(tratto da Nena News)
Quando uno
Stato ha paura di una poesia, la democrazia è un miraggio. Così succede che in poche
ore, tra Il Cairo e Nazareth, due poeti finiscano in prigione per dei versi. Il
primo condannato dal regime del generale golpista al-Sisi, il secondo dalle
autorità di uno Stato che si definisce per legge solo ebraico.
Dareen Tatour è
palestinese, cittadina israeliana. Vive a Nazareth, è una poetessa e una
scrittrice. Nel 2015, nei giorni caldi, i primi, della cosiddetta Intifada di
Gerusalemme – mesi di attacchi isolati con i coltelli da parte di giovani
palestinesi contro soldati e coloni israeliani, a volte veri, a volte presunti – pubblicò la
poesia “Resist, my people resist them” su internet. A fare da sfondo un
video con le immagini di proteste palestinesi.
Per quella poesia
aveva subito una condanna a tre anni di arresti domiciliari. Ieri il tribunale
di Nazareth, città a maggioranza palestinese nel nord di Israele, ha comminato
una nuova pena: cinque mesi di carcere per “incitamento alla violenza”. La stessa corte a
maggio l’aveva dichiarata colpevole del reato, ieri ha emesso la sentenza.
“Resisti, mio popolo, resisti loro / A Gerusalemme, ho indossato
le mie ferite e respirato le mie pene /E ho portato l’anima sul palmo della
mano / per una Palestina araba / Non mi arrenderò a una soluzione pacifica /
Non abbasserò le mie bandiere / finché non li caccerò dalla mia terra”.
Questo un
estratto della poesia incriminata che racconta le storie di tre
giovani, l’adolescente Mohammed Abu Khdeir, rapito e dato alle fiamme da alcuni
coloni a Gerusalemme, Hadeel al-Hashlamoun, 18enne ucciso dall’esercito a
Hebron, e il piccolo Ali Dawabsheh, otto mesi, ucciso da un gruppo di coloni
che hanno dato fuoco alla sua casa vicino Nablus.
Per il legale di
Tatour, Gaby Lasky, “il verdetto viola il diritto di parola e la libertà di
espressione ed è una violazione dei diritti della minoranza palestinese dentro
Israele”. Per la poetessa si erano mobilitati autori e scrittori da tutto il
mondo, tra cui 150 intellettuali statunitensi – tra cui Naomi Klein e il premio
Pulitzer Alice Walker – che avevano fatto appello a Tel Aviv perché la
rilasciasse.
Niente da fare.
In un video pubblicato online Tatour ha promesso che continuerà a scrivere:
“Dopo la legge sullo Stato-nazione ebraico, mi aspetto di tutto – diceva poche
ore prima l’emissione della sentenza – Non credo che in Israele ci sia
giustizia e continuerò a scrivere poesie con il linguaggio che voglio e con le
parole che scelgo. Non accetto di farmi dire da nessuna legge cosa scrivere e come”.
Tatour era stata
già arrestata l’11 ottobre del 2015, pochi giorni dopo la pubblicazione della
poesia su Facebook, per essere posta ai domiciliari per tre anni il gennaio
successivo. In tanti hanno paragonato il suo caso a quello del soldato
israeliano Elor Azaria, che per aver ucciso un palestinese ferito, a terra, ha
scontato solo nove mesi di prigione.
Nelle stesse ore in
Egitto Galal al-Behairy veniva condannato a tre anni di carcere da un tribunale
militare e al pagamento di una multa di 560 dollari per un libro di poesia che,
secondo i giudici, avrebbe criticato l’esercito egiziano e per una canzone che
avrebbe preso in giro il presidente al-Sisi. L’accusa è blasfemia e
insulti all’establishment militare.
Al-Behairy era
stato arrestato lo scorso marzo, dopo l’uscita della canzone “Balaha”, nome di
un personaggio di un film egiziano, un bugiardo compulsivo, con cui gli
egiziani si prendono gioco di al-Sisi:
“Oh Balaha, quattro anni sono alla fine trascorsi in disgrazia /
Con tutti tuoi gangster nelle prigioni più buie / Spero tu possa marcire in un posto
così”
Non solo: il
poeta ha scritto un libro, una raccolta di poesie intitolata “The finest women on Earth”, titolo che
secondo la magistratura militare richiama ai soldati del paese: un hadith attribuito al
profeta Maometto parla di “the finest soldiers on Earth”. Per il tribunale,
dunque, una presa in giro dell’esercito e una sua “femminilizzazione”.
Al-Behairy si è difeso, parlando di folle interpretazione. Tant’è: la poesia è
comunque finita dietro le sbarre di un regime sempre più paranoico. Nena News
Poeti sociali, voci scomode per il potere.
RispondiEliminai consigli di Nazim Hikmet (speriamo che Dareen e Galal escano presto e più forti di prima)
EliminaQualche consiglio a chi deve affrontare molti anni di galera
Se invece di essere impiccato
Vieni sbattuto dentro
Per non aver rinunciato a sperare
Nel mondo, nel Paese, nel tuo popolo
Se devi scontarti dieci o quindici anni
Oltre al tempo che ti rimane,
E’ meglio che non ti venga da dire
“Avrei preferito che mi avessero
Appeso a una corda
Come la bandiera”
Punta i piedi e vivi.
Potrebbe non essere esattamente piacevole
Ma è tuo solenne dovere
Vivere ancora un altro giorno
Per fare dispetto al nemico.
Parte di te potrebbe vivere solitaria dentro,
Come un sasso in fondo al pozzo.
Ma l’altra parte di te
Deve essere coinvolta
Nel vortice del mondo
Tanto che ti viene da tremare
Quando fuori, a quaranta giorni di distanza,
Si muove una foglia.
Aspettare lettere mentre sei dentro,
Cantare canzoni tristi
O stare svegli tutta la notte a fissare il soffitto
E’ dolce ma pericoloso.
Guardati la faccia tra una rasatura e l’altra,
Stai attentto ai pidocchi
E alle notti di primavera,
E ricordati sempre
Di mangiare l’ultimo boccone di pane –
Non dimenticarti anche di ridere di cuore.
E chissà,
La donna che ami potrebbe smettere di amarti.
Non dire che non importa:
Per l’uomo che è dentro
E’ come un ramo verde divelto e spaccato.
.
Pensare alle rose e ai giardini fa male,
Pensare al mare e alle montagne fa bene.
Leggi e scrivi senza riposo,
E consiglio anche di tessere
E di costruire specchi.
Voglio dire, non è che non si possono passare
Dieci o quindici anni dentro
O anche di più
È possibile
Purché il gioiello
Nella parte sinistra del tuo petto
Non perda la sua lucentezza.
Maggio 1949, Nazim Hikmet, scritta nella prigione di Bursa, in Turchia (tradotta dall’inglese da Pina Piccolo).