domenica 26 agosto 2018

TAVOLARA - Gian Luigi Deiana


quando pensi a un’isola chiamata tavolara ti sovviene ovviamente l’immagine di una tavola coricata sul mare, lunga, ferma e piatta proprio come una tavola nel blu; ma qui già si cela il primo perfido inganno: infatti è anche vero che questa lunga roccia calcarea può assomigliare a una tavola, ma per niente affatto a una placida cosa coricata sul mare, bensì a una cosa ben piantata di taglio come una lama lunga e alta, ficcata su una torta azzurra; per avere un’idea si deve immaginare appunto una tavola lunga forse due chilometri, larga duecento metri e alta seicento, e più o meno ci siamo;
tutti quelli che passano dalle strade e dalle navi
la vedono sempre lì come una grande sentinella che dorme, e quindi è logico che può venir voglia di andare a trovarla e magari risalire la fiancata fino al dorso di cresta; e del resto è davvero invitante perché dai tempi dei tempi è tutta bianca di calcare e tutta verde di ginepri, e ti senti disposto a un vero sacrificio per poter vedere il mondo da là sopra: non perché tu conquisti lei, del resto alla tua piccolezza, ma perché lei ha conquistato te, alla grandezza della creazione;
io non ci andavo da ventidue anni: in quel tempo ancora era molto intima, libera e grandiosa come un quieto immenso animale; ci sono poi stato ieri, consapevole del fatto che da un po’ ci si fanno cose impegnative come ristorazione di mare e festival di cinema e altre cose esotiche della cultura; questo può suscitare rimpianti, ma fin qui non è casa mia e da ospite casuale non ho diritto di lamentare alcunché;
c’è una stradina che prende via dal molo, con l’intenzione di tagliare in basso il fianco dell’isola da una punta all’altra; salvo che la punta opposta ospita strutture militari particolari, per sommergibili, comunicazioni e chissà che altro, e quindi non ci puoi proprio arrivare; ma in realtà puoi pur capire questo sacrificio, in quanto il tuo interesse principale non è andare in orizzontale da una punta all’altra, ma andare in verticale dal livello del mare alla cima;
e infatti allora, venti e più anni fa, percorremmo alcune centinaia di metri sulla stradina, fino a intercettare il sentiero che poi sale a vertigine sulla cresta;
ma ora ho scoperto che no, la stradina è sbarrata già sul piccolo molo con segnali minacciosi, prima di proprietà privata, poi di sorveglianza armata, poi di zona militare;
nel piccolo ufficio informazioni sul molo mi è stato detto di procedere in senso opposto, tra le rocce sull’acqua, e poi tentare la scalata dalla punta sud, fino alla cima lungo un antico passo di caccia, che infatti abbiamo poi percorso e che ho trovato pericoloso e senza segnalazione alcuna;
ero con mio figlio là sopra, mentre molte decine di barche andavano qua e là, fra l’isola e la costa, e centinaia di avventori stazionavano tra la piccola spiaggia, il ristorante e i souvenir; è stato triste assistere da là sopra a questo interminabile via vai nello specchio di mare sotto di noi, mentre noi cercavamo con qualche ansia i passaggi per salire e poi per poter ridiscendere senza rischio in quella magnificenza;
e tutto per la stupida idiota tetragona pretesa dei comandi di piazzare reti e divieti, e per la stupida idiota servile accondiscendenza di amministrazioni che tradendo i cittadini glielo lasciano fare; ebbene, no! io e i miei figli, io e i miei amici, non siamo ospiti casuali: questa è parte della nostra casa;
penso che dovremmo andare in dieci o cento a tavolara e salire là sopra, con le nuvole o il sole

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