martedì 7 agosto 2018

INVALSI anche all’asilo: il progetto (semi-segreto) INVALSI-VIPS per testare qualità e prontezza scolastica a 3-5 anni di età - Rossella Latempa




L’apprendimento e l’istruzione non iniziano con scuola dell’obbligo: iniziano dalla nascita. [..] Alta qualità di istruzione e cura nella prima infanzia rappresentano le fondamenta per un apprendimento permanente di successo, integrazione sociale, sviluppo personale e, poi, per l’occupabilità di ogni bambino”[1]. Così parla un rapporto della Commissione europea. “Starting strong”, suggerisce l’OCSE: partiamo alla grande. Tutto questo ad una precisa condizione. Che si tratti di istruzione e cura di qualità. E nell’era della Valutazione e della Buona Scuola, la parola qualità, in Italia chiama in causa l’INVALSI. Apprendiamo da un rapporto del CNEL del 2014 che l’INVALSI “è impegnato in un progetto pilota denominato INVALSI VIPS (Valutazione Inziale della Prontezza Scolastica e all’apprendimento) il quale si propone di iniziare la valutazione della capacità di apprendere e dei suoi antecedenti nei bambini che terminano la scuola dell’infanzia e iniziano la primaria. Per quanto il sito dell’INVALSI non riporti alcuna traccia del progetto VIPS nella sezione infanzia, in quest’area apprendiamo che “l’azione della scuola può definirsi efficace quando assicura risultati a distanza nei percorsi di studio successivi o nell’inserimento nel mondo del lavoro”. Si, proprio così. Nel mondo del lavoro. In rete, si ricava qualche informazione da due curricula personali e da una presentazione pubblica: a quanto pare, una prima valutazione della prontezza dei bambini dai 3-5 anni c’è già stata. In quali scuole? Come mai l’Istituto di Valutazione non ha reso trasparente una ricerca così seria? Scopriamo quindi che il “grande esperimento-infanzia” è già partito. La parentesi dell’infanzia, unico segmento finora inviolato dalla nuova “utopia sociale”, che riconfigura la civitas humana dalle fondamenta, in nome del principio di valorizzazione (life-long learning), è ufficialmente parte del meccanismo. Niente di cui meravigliarsi, quindi. Solo quel sottile senso di disturbo perché “valutazione” e “servizio” sono arrivati fino all’infanzia. Oggi, quando si guarda un bambino, bisogna subito capire cosa la società potrà farsene di lui.
“L’apprendimento e l’istruzione non iniziano con scuola dell’obbligo: iniziano dalla nascita. [..] Alta qualità di istruzione e cura nella prima infanzia rappresentano le fondamenta per un apprendimento permanente di successo, integrazione sociale, sviluppo personale e, poi, per l’occupabilità di ogni bambino”[1]. Così parla il rapporto sulla qualità dei servizi dedicati all’istruzione e cura della prima infanzia (ECEC – Early Childhood Education and Care) della Commissione europea.  Che l’infanzia fosse un eccezionale laboratorio per la formazione dell’individuo più adatto alla società della conoscenza, lo aveva capito l’Organizzazione per lo sviluppo e la Cooperazione Economica (OCSE) fin dal 1998, anno della costituzione della Thematic Review of Early Childhood Education and Care Policy[2]:  l’ECEC, appunto, acronimo globale con cui oggi i tecnici dell’educazione si riferiscono a quelli che i nostri genitori chiamavano asili o scuole materne. UNESCO, Banca Mondiale, Unione Europea, OCSE hanno fatto dell’infanzia un oggetto di studi da anni.  “Per ogni dollaro investito in infanzia, il ritorno in investimento è 7 volte maggiore”[3]. Così si esprime il premio Nobel per l’Economia James Heckman in uno studio dal titolo: “Scuole, Competenze e Sinapsi”, svolto per il Natitonal Bureau of Economic Research degli Stati Uniti nel 2008. Il professor Heckman, noto per la sua collaborazione con i Reggio children della “nuova locomotiva” d’Italia[4] – l’Emilia Romagna- è uno strenuo sostenitore dell’importanza degli investimenti precoci sullo sviluppo dei bambini. Sviluppo non solo di abilità cognitive, ma soprattutto di competenze socio-emozionali, “determinanti per il successo socioeconomico”[5] e l’impatto a lungo termine su fattori sociali come riduzione del crimine, delle gravidanze indesiderate tra adolescenti oltre che per l’aumento della produttività della forza lavoro. “Starting strong”, suggerisce l’OCSE: partiamo alla grande.
Il progetto di “civilizzazione” deve cominciare da subito. D’altronde, il ritorno dell’investimento anche di un solo euro dalla tenera infanzia all’età adulta (vedi Fig.1) cala inesorabilmente, tanto più rapidamente quanto più il contesto socio-economico di provenienza del bambino è svantaggiato. Detto questo, non basta garantire  accesso universale ai servizi educativi, per godere di quei benefici che gli economisti stimano. Benessere, apprendimento “predisposto” al life-long learning, maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, tassi di fertilità più elevati ed altro ancora: tutto questo ad una precisa condizione. Che si tratti di istruzione e cura di qualità[6]. E nell’era della Valutazione e della Buona Scuola, la parola qualità, in Italia chiama in causa automaticamente l’INVALSI.
Il Rapporto di Autovalutazione INVALSI per le scuole dell’infanzia
“Benvenuti nell’area Infanzia del portale INVALSI”: si scrive nella  sezione del sito dell’Istituto dedicata ai bambini dai 3-5 anni, sopra l’immagine di un gruppo multicolore di piccoli studenti che regge felice un festone con su scritto INVALSI. A partire da quest’anno anche le scuole dell’infanzia hanno potuto partecipare alla grande rivoluzione della qualità[7], che comincia con una dettagliata procedura di autovalutazione. Garantita INVALSI, ovviamente. Dal maggio scorso è ufficialmente partita la “sperimentazione”[8] del rapporto di autovalutazione (RAV) per le scuole materne. Si tratta, scrivono, della “prova sul campo” di uno strumento già utilizzato dagli altri ordini di scuola e per l’occasione adattato alla realtà educativa di bambini inferiori ai 6 anni. Da diverso tempo, la pratica della “sperimentazione” è in uso presso il Ministero per diluire e far metabolizzare alle scuole “innovazioni” di varia natura: è stato così per la sperimentazione del modello di certificazione delle competenze europee per le elementari (per un approfondimento si veda qui); sarà così, temiamo, per la sperimentazione dei percorsi superiori quadriennali. La scuola (e l’Universitàvengono cucinate da anni a fuoco lento: una bollitura che impedisce di cogliere l’insieme delle implementazioni e dei cambiamenti che la macchina organizzativo-burocratica macina incessantemente. L’”avanguardia innovativa” parte con l’adesione di nuclei di scuole animati da concreto realismo e Zeitgeist, per poi diventare silenziosamente pratica collettiva. “Progressi” addirittura “validati sperimentalmente” (sic) e democraticamente. Su cosa sia il Rapporto di Autovalutazione si è scritto in più occasioni[9]uno strumento di marketing scolastico, in cui far mostra “della propria clientela selezionata” descritta da una serie di indicatori di performance; un dispositivo di classificazione degli istituti, che lascia alle scuole la sensazione di essere protagoniste di una riflessione critica, mentre nei fatti, l’unica libertà è quella di riempire griglie vuote (vedi Fig.2) rispondendo a precisi stimoli (domande guida).


Il Rapporto di autovalutazione progettato per la scuola materna presenta la stessa struttura dei precedenti[10], e non lo descriveremo qui per intero. Ci limiteremo a portare l’attenzione del lettore su un paio di quelle che l’INVALSI chiama “aree”, ciascuna con specifici indicatori, in funzione dei quali la scuola deve riassumere le sue “luci e ombre” per poi attribuirsi, più o meno gesuiticamente, un voto da 1 a 7.
Area “ambiente di apprendimento”, ovvero dal lager alla scuola finlandese[11].
Si chiede alla scuola di descrivere la sua capacità di creare un ambiente di cura appropriato per i bambini e attribuirsi un voto. Ad ogni livello – dall’inadeguatezza totale fino all’eccellenza – è associato un “quadretto” accuratamente descritto. Il minimo corrisponde a una sorta di scuola-lager in cui “l’organizzazione non risponde alle esigenze dei bambini”, “la disposizione degli arredi è rigida”, “le regole non sono condivise” e “i conflitti non sono gestiti con modalità efficaci” – luogo che immediatamente immaginiamo pieno di bambini con naso colante in spazi angusti e insegnanti in perenne burn-out. All’estremo opposto, una piccola scuola finlandese (che sappiamo essere il faro del nuovo sottosegretario Fioramonti) in cui tempi e spazi “sono organizzati in modo ottimale”, gli arredi sono “flessibili”, i bambini fanno “esperienze”, le modalità didattiche sono “innovative”. Un luogo di bambini sorridenti, insegnanti dolci, premurose e pettinate, tappeti morbidi e orti da coltivare. Quale voto dovrebbero attribuirsi gli insegnanti (e i presidi), fra simili alternative?
Area “risultati a distanza”, ovvero chi ben comincia è alla metà dell’opera.
In quest’area apprendiamo che “l’azione della scuola può definirsi efficace quando assicura risultati a distanza nei percorsi di studio successivi o nell’inserimento nel mondo del lavoro”. Si, proprio così. Nel mondo del lavoro. Come farà un’insegnante, magari anche in una scuola stile finlandese, a strutturare percorsi che tengano conto del lontanissimo inserimento lavorativo di un bambino di 3-5 anni? Qualche idea possiamo trovarla leggendo la rubrica di valutazione. Per “definizione INVALSI”, infatti, una scuola è eccellente se, ad esempio, i bambini negli anni successivi “hanno ottimi risultati negli apprendimenti di italiano e matematica”[12]. Dal punto di vista ministeriale, il ragionamento sembra essere più o meno questo: tu, scuola materna, hai lavorato bene coi tuoi bambini, soprattutto se questi, nell’immensa banca dati INVALSI che registrerà inesorabilmente gli esiti ai test dalla seconda elementare in poi, avranno ottenuto buoni punteggi. Riuscire bene nelle prove standardizzate e transitare rapidamente nel mondo produttivo: chiariamo gli obiettivi fin da subito. Sappiamo tutti, d’altra parte, che l’importante a scuola è avere buone basi.
Cos’è il progetto INVALSI -VIPS?
Chi ha approfondito l’architettura e la logica del sistema di valutazione scolastico oramai a pieno regime, sa che tra i tanti indicatori attraverso i quali l’INVALSI dà modo agli istituti di autovalutarsi, alcuni occupano un posto speciale. Come dire, indicano meglio degli altri. I dati e i numeri “parlano da soli”. È questo il sentire comune. Fatti salvi tassi di iscrizione, abbandoni, ripetenze, cambiamenti di percorso, sospensioni di giudizio etc, i risultati delle prove standardizzate – proprio come suggerisce lo stesso RAV infanzia[13] – sono una fonte immediata e privilegiata di informazione su esiti e “successo formativo” degli studenti, di sicuro impatto sull’opinione pubblica. A quali dati appellarsi, dunque, in mancanza di test, per valutare l’efficacia di una scuola materna?  Apprendiamo da un rapporto del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e Lavoro) del 2014 che l’INVALSI “è impegnato in un progetto pilota denominato INVALSI VIPS (Valutazione Inziale della Prontezza Scolastica e all’apprendimento) che si focalizza sull’analisi del livello di sviluppo olistico dei bambini al termine della scuola dell’infanzia o all’inizio della primaria..”[14]. Lo stesso documento spiega che “il progetto INVALSI VIPS si propone di iniziare la valutazione della capacità di apprendere e dei suoi antecedenti nei bambini che terminano la scuola dell’infanzia e iniziano la primaria.”[15]
Test INVALSI per bambini dai 3 ai 5 anni? Proviamo ad approfondire.
Il sito dell’Istituto non riporta alcuna traccia del progetto VIPS nella sezione infanzia, dove ci aspetteremmo di trovare informazioni dettagliate su un tema così delicato e di sicuro interesse per famiglie e insegnanti. Nulla, per quanto oggi a nostra conoscenza, nemmeno nelle altre sezioni del sito. In rete, oltre al rapporto del CNEL citato, si ricava qualche informazione da due curricula personali[16] o da una presentazione pubblica, che addirittura riporta il riferimento ad una (introvabile) fonte “INVALSI VIPS 2015”[17]. L’autrice è la Dr.ssa Cristina Stringher, responsabile INVALSI di progetto[18]. È suo un recente studio  sulla valutazione dell’imparare ad imparare (una delle 8 competenze europee che la scuola è chiamata a certificare) nella prima infanzia. Nel lavoro, dopo un’approfondita ricognizione della letteratura internazionale, si indaga lo sviluppo di quello che l’autrice definisce “Learning Potential” dei bambini piccoli. Si scrive che “nell’ambito dello studio pilota italiano sulla valutazione degli esiti alla fine della scuola dell’infanzia (progetto VIPS INVALSI) è stata sviluppata una check-list [..per consentire..] di elaborare scientificamente il concetto di sviluppo dell’imparare ad imparare nel contesto italiano, da estendere poi ad altre realtà culturali”[19]. A quanto pare, quindi, una prima valutazione della prontezza dei bambini dai 3-5 anni c’è già stata. In quali scuole? E quando? Lo studio afferma genericamente in una nota, che l’indagine è avvenuta “in differenti parti del Nord, Centro e Sud Italia” [20] e che essa ha restituito un’immagine piuttosto confusa (fuzzy) della “prontezza scolastica” e delle sue implicazioni. Come mai l’Istituto di Valutazione non ha reso trasparente una ricerca così seria? Quali sono stati gli esiti e quali sviluppi prevede l’INVALSI?
Il bambino costruito a tavolino
Lo strumento di valutazione elaborato ed impiegato – presumiamo – nel corso del (fantomatico) progetto VIPS dai ricercatori INVALSI, consiste in una “check list” di 33 affermazioni[21] chiamata ALAS (Approaches to Learning Assessment Scale), ciascuna delle quali descrive attitudini e comportamenti del modo di apprendere del bambino (ad. es. il piccolo “è capace di concentrarsi su ciò che è necessario faccia”, “riconosce i propri errori sotto la supervisione di un adulto”, “usa strumenti di investigazione e ricerca – microscopi, lenti, scatole..”, “è capace pianificare una serie di passaggi per raggiungere la soluzione di un problema”, “mostra autodisciplina in classe” etc.). Gli insegnanti, a valle di un’osservazione mirata[22], sono chiamati ad attribuire un livello a ciascuna azione della lista: da “non so” a bambino “non ancora competente, competenza in via di sviluppo, competenza sviluppata”[23]. L’elenco di comportamenti fa da complemento[24] ai test di prontezza scolastica elaborati dalle ricercatrici Zanetti e Cavioni (2014)[25],  facilmente consultabili in rete. Si tratta di prove standardizzate per bambini di 4 o 5 anni, che rilevano “le modalità di sviluppo delle abilità di base, in modo da agire in un’ottica preventiva”[26]; “uno strumento attendibile e capace di valutare quelle abilità che dovrebbero essere presenti nella quasi totalità di bambini” di quell’età, attraverso cui “individuare ritardi e lacune, più o meno gravi, che possono ostacolare la possibilità di un fluido processo di apprendimento”[27].
Scopriamo quindi che il “grande esperimento-infanzia” è già partito. Non solo il Rapporto di Autovalutazione, ben pubblicizzato e reso noto attraverso seminari e conferenze di servizio, ma anche uno studio-pilota, di cui non troviamo informazioni pubbliche. Per questo chiediamo ufficialmente spiegazioni all’INVALSI. In particolare, in merito a quanto afferma la Dr.ssa Stringher nel suo lavoro di ricerca, e cioè che la vera sfida è “costruire una nuova valutazione delle performance con un set di prove in grado di mobilitare la capacità di imparare ad imparare dei bambini della scuola materna”[28].  Da “studio pilota” a diffusione su larga scala? La prospettiva sembra essere questa.
La parentesi dell’infanzia, unico segmento finora inviolato dalla nuova “utopia sociale”, che riconfigura la civitas humana dalle fondamenta, in nome del principio di valorizzazione (life-long learning), è ufficialmente parte del meccanismo. Un congegno di civilizzazione che usa la retorica ipocrita della prevenzione dei disagi, del benessere dei piccoli, degli aiuti precoci e degli interventi tempestivi per sorvegliare e monitorare il profilo di sviluppo del “bambino in vitro”. Pronto a segnalare e correggere ogni difformità o rallentamento, ogni eccedenza o stranezza. Solo il bambino che desidera imparare ad imparare fin da piccolo sarà capace farlo con successo per tutta la vita. Per questo “misurare gli esiti è necessario”, dicono. “Gli esiti sono per e non del bambino”[29], ripetono.  Si dichiara di voler solo offrire un “aiuto per insegnanti (e potenzialmente genitori) nell’osservazione e sviluppo”[30] dei più piccoli. Ma oramai sappiamo che le cosmologie di indicatori e descrittori che la psicometria dell’educazione elabora e sottopone/impone alle scuole, sono sempre presentate come validi e neutri strumenti di partecipazione e conoscenza dei processi per gli “stakeholders” (famiglie e studenti) oltre che come un atto -dovuto- di responsabilizzazione da parte di chi “eroga il servizio” (insegnanti).  Niente di cui meravigliarsi, quindi. Solo quel sottile senso di disturbo perché “valutazione” e “servizio” sono arrivati fino all’infanzia.  Oggi, quando si guarda un bambino, bisogna subito capire cosa la società potrà farsene di lui.
[2] Documento Executive Summary ECEC – OCSE http://www.oecd.org/education/school/2535175.pdf , pag. 1.
[3] Rapporto CNEL del 24 maggio 2018 sulla qualità della Pubblica Amministrazione, pag 118. https://www.cnel.it/Comunicazione/Primo-Piano/ArtMID/694/ArticleID/228/QUALIT192-DEI-SERVIZI-PUBBLICI-PRESENTATA-LA-RELAZIONE-DEL-CNEL
[4] Società fondata nel 1994 da Loris Malaguzzi, con cui Heckman ha in corso un progetto di ricerca per valutare  quanto nella città di Reggio Emilia abbia influito  l’investimento precoce sull’infanzia nell’ economia della comunità.
[5] J Heckman, “School, skills and synapses”, vedi link nel testo, pag 3.
[6] Documento OCSE- Executive Summary Starting Strong 2012 http://www.oecd.org/berlin/49371303.pdf , pag. 1.
[7] Il ciclo di valutazione e miglioramento: iniziato per le altre scuole nel 2014 con l’avvio di un ciclo di valutazione della performance “alla Brunetta”, come previsto dal DPR 80/2013.
[8] 900 scuole coinvolte, vedi https://snv.pubblica.istruzione.it/snv-portale-web/public/ravInfanzia/ravInfanzia. Circa 500 scuole, dette “scuole campione”, sono estratte dall’INVALSI, e ad esse viene riconosciuto un “gettone di partecipazione” pari a 500 euro, altre possono candidarsi attraverso una procedura conclusasi nel giugno 2018. Gratis.
[9] In particolare quest’inverno, a seguito dell’episodio del Liceo Visconti di Roma: https://left.it/2018/02/08/il-liceo-che-si-vanta-di-non-avere-studenti-poveri-o-stranieri-un-fallimento-culturale/ .
[10] 5 sezioni, delle quali 3 dedicate al contesto, esiti dei bambini, processi didattici e organizzativi. La quarta contiene la “riflessione autovalutativa” e la quinta l’individuazione delle priorità e dei traguardi per strutturare un piano di miglioramento. http://www.istruzione.it/snv/allegati/Rav_Infanzia_Invalsi_Miur_18_02_2016a.pdf .
[11] Si veda il lucido resoconto di R. Puleo qui: https://genitoreattivo.wordpress.com/2016/04/20/linfanzia-del-rav/ .
[12] Vedi RAV infanzia, pag 19.
[13] Vedi nota 1 pag. 17 del documento RAV infanzia.
[14] Rapporto CNEL sulla qualità della Pubblica Amministrazione, 2014 (vedi link nel testo) pag. 276, in nota 65.
[15] Ivi, pag. 275, in nota 60.
[18] Così è riportato nel suo curriculum pubblico.
[19] C. Stringher, “Assessment of Learning to Learn in Early Childhood: An Italian Framework”, Italian Journal of Sociology of Education, 8(1)2016,  pag. 18-19, traduzione di chi scrive.
[20] Ivi, nota 12, pag. 19, traduzione di chi scrive.
[21] Ivi, pag. 27, Appendice, traduzione di chi scrive.
[22] Stringher scrive “teacher observes the child’s behavior for a few days”: quanti giorni sono necessari?
[23] Ivi, pag. 18, traduzione di chi scrive.
[24] Ivi, nota 13, pag.20.
[25] M.A. Zanetti e R. Cavioni in “SR 4-5 school readiness – prove per l’individuazione delle abilità di base nel passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria”, Ed. Erickson, 2014.
[27] Ivi, pag. 9.
[28] C. Stringher, pag. 20, traduzione di chi scrive.
[30] C. Stringher, pag. 18, traduzione di chi scrive.


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