martedì 21 agosto 2018

due poesie di Franco Arminio, su Genova




FERMIAMOCI
Fermiamoci su Genova.
Fermiamo la ruota che porta
via gli eventi.
Conosciamo i nomi dei morti,
chiediamo ai colpevoli di farsi avanti,
vadano in televisione a scusarsi,
a riconoscere
che hanno avuto in regalo
contratti segreti e rapinosi,
dicano di rinunciare ai soldi,
si convincano a pagare quel che devono
e andare via.
Fermiamoci qui,
non lasciamo questa storia
in mano alla magistratura,
al Parlamento,
chiediamo che diano conto
direttamente a noi,
formiamo improvvisamente
un popolo attento,
un popolo che non si fa distrarre,
che non si divide
in fazioni,
un popolo che si fa famiglia
e non si sposterà dalle sue lacrime
e dalla sua rabbia
fino a quando i colpevoli
non daranno un cenno di umanità:
chiediamo a chi ha concesso
un contratto capestro
di chiedere scusa agli italiani
e di non candidarsi mai più
a nessun governo,
chiediamo ai governanti di adesso
di non replicare le pagliacciate
che conosciamo da anni.
Fermiamoci su Genova,
quella è una scena da vecchio testamento,
non può finire in un  balletto di carte
e fatui giochi di politicanti.
Fermiamoci, non c’è nessun motivo
per passare ad altro, la peste del guadagno
ora è chiarissima,
dobbiamo estirparla tutti assieme,
tutti quanti.


L’IMBUTO DI  CEMENTO
Lo sterno schiacciato,
la bocca piena di polvere.
Una mattina buia,
il filo del tempo
spezzato, il sangue
sullo sterzo,
la pioggia che entra
nell’orecchio.
Squilla il tuo telefono,
ti sta cercando tua madre,
ma non puoi rispondere,
tu non puoi sentire l’ultimo
tuono
del giorno
e le nostre parole, le sirene
la ruspa,
il ronzio dei vivi.
Non ti conoscevo,
ma ti penso e ti ripenso
in quell’imbuto
di cemento
senza Dio e senza vento.


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