domenica 5 agosto 2018

I discount mettono all’asta l’agricoltura italiana - Stefano Liberti, Fabio Ciconte


L’offerta è di quelle irrinunciabili: una bottiglia di passata di pomodoro a 39 centesimi di euro, un litro di latte a 59 centesimi, un barattolo da 370 grammi di confettura extragusti a 79 centesimi, un pacco di pasta trafilata al bronzo a 49 centesimi. Diffuso a tappeto nelle cassette delle lettere e su internet, il volantino promuove i saldi sul cibo per attrarre una clientela sempre più vasta. A firmarlo è il gruppo Eurospin, quello della “spesa intelligente” e del marchio blu con le stellette, discount italiano con una rete di oltre mille punti vendita in tutta la penisola e vertiginose crescite di fatturato annuali a due cifre .
Facendo un rapido calcolo, è possibile preparare una pasta al pomodoro per quattro persone spendendo quanto un caffè al bar. Ma come fa il gruppo veronese a proporre prezzi così stracciati? Dietro le offerte al consumatore, c’è un meccanismo perverso che finisce per schiacciare intere filiere e che ha conseguenze sulle dinamiche di produzione e sui rapporti di lavoro nelle campagne: l’asta elettronica al doppio ribasso.
Questa pratica commerciale, che somiglia più al gioco d’azzardo che a una transazione tra aziende, è sempre più diffusa nel settore della Grande distribuzione organizzata (Gdo), soprattutto tra i gruppi discount. Fa leva sul grande potere che hanno acquisito negli ultimi anni le insegne dei supermercati, diventate il principale canale degli acquisti alimentari, e sulla frammentazione e lo scarso potere contrattuale degli altri attori della filiera.

Come funziona un’asta online al doppio ribasso
Il meccanismo di base è lo stesso di un’asta: da una parte c’è la Gdo, che deve acquistare la merce, dall’altra le aziende fornitrici che fanno l’offerta. Con un’unica, non trascurabile, variante: vince il prezzo peggiore, non il migliore.
È successo poche settimane fa, quando Eurospin ha chiesto alle aziende del pomodoro di presentare un’offerta di vendita per una partita di 20 milioni di bottiglie di passata da 700 grammi. Una volta raccolte le proposte, ha indetto una seconda gara, usando come base di partenza l’offerta più bassa.
Alcuni si sono ritirati già dopo la prima asta. “Non ci stiamo dentro con i costi”, ha detto con fare sconsolato uno di loro, che ha chiesto di rimanere anonimo. Gli altri sono stati invitati a fare una nuova offerta, sempre al ribasso, su un sito internet. Si sono quindi trovati a dover proporre in pochi minuti ulteriori tagli al prezzo base, in modo da aggiudicarsi la partita.
Alla fine di questa gara online, la commessa è stata vinta da due grandi gruppi per un prezzo pari a 31,5 centesimi per bottiglia di passata. Altre tre aziende hanno invece vinto un’altra commessa per una fornitura di pelati da 400 grammi grazie a un’offerta di 21,5 centesimi per bottiglia.
“Se teniamo conto solo della materia prima, della bottiglia e del tappo, per la passata arriviamo a un costo di 32 centesimi”, dice un industriale del pomodoro, che preferisce non rivelare il nome. “Se poi aggiungi il costo dell’energia e del lavoro, allora ci perdi, e anche tanto”. Eppure, pur di aggiudicarsi la commessa e stare sul mercato, molti sono disposti a lavorare in perdita, sperando poi di rifarsi successivamente risparmiando su altre voci di fatturato, come per esempio il costo della materia prima.

“Il vero caporale”
Nelle campagne della Capitanata, in provincia di Foggia, tutto è ormai pronto per la raccolta. Nelle prossime settimane camion carichi di cassoni cominceranno a fare la spola tra i campi, che già brillano del rosso dei pomodori maturi, e le varie aziende di trasformazione. Ma gli agricoltori sono sempre più sconfortati. “Una volta il pomodoro garantiva ottimi guadagni. Ormai è un prodotto-merce, che si paga sempre meno”, racconta Marco Nicastro, imprenditore agricolo e presidente dell’organizzazione di produttori Mediterraneo. “Quando gli industriali partecipano a queste aste, l’unico modo che hanno per non lavorare in perdita è rifarsi su noi produttori agricoli, pagandoci il meno possibile la materia prima. Altro che sfruttamento nei campi da parte nostra, è la grande distribuzione organizzata il vero caporale!”.
In una specie di effetto a cascata, ogni attore della filiera finisce per rivalersi su quello più debole: le aziende strozzate dalle aste cercano di ottenere il prodotto agricolo a prezzi più bassi e i produttori provano a risparmiare sul costo del lavoro. “Alla fine ci rimettono i lavoratori, perché sono gli ultimi anelli della catena”, denuncia Giovanni Mininni, segretario nazionale della Flai-Cgil. “Non si può pensare di eliminare il fenomeno dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e del caporalato se non si interviene su tutta la filiera, perché la Gdo abbassa il prezzo a livelli quasi insostenibili per chi produce. Anche se non può essere una giustificazione, spesso i produttori risparmiano sulla pelle dei lavoratori, violando leggi e contratti”.
Secondo uno studio dell’Associazione industrie beni di consumo, nei gruppi discount la pratica dell’asta incide per circa il 50 per cento delle forniture. Percentuale che si abbassa leggermente nei supermercati tradizionali. Ma la prassi finisce per investire interi settori agroalimentari, che si trovano ostaggio di una politica commerciale basata sul continuo abbassamento dei prezzi. “Il problema di queste aste online”, dice Giovanni De Angelis, direttore dell’Associazione nazionale delle industrie conserviere alimentari vegetali (Anicav), “è che non riguardano solo il gruppo che le lancia e coloro che accettano i prezzi ribassati. Il prezzo con cui si vince l’asta diventa un riferimento per tutte le altre insegne della Gdo”.

Le leggi e i protocolli
Così il pomodoro – simbolo del made in Italy e della dieta mediterranea – si vede sempre più relegato al ruolo di commodity, prodotto civetta dal valore irrisorio e che può essere ottenuto solo riducendo al minimo i costi. “Spesso i nostri associati sono costretti a partecipare a queste gare per vendere il prodotto. Ma si tratta di pratiche che favoriscono fenomeni speculativi, su cui sarebbe giusto intervenire in modo normativo come è stato fatto in altri paesi europei, per esempio in Francia”.
Una legge francese del 2005 ha regolamentato le aste elettroniche fissando limiti così numerosi da renderle non vantaggiose. Nel giugno 2017, anche il governo italiano è intervenuto nella stessa direzione. Il ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha stilato un protocollo per promuovere pratiche commerciali leali lungo l’intera filiera agroalimentare. In particolare, si chiedeva alla Gdo di impegnarsi “a non fare più ricorso alle aste elettroniche inverse al doppio ribasso per l’acquisto di prodotti agricoli e agroalimentari”.
Pur se non vincolante, il documento è stato firmato dal gruppo Conad e da Federdistribuzione, a cui sono associate diverse insegne di supermercati. Eurospin non ha aderito. Ai ripetuti contatti via email e telefonici per avere chiarimenti sia sulla recente asta del pomodoro sia sulla mancata adesione al protocollo, l’azienda veronese ha preferito non rispondere.

Una direttiva contro le pratiche sleali
“Quella delle aste online è una delle pratiche commerciali sleali su cui è necessario intervenire”. Vicepresidente della commissione agricoltura del parlamento europeo, Paolo De Castro è relatore di una proposta di direttiva europea per riequilibrare i rapporti di forza nella filiera agroalimentare e mettere fine allo strapotere delle insegne commerciali. “La grande distribuzione organizzata è nelle mani di pochi gruppi giganteschi, e questo rende molto fragile il potere contrattuale degli altri attori, che subiscono vere e proprie imposizioni da far west”.
La direttiva vuole stabilire degli standard di legge a cui tutti gli stati membri devono adeguarsi, con la possibilità di andare oltre le legislazioni nazionali. “È la prima volta in vent’anni che si legifera su questo punto. Se la direttiva sarà approvata, e contiamo di farlo entro la fine della legislatura, nel 2019, scatteranno dei meccanismi che vieteranno le pratiche più aggressive della Gdo mettendole al bando”.
Dietro le aste online e le altre azioni vessatorie messe in atto dai gruppi della Gdo nei confronti dei fornitori, c’è un’idea di marketing che ha trasformato il cibo in un bene a basso costo, con i supermercati impegnati in promozioni continue per accaparrarsi una clientela interessata solo a spendere meno. Un’idea che ha conseguenze sui produttori, spinti a produrre in quantità sempre maggiori e a costi sempre minori, risparmiando il più possibile sul lavoro dei braccianti.
“Oltre a far soffrire gli operatori agricoli, le aste online, il sottocosto e il 3x2 danneggiano gli stessi consumatori. Siamo sicuri che il prezzo più basso vada veramente a suo beneficio? Per vendere a quei prezzi, alla fine bisogna abbassare i costi di produzione e quindi la qualità”, conclude De Castro.
Il non detto del volantino che propone il sugo a 39 centesimi per “una spesa intelligente” è proprio questo: dietro a quei prezzi, ci potrebbero essere sfruttamento nei campi e riduzione al minimo degli standard qualitativi.

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