obama abbia condannato la
detenzione di Mandela, in carcere per 27 anni con la “colpa” di aver lottato
contro la discriminazione e l’esclusione razziale, e non si mobiliti per Oscar
López Rivera. Il 18 giugno 2012 il Comitato per la Decolonizzazione dell’Onu
aveva approvato una risoluzione di Cuba che riconosceva il diritto
all’indipendenza e all’autodeterminazione di Portorico (il cui territorio
appartiene agli Stati Uniti, benché il paese non sia il 51° stato degli Usa),
oltre alla liberazione dei prigionieri politici portoricani rinchiusi nelle
carceri del potente vicino statunitense. La risoluzione cubana trovò
l’immediato appoggio di Bolivia, Ecuador, Nicaragua e Venezuela (ossia l’asse
portante dell’Alba) e fu approvata dal Comitato Onu, ma gli Stati Uniti
rifiutarono di attuare la risoluzione. Per Oscar López Rivera, nato nel
municipio portoricano di San Sebastián, poco lontano dal luogo in cui nel 1868
fu proclamata la prima Repubblica di Portorico contro l’impero spagnolo, di
recente è stata lanciata sui social network una campagna della Red Nacional
Boricua de Derechos Humano per chiederne la liberazione.
Le
possibilità che il militante portoricano esca a breve dal carcere sono esigue:
per adesso può contare, come è avvenuto finora, sulla solidarietà della società
civile portoricana. Quanto ad un atto di clemenza proveniente dalla Casa
Bianca, coloro che avevano acclamato l’apertura degli Stati Uniti verso Cuba,
dovranno ricredersi: la demonizzazione e la costruzione di nemici ritenuti
pericolosi per l’impero fa ancora parte del bagaglio culturale a Washington e
dintorni.
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