“L’apprendimento e l’istruzione non iniziano con scuola dell’obbligo:
iniziano dalla nascita. [..] Alta qualità di istruzione e cura nella prima
infanzia rappresentano le fondamenta per un apprendimento permanente di
successo, integrazione sociale, sviluppo personale e, poi, per l’occupabilità
di ogni bambino”[1]. Così parla un rapporto della Commissione europea.
“Starting strong”, suggerisce l’OCSE: partiamo alla grande. Tutto questo ad una
precisa condizione. Che si tratti di istruzione e cura di qualità. E nell’era
della Valutazione e della Buona Scuola, la parola qualità, in Italia chiama in
causa l’INVALSI. Apprendiamo da un rapporto del CNEL del 2014 che l’INVALSI “è
impegnato in un progetto pilota denominato INVALSI VIPS (Valutazione Inziale
della Prontezza Scolastica e all’apprendimento) il quale si propone di iniziare
la valutazione della capacità di apprendere e dei suoi antecedenti nei bambini
che terminano la scuola dell’infanzia e iniziano la primaria. Per quanto il
sito dell’INVALSI non riporti alcuna traccia del progetto VIPS nella sezione
infanzia, in quest’area apprendiamo che “l’azione della scuola può definirsi
efficace quando assicura risultati a distanza nei percorsi di studio successivi
o nell’inserimento nel mondo del lavoro”. Si, proprio così. Nel mondo del
lavoro. In rete, si ricava qualche informazione da due curricula personali e da
una presentazione pubblica: a quanto pare, una prima valutazione della
prontezza dei bambini dai 3-5 anni c’è già stata. In quali scuole? Come mai
l’Istituto di Valutazione non ha reso trasparente una ricerca così seria?
Scopriamo quindi che il “grande esperimento-infanzia” è già partito. La
parentesi dell’infanzia, unico segmento finora inviolato dalla nuova “utopia
sociale”, che riconfigura la civitas humana dalle fondamenta, in nome del
principio di valorizzazione (life-long learning), è ufficialmente parte del
meccanismo. Niente di cui meravigliarsi, quindi. Solo quel sottile senso di
disturbo perché “valutazione” e “servizio” sono arrivati fino all’infanzia.
Oggi, quando si guarda un bambino, bisogna subito capire cosa la società potrà
farsene di lui.
“L’apprendimento e l’istruzione non iniziano con scuola dell’obbligo:
iniziano dalla nascita. [..] Alta qualità di istruzione e cura nella prima
infanzia rappresentano le fondamenta per un apprendimento permanente di
successo, integrazione sociale, sviluppo personale e, poi, per l’occupabilità
di ogni bambino”[1]. Così parla il rapporto sulla qualità dei
servizi dedicati all’istruzione e cura della prima infanzia (ECEC – Early
Childhood Education and Care) della Commissione europea. Che
l’infanzia fosse un eccezionale laboratorio per la formazione dell’individuo
più adatto alla società della conoscenza, lo aveva capito l’Organizzazione per
lo sviluppo e la Cooperazione Economica (OCSE) fin dal 1998, anno della
costituzione della Thematic Review of Early Childhood Education and
Care Policy[2]: l’ECEC, appunto, acronimo globale
con cui oggi i tecnici dell’educazione si riferiscono a quelli che i nostri
genitori chiamavano asili o scuole materne. UNESCO, Banca Mondiale, Unione
Europea, OCSE hanno fatto dell’infanzia un oggetto di studi da anni. “Per
ogni dollaro investito in infanzia, il ritorno in investimento è 7 volte
maggiore”[3]. Così si esprime il premio Nobel per
l’Economia James Heckman in uno studio dal titolo: “Scuole, Competenze e Sinapsi”, svolto per
il Natitonal Bureau of Economic Research degli Stati Uniti nel
2008. Il professor Heckman, noto per la sua collaborazione con i Reggio children della “nuova
locomotiva” d’Italia[4] – l’Emilia Romagna- è uno strenuo
sostenitore dell’importanza degli investimenti precoci sullo sviluppo dei
bambini. Sviluppo non solo di abilità cognitive, ma soprattutto di competenze
socio-emozionali, “determinanti per il successo socioeconomico”[5] e l’impatto a lungo termine su
fattori sociali come riduzione del crimine, delle gravidanze indesiderate tra
adolescenti oltre che per l’aumento della produttività della forza lavoro. “Starting strong”,
suggerisce l’OCSE: partiamo alla grande.
Il progetto di “civilizzazione” deve cominciare da subito. D’altronde, il
ritorno dell’investimento anche di un solo euro dalla tenera infanzia all’età
adulta (vedi Fig.1) cala inesorabilmente, tanto più rapidamente quanto più il
contesto socio-economico di provenienza del bambino è svantaggiato. Detto
questo, non basta garantire accesso universale ai servizi educativi, per
godere di quei benefici che gli economisti stimano. Benessere, apprendimento
“predisposto” al life-long learning, maggiore partecipazione
femminile al mercato del lavoro, tassi di fertilità più elevati ed altro ancora:
tutto questo ad una precisa condizione. Che si tratti di istruzione e
cura di qualità[6]. E nell’era della Valutazione e della
Buona Scuola, la parola qualità, in Italia chiama in causa
automaticamente l’INVALSI.
Il Rapporto di Autovalutazione INVALSI per le scuole dell’infanzia
“Benvenuti nell’area Infanzia del portale INVALSI”: si scrive nella sezione
del sito dell’Istituto dedicata ai bambini dai 3-5 anni, sopra
l’immagine di un gruppo multicolore di piccoli studenti che regge felice un
festone con su scritto INVALSI. A partire da quest’anno anche le scuole
dell’infanzia hanno potuto partecipare alla grande rivoluzione della
qualità[7], che comincia con una dettagliata
procedura di autovalutazione. Garantita INVALSI, ovviamente. Dal maggio scorso
è ufficialmente partita la “sperimentazione”[8] del rapporto di autovalutazione
(RAV) per le scuole materne. Si tratta, scrivono, della “prova sul campo” di
uno strumento già utilizzato dagli altri ordini di scuola e per l’occasione
adattato alla realtà educativa di bambini inferiori ai 6 anni. Da diverso tempo,
la pratica della “sperimentazione” è in uso presso il Ministero per diluire e
far metabolizzare alle scuole “innovazioni” di varia natura: è stato così per
la sperimentazione del modello di certificazione
delle competenze europee per le elementari (per un
approfondimento si veda qui);
sarà così, temiamo, per la sperimentazione dei percorsi
superiori quadriennali. La scuola (e l’Università) vengono cucinate da
anni a fuoco lento: una bollitura che impedisce di cogliere l’insieme delle
implementazioni e dei cambiamenti che la macchina organizzativo-burocratica
macina incessantemente. L’”avanguardia innovativa” parte con l’adesione di
nuclei di scuole animati da concreto realismo e Zeitgeist, per poi
diventare silenziosamente pratica collettiva. “Progressi” addirittura
“validati sperimentalmente” (sic) e democraticamente. Su cosa sia il Rapporto
di Autovalutazione si è scritto in più occasioni[9]: uno strumento di
marketing scolastico, in cui far mostra “della propria clientela
selezionata” descritta da una serie di indicatori di performance;
un dispositivo di classificazione
degli istituti, che lascia alle scuole la sensazione di essere
protagoniste di una riflessione critica, mentre nei fatti, l’unica libertà è
quella di riempire griglie vuote (vedi Fig.2) rispondendo a precisi stimoli
(domande guida).
Il Rapporto di autovalutazione
progettato per la scuola materna presenta la stessa struttura dei precedenti[10], e non lo descriveremo qui per intero.
Ci limiteremo a portare l’attenzione del lettore su un paio di quelle che l’INVALSI
chiama “aree”, ciascuna con specifici indicatori, in funzione dei quali la
scuola deve riassumere le sue “luci e ombre” per poi attribuirsi, più o meno
gesuiticamente, un voto da 1 a 7.
Area “ambiente di apprendimento”, ovvero dal lager alla scuola finlandese[11].
Si chiede alla scuola di descrivere la sua capacità di creare un ambiente
di cura appropriato per i bambini e attribuirsi un voto. Ad ogni livello –
dall’inadeguatezza totale fino all’eccellenza – è associato un “quadretto”
accuratamente descritto. Il minimo corrisponde a una sorta di scuola-lager in
cui “l’organizzazione non risponde alle esigenze dei bambini”, “la disposizione
degli arredi è rigida”, “le regole non sono condivise” e “i conflitti non sono
gestiti con modalità efficaci” – luogo che immediatamente immaginiamo pieno di
bambini con naso colante in spazi angusti e insegnanti in perenne burn-out.
All’estremo opposto, una piccola scuola finlandese (che sappiamo essere il faro del
nuovo sottosegretario Fioramonti) in cui tempi e spazi “sono organizzati in
modo ottimale”, gli arredi sono “flessibili”, i bambini fanno “esperienze”, le
modalità didattiche sono “innovative”. Un luogo di bambini sorridenti,
insegnanti dolci, premurose e pettinate, tappeti morbidi e orti da coltivare.
Quale voto dovrebbero attribuirsi gli insegnanti (e i presidi), fra simili
alternative?
Area “risultati a distanza”, ovvero chi ben comincia è alla metà
dell’opera.
In quest’area apprendiamo che “l’azione della scuola può definirsi efficace
quando assicura risultati a distanza nei percorsi di studio successivi o
nell’inserimento nel mondo del lavoro”. Si, proprio così. Nel mondo del
lavoro. Come farà un’insegnante, magari anche in una scuola stile
finlandese, a strutturare percorsi che tengano conto del lontanissimo
inserimento lavorativo di un bambino di 3-5 anni? Qualche idea possiamo
trovarla leggendo la rubrica di valutazione. Per “definizione INVALSI”,
infatti, una scuola è eccellente se, ad esempio, i bambini negli anni
successivi “hanno ottimi risultati negli apprendimenti di italiano e
matematica”[12]. Dal punto di vista ministeriale, il
ragionamento sembra essere più o meno questo: tu, scuola materna, hai lavorato
bene coi tuoi bambini, soprattutto se questi, nell’immensa banca dati INVALSI
che registrerà inesorabilmente gli esiti ai test dalla seconda elementare in
poi, avranno ottenuto buoni punteggi. Riuscire bene nelle prove standardizzate
e transitare rapidamente nel mondo produttivo: chiariamo gli obiettivi fin da
subito. Sappiamo tutti, d’altra parte, che l’importante a scuola è avere buone
basi.
Cos’è il progetto INVALSI -VIPS?
Chi ha approfondito l’architettura e la logica del sistema di valutazione
scolastico oramai a pieno regime, sa che tra i tanti indicatori attraverso i
quali l’INVALSI dà modo agli istituti di autovalutarsi, alcuni
occupano un posto speciale. Come dire, indicano meglio degli
altri. I dati e i numeri “parlano da soli”. È questo il sentire comune. Fatti
salvi tassi di iscrizione, abbandoni, ripetenze, cambiamenti di percorso,
sospensioni di giudizio etc, i risultati delle prove standardizzate – proprio
come suggerisce lo stesso RAV infanzia[13] – sono una fonte immediata e
privilegiata di informazione su esiti e “successo formativo” degli studenti, di
sicuro impatto sull’opinione pubblica. A quali dati appellarsi, dunque, in
mancanza di test, per valutare l’efficacia di una scuola materna?
Apprendiamo da un rapporto del
CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e Lavoro) del 2014 che
l’INVALSI “è impegnato in un progetto pilota denominato INVALSI VIPS
(Valutazione Inziale della Prontezza Scolastica e all’apprendimento) che
si focalizza sull’analisi del livello di sviluppo olistico dei bambini al
termine della scuola dell’infanzia o all’inizio della primaria..”[14]. Lo stesso documento spiega che “il
progetto INVALSI VIPS si propone di iniziare la valutazione della capacità di
apprendere e dei suoi antecedenti nei bambini che terminano la
scuola dell’infanzia e iniziano la primaria.”[15]
Test INVALSI per bambini dai 3 ai 5 anni? Proviamo ad approfondire.
Il sito dell’Istituto non riporta alcuna traccia del progetto VIPS nella
sezione infanzia, dove ci aspetteremmo di trovare informazioni
dettagliate su un tema così delicato e di sicuro interesse per famiglie e
insegnanti. Nulla, per quanto oggi a nostra conoscenza, nemmeno nelle altre
sezioni del sito. In rete, oltre al rapporto del CNEL citato, si ricava qualche
informazione da due curricula personali[16] o da una presentazione pubblica,
che addirittura riporta il riferimento ad una (introvabile) fonte “INVALSI VIPS
2015”[17]. L’autrice è la Dr.ssa Cristina
Stringher, responsabile INVALSI di progetto[18]. È suo un recente studio sulla
valutazione dell’imparare ad imparare (una delle 8 competenze
europee che la scuola è chiamata a certificare) nella prima infanzia. Nel
lavoro, dopo un’approfondita ricognizione della letteratura internazionale, si
indaga lo sviluppo di quello che l’autrice definisce “Learning Potential”
dei bambini piccoli. Si scrive che “nell’ambito dello studio pilota italiano
sulla valutazione degli esiti alla fine della scuola dell’infanzia (progetto
VIPS INVALSI) è stata sviluppata una check-list [..per consentire..] di
elaborare scientificamente il concetto di sviluppo dell’imparare ad imparare
nel contesto italiano, da estendere poi ad altre realtà culturali”[19]. A quanto pare, quindi, una prima
valutazione della prontezza dei bambini dai 3-5 anni c’è già stata. In quali
scuole? E quando? Lo studio afferma genericamente in una nota, che l’indagine è
avvenuta “in differenti parti del Nord, Centro e Sud Italia” [20] e che essa ha restituito
un’immagine piuttosto confusa (fuzzy) della “prontezza scolastica” e
delle sue implicazioni. Come mai l’Istituto di Valutazione non ha reso
trasparente una ricerca così seria? Quali sono stati gli esiti e quali sviluppi
prevede l’INVALSI?
Il bambino costruito a tavolino
Lo strumento di valutazione elaborato ed impiegato – presumiamo – nel corso
del (fantomatico) progetto VIPS dai ricercatori INVALSI, consiste in una “check
list” di 33 affermazioni[21] chiamata ALAS (Approaches to Learning
Assessment Scale), ciascuna delle quali descrive attitudini e comportamenti
del modo di apprendere del bambino (ad. es. il piccolo “è capace di
concentrarsi su ciò che è necessario faccia”, “riconosce i propri errori sotto
la supervisione di un adulto”, “usa strumenti di investigazione e ricerca –
microscopi, lenti, scatole..”, “è capace pianificare una serie di passaggi per
raggiungere la soluzione di un problema”, “mostra autodisciplina in classe”
etc.). Gli insegnanti, a valle di un’osservazione mirata[22], sono chiamati ad attribuire un livello
a ciascuna azione della lista: da “non so” a bambino “non ancora competente,
competenza in via di sviluppo, competenza sviluppata”[23]. L’elenco di comportamenti fa da
complemento[24] ai test di
prontezza scolastica elaborati dalle ricercatrici Zanetti e
Cavioni (2014)[25], facilmente consultabili in rete.
Si tratta di prove standardizzate per bambini di 4 o 5 anni, che rilevano “le
modalità di sviluppo delle abilità di base, in modo da agire in un’ottica
preventiva”[26]; “uno strumento attendibile e capace di
valutare quelle abilità che dovrebbero essere presenti nella quasi totalità di
bambini” di quell’età, attraverso cui “individuare ritardi e lacune, più o meno
gravi, che possono ostacolare la possibilità di un fluido processo di
apprendimento”[27].
Scopriamo quindi che il “grande esperimento-infanzia” è già partito. Non
solo il Rapporto di Autovalutazione, ben pubblicizzato e reso noto
attraverso seminari e
conferenze di servizio, ma anche uno studio-pilota, di cui non
troviamo informazioni pubbliche. Per questo chiediamo ufficialmente
spiegazioni all’INVALSI. In particolare, in merito a quanto afferma la Dr.ssa
Stringher nel suo lavoro di ricerca, e cioè che la vera sfida è “costruire una
nuova valutazione delle performance con un set di prove in grado di mobilitare
la capacità di imparare ad imparare dei bambini della scuola materna”[28]. Da “studio pilota” a diffusione
su larga scala? La prospettiva sembra essere questa.
La parentesi dell’infanzia, unico segmento finora inviolato dalla nuova
“utopia sociale”, che riconfigura la civitas humana dalle
fondamenta, in nome del principio di valorizzazione (life-long learning),
è ufficialmente parte del meccanismo. Un congegno di civilizzazione che usa la
retorica ipocrita della prevenzione dei disagi, del benessere dei piccoli,
degli aiuti precoci e degli interventi tempestivi per sorvegliare e monitorare
il profilo di sviluppo del “bambino in vitro”. Pronto a segnalare e correggere
ogni difformità o rallentamento, ogni eccedenza o stranezza. Solo il bambino
che desidera imparare ad imparare fin da piccolo sarà capace
farlo con successo per tutta la vita. Per questo “misurare gli esiti è
necessario”, dicono. “Gli esiti sono per e non del bambino”[29], ripetono. Si dichiara di voler
solo offrire un “aiuto per insegnanti (e potenzialmente genitori)
nell’osservazione e sviluppo”[30] dei più piccoli. Ma oramai sappiamo
che le cosmologie di indicatori e descrittori che la psicometria
dell’educazione elabora e sottopone/impone alle scuole, sono sempre presentate
come validi e neutri strumenti di partecipazione e conoscenza dei processi per
gli “stakeholders” (famiglie e studenti) oltre che come un atto -dovuto- di
responsabilizzazione da parte di chi “eroga il servizio” (insegnanti).
Niente di cui meravigliarsi, quindi. Solo quel sottile senso di disturbo perché
“valutazione” e “servizio” sono arrivati fino all’infanzia. Oggi, quando
si guarda un bambino, bisogna subito capire cosa la società potrà farsene di
lui.
[1] ECEC
European Quality Framework, 2014, http://ec.europa.eu/assets/eac/education/experts-groups/2011-2013/ecec/ecec-quality-framework_en.pdf ,
pag 3.
[2] Documento Executive
Summary ECEC – OCSE http://www.oecd.org/education/school/2535175.pdf ,
pag. 1.
[3] Rapporto CNEL
del 24 maggio 2018 sulla qualità della Pubblica Amministrazione, pag 118. https://www.cnel.it/Comunicazione/Primo-Piano/ArtMID/694/ArticleID/228/QUALIT192-DEI-SERVIZI-PUBBLICI-PRESENTATA-LA-RELAZIONE-DEL-CNEL
[4] Società fondata
nel 1994 da Loris Malaguzzi, con cui Heckman ha in corso un progetto di ricerca
per valutare quanto nella città di Reggio Emilia abbia influito
l’investimento precoce sull’infanzia nell’ economia della comunità.
[5] J Heckman,
“School, skills and synapses”, vedi link nel testo, pag 3.
[6] Documento OCSE-
Executive Summary Starting Strong 2012 http://www.oecd.org/berlin/49371303.pdf ,
pag. 1.
[7] Il ciclo di
valutazione e miglioramento: iniziato per le altre scuole nel 2014 con l’avvio
di un ciclo di valutazione della performance “alla Brunetta”,
come previsto dal DPR 80/2013.
[8] 900 scuole
coinvolte, vedi https://snv.pubblica.istruzione.it/snv-portale-web/public/ravInfanzia/ravInfanzia.
Circa 500 scuole, dette “scuole campione”, sono estratte dall’INVALSI, e ad
esse viene riconosciuto un “gettone di partecipazione” pari a 500 euro, altre
possono candidarsi attraverso una procedura conclusasi nel giugno 2018. Gratis.
[9] In particolare
quest’inverno, a seguito dell’episodio del Liceo Visconti di Roma: https://left.it/2018/02/08/il-liceo-che-si-vanta-di-non-avere-studenti-poveri-o-stranieri-un-fallimento-culturale/ .
[10] 5 sezioni, delle
quali 3 dedicate al contesto, esiti dei bambini, processi didattici e
organizzativi. La quarta contiene la “riflessione autovalutativa” e la quinta
l’individuazione delle priorità e dei traguardi per strutturare un piano di
miglioramento. http://www.istruzione.it/snv/allegati/Rav_Infanzia_Invalsi_Miur_18_02_2016a.pdf .
[11] Si veda il
lucido resoconto di R. Puleo qui: https://genitoreattivo.wordpress.com/2016/04/20/linfanzia-del-rav/ .
[12] Vedi RAV
infanzia, pag 19.
[13] Vedi nota 1 pag.
17 del documento RAV infanzia.
[14] Rapporto CNEL
sulla qualità della Pubblica Amministrazione, 2014 (vedi link nel testo) pag.
276, in nota 65.
[15] Ivi, pag. 275,
in nota 60.
[16] Vedi https://www.unimib.it/sites/default/files/cv/03-01-2018/cavioni_2017_unimib.pdf,
pag. 8 e http://www.invalsi.it/operazionetrasparenza/cv/po/CV_Cristina_Stringher_2016.pdf pag
3.
[17] Vedi https://www.sistemachess.it/Eventi/Pdf/01stringher_300916_150842.pdf oppure http://www.fismvenezia.it/Download/AreaRiservata/AS2016_17/Corso_P3/Stringher_Esiti_FISM_Veneto_articolata.pdf .
In particolare, vedi secondo documento, pagg. 27-29.
[18] Così è riportato
nel suo curriculum pubblico.
[19] C. Stringher, “Assessment
of Learning to Learn in Early Childhood: An Italian Framework”, Italian
Journal of Sociology of Education, 8(1), 2016, pag. 18-19,
traduzione di chi scrive.
[20] Ivi, nota 12,
pag. 19, traduzione di chi scrive.
[21] Ivi, pag. 27,
Appendice, traduzione di chi scrive.
[22] Stringher scrive
“teacher observes the child’s behavior for a few days”:
quanti giorni sono necessari?
[23] Ivi, pag. 18,
traduzione di chi scrive.
[24] Ivi, nota 13,
pag.20.
[25] M.A. Zanetti e
R. Cavioni in “SR 4-5 school readiness – prove per l’individuazione delle
abilità di base nel passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria”,
Ed. Erickson, 2014.
[26]https://www.researchgate.net/publication/267631685_SR-4-5_School_Readiness_-_Nuova_Edizione_Prove_per_l’individuazione_delle_abilita_di_base_nel_passaggio_dalla_scuola_dell’infanzia_alla_scuola_primaria , pag. 7.
[27] Ivi, pag. 9.
[28] C. Stringher,
pag. 20, traduzione di chi scrive.
[30] C. Stringher,
pag. 18, traduzione di chi scrive.
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