Il ricorso di Arnaldo Cestaro presso
la Corte europea dei diritti dell’uomo è arrivato a sentenza.
La Corte ha stabilito che il massacro compiuto dalla polizia
italiana nella scuola Diaz la notte del 21 luglio 2001 “deve essere
qualificato come tortura”. L’Italia va dunque condannata doppiamente, per le
gravi lesioni fisiche e morali inflitte ai manifestanti e per non avere
ancora una legge adeguata per punire questo reato.
In occasione della sentenza,
riportiamo le testimonianze di quella notte, tratte dal libro di Simona
Mammano, Assalto alla Diaz, Stampa
Alternativa, 2009, p. 204 (si scarica qui).
Testimonianza di Arnaldo Cestaro, all’epoca
62enne, che riportò la frattura di un braccio, una gamba e dieci costole.
“A un certo punto sento dei trambusti che non sono una cosa
normale; c’erano anche i ragazzi fuori che fanno del casino, che può succedere
fra giovani, invece sento un affare che è una cosa tremenda, brutta, si apre la
porta, vedo una… e dico “Madonna, che siano qua i cosiddetti blackbloc? questa è
una cosa…”.
Si apre la porta così, mamma mia, era la nostra polizia, la
Polizia di Stato, con delle divise un po’ scure, hanno cominciato… Hanno fatto
così con le mani…
Ero vicino alla porta. No, questo no, non si possono fare queste
cose… Ho visto – mi sembra – un poliziotto, un signore che era lì davanti agli
altri che ha fatto così con le mani, non so perché, magari perché avevo i
capelli bianchi… ho visto che hanno cominciato coi manganelli da me uno e dopo
gli altri. Ho visto tutta questa cosa.
Sono stato colpito, ma non da quello che aveva alzato le mani, ma
da altri poliziotti in seguito; subito lì è stata una cosa miserevole vedere
tutte ‘ste cose perché…
[Erano] in divisa, c’era scritto Polizia. Non si vedevano, non
posso dire chi erano perché erano tutti quanti con la visiera… Avevano dei
manganelli abbastanza lunghi. A me hanno subito dato col manganello e anche
bello pesante e io sono arrivato a casa da Genova in questa maniera qua, in
carrozzella. Mi hanno rotto un braccio, una gamba, dieci costole. Ad altri
hanno aperto la testa come una palla da rugby e pensavo in quel momento lì a
mia mamma e a quelle mamme che avevano tutti i ragazzi lì perché… per me… ho
una certa età insomma, ma a vedere queste cose fatte a questi ragazzi, a
chiamare ‘mamma’ in francese, in tedesco, in italiano, in tutte le lingue,
trovarmi davanti all’impatto con la polizia, con la polizia che doveva essere
quella che mi doveva sostenere da certe cose perché la polizia fa parte… La
Polizia di Stato è la nostra Polizia e suo compito è vigilare…
[Sono stato colpito] anche con gli scarponi, avevano gli scarponi
e urlavano “Silenzio!”. Poi sono passati quattro o cinque volte e ho preso
anche qualche altro colpo e io chiedevo sempre l’ambulanza… Quando sono
ripassati mi hanno dato un altro colpo ancora. Io domandavo solo una cosa:
“Portatemi all’ospedale”. È una cosa incredibile.
Non so definire quanti poliziotti fossero perché io le ho prese da
uno e poi anche da altri due.
È una cosa che non posso più
dimenticare …”
Il video è stato girato il 13 novembre 2008, poco
prima della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Genova.
Testimonianza di Mark Covell, reporter inglese, che
riportò una grave emorragia interna, un polmone perforato, il polso
spezzato, otto fratture alle costole, dieci denti rotti.
“Una delle cose che mi ricordo è che stavo urlando “Stampa, press,
giornalista” e un poliziotto mi ha ‘svolazzato’ il manganello. “Tu non sei un
giornalista, sei un black-bloc e noi ammazzeremo il blackbloc,” ha detto questo
in inglese.
Ero scioccato e sapevo che a questo punto avevo un po’ di
problemi, avrei avuto un po’ di problemi. Mi picchiavano da tutte le parti, ma
sono riuscito a rimanere in piedi finché non sono stato caricato da circa
quattro poliziotti con gli scudi, poi mi hanno respinto indietro verso il muro
della scuola Diaz.
Ero in mezzo alla strada. Il primo attacco, prima che fossi spinto
verso il muro, è durato circa due o tre minuti. A quel punto stavo cercando di
vedere se riuscivo a correre verso il lato sud della strada, ma non c’era
nessun modo per fuggire. Quando sono stato spinto verso il muro, [l’agente,
N.d.A.] ha cominciato a darmi manganellate sulle ginocchia e poi sono
collassato, sono crollato.
A quel punto ho notato quanti poliziotti c’erano per la strada,
sembrava che ce ne fossero circa duecento, e a quel punto temevo per la mia
vita. Mi chiedevo se sarei sopravvissuto a tutto questo.
Per circa due o tre minuti sono rimasto sdraiato lì, i poliziotti
non mi hanno identificato né mi hanno detto che sarei stato arrestato. Ho visto
anche molte persone in divisa che mi correvano davanti […]. Alcuni sono andati
nella Diaz-Pascoli e altri hanno formato come una barriera di controllo sul
lato sud della strada.
Mi ricordo che un poliziotto si è staccato dalla fila laterale, me
lo ricordo particolarmente perché mi ha dato un colpo alla spina dorsale. Al
secondo calcio rimasi agganciato al suo piede, buttato per aria e cacciato in
strada. Poi tutti gli altri agenti che mi erano intorno hanno cominciato
a fare lo stesso e a quel punto otto costole sul lato sinistro si sono rotte
così come una mano.
C’era molto rumore, però una delle cose che mi ricordo in
particolare è che i poliziotti ridevano e mi sembrava di essere trattato come
un pallone da calcio a cui ognuno, a turno, doveva tirare una pedata. Sono
andati avanti così per due, tre, quattro minuti. Mi sembrava di lottare per la
mia vita.
Perdevo molto sangue e non riuscivo a respirare.
Poi sono stato afferrato da dietro, qualcuno mi ha preso per il
colletto e mi ha trascinato nel punto in cui era iniziato tutto con le
manganellate sulle ginocchia. Sentivo un agente urlare qualcosa ai colleghi.
Intanto mi ha preso il polso per sentire il ritmo delle pulsazioni e ho avuto
l’impressione volesse evitare che fossi aggredito di nuovo. Non riuscivo a
vederlo in faccia questo ufficiale e non so per quanto tempo è rimasto lì,
presumo che a un certo punto se ne sia andato.
Poi ho visto una camionetta che veniva lungo la strada e dietro di
me c’erano molti poliziotti che stavano cercando di buttare giù il cancello
della Diaz con un blindato. Il mezzo ha puntato contro il cancello, ma senza
risultato la prima volta. Allora ho sentito il motore accelerare e questa volta
è riuscito a sfondare dentro il cortile della scuola.
A quel punto una gran massa di poliziotti si è riversata dentro
mentre tutto intorno c’era un grosso movimento e la strada si stava svuotando.
Con me, lungo il perimetro della Diaz, però, erano rimasti alcuni poliziotti.
Erano in borghese. Io stavo male, non mi guardavo attorno.
Ho sentito arrivare qualcuno. Era un altro pubblico ufficiale e
quando si è materializzato è iniziato il terzo attacco contro di me. Non mi
ricordo quanti colpi ho ricevuto, ma alcuni erano calci in faccia che mi hanno
fatto volare via i denti. Poi è arrivato un colpo dietro la testa e sono
svenuto”.
da qui
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