campagna promossa da Giornalisti contro il razzismo
Dieci anni fa
abbiamo lanciato un appello – “I media rispettino il popolo
Rom” – e una proposta di autodisciplina del linguaggio – “Mettiamo al bando la parola clandestino” – con il
proposito di contribuire a una discussione aperta sul modo di fare informazione
in un periodo di campagne politiche sulla sicurezza spesso condotte sul filo
dell’emotività e della paura. Da allora molte cose sono cambiate, alcune anche
in meglio, ma stanno emergendo nuovi motivi di forte preoccupazione.
Negli ultimi mesi di
cronache politiche abbiamo assistito a un’allarmante accelerazione di un
processo che da anni indebolisce il diritto dei cittadini a un’informazione
onesta, approfondita e indipendente, che serva a migliorare la vita dei
cittadini e non a generare paure, odio e tensioni sociali.
In particolare, si
registra una diffusa tendenza giornalistica – anche nella stampa cosiddetta
indipendente – a riportare acriticamente affermazioni di esponenti politici
palesemente menzognere e fuorvianti. Espressioni che utilizzano un lessico
costantemente sopra le righe – quando non propriamente rabbioso, violento e
istigatore di violenza – per propagandare uno specifico punto di vista e per
continuare a rimettere in cima alle priorità italiane una sola questione: lo
stigma e il pre-giudizio contro le persone in fuga verso l’Europa.
È evidente, per
esempio, l’intento di propaganda politica e non certo di riportare la verità
quando i massimi rappresentanti istituzionali parlano ad esempio di naufraghi
in crociera, Ong al soldo delle mafie dei barconi, aree di guerra
“inesistenti”, fantomatici e vaghi complotti di “sostituzione etnica”, ruspe
per spianare campi nomadi, rom italiani “purtroppo non espatriabili”, migranti
che non viaggerebbero in aereo perché sulle navi umanitarie si godono “la
pacchia”. Alle garanzie costituzionali e alla tutela dei diritti umani
fondamentali si sostituiscono interpretazioni e costruzioni capziose e
strumentali prive di fondamento.
È obbligo civile prima
ancora che deontologico del giornalista, contestualizzare affermazioni
politiche di simile tenore e gravità in una cornice adeguata, fornendo al
lettore chiavi di interpretazione o altri elementi utili a minimizzare i rischi
di manipolazione sociale e di deformazione della realtà percepita dall’opinione
pubblica. A maggior ragione se la fonte è un ministro che ha prestato
giuramento sulla Costituzione repubblicana e se è circondato dal silenzio
istituzionale di fronte a parole che si stanno ora tramutando in fatti.
Un’informazione
onesta, approfondita e indipendente dovrebbe passare le esternazioni
estemporanee al vaglio dei dati di realtà, delle rilevazioni sul campo e delle
statistiche ufficiali fornite. Istituzioni nazionali e internazionali come
Unar, Istat, Iom, Unhcr tracciano un quadro dell’immigrazione ben diverso dalla
retorica dell’invasione e proprio per questo vengono spesso ignorate o relegate
ai margini del discorso prevalente.
Il nostro sistema
dell’informazione rischia di rendersi complice del disegno di chi abusa della
credulità popolare e cerca di estendere via via l’area dell’assuefazione a uno
spietato cinismo verbale ora tradotto in azione istituzionale.
La professione
giornalistica è normata dalle leggi dello Stato (dunque in prima istanza dalla
Costituzione), richiede una specifica abilitazione con iscrizione all’Albo, è
regolamentata da una serie di norme deontologiche (fra le quali la Carta di
Roma, riguardante l’informazione sui fenomeni migratori).
L’eventuale dissenso
relegato nell’angolo dei commenti non basta.
Contrasta con tali
norme, e dunque con il pieno esercizio della libertà di informazione in uno
stato di diritto, il ridursi a megafono asettico (e talvolta zelante) di
politici senza scrupoli lasciati liberi di imporre l’agenda delle priorità e
delle supposte emergenze nazionali, di praticare un linguaggio che semina odio,
di disinformare sistematicamente i cittadini, di mistificare la realtà agitando
azioni istituzionali per nulla risolutive ma a elevato impatto mediatico,
utilizzando delle vite umane per primeggiare nel marketing del consenso.
Ci appelliamo
all’Ordine dei giornalisti e ai colleghi affinché i rappresentanti
istituzionali e quant’altri contribuiscono a questa spirale di violenza si
trovino sistematicamente a confrontarsi con un’informazione critica e non
asservita, che non si limiti a registrare e ripetere le frasi del giorno, ma al
contrario fornisca gli strumenti e le conoscenze necessarie per analizzarle e
confutarle quando necessario.
A nessuno dev’essere permesso di ingannare e tradire l’opinione pubblica e
dunque la vita democratica.
Primi firmatari:
Silvia
Berruto, Giuseppe Faso, Lorenzo Guadagnucci, Carlo
Gubitosa, Beatrice Montini, Zenone Sovilla
Andare alla pagina dell’appello per l’adesione: qui
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