Samir Amin, come metafora dell’emancipazione umana e dei popoli delle periferie in primo luogo - Giorgio Riolo
Scrivevo a suo tempo – alla scomparsa di
François Houtart – che era difficile riassumere la ricchezza di una vita,
pensiero e azione, così straordinaria. Così si può esordire per questa figura
altrettanto straordinaria.
Houtart
e Amin, accomunati dall’impegno internazionalista, dall’avere il mondo come
orizzonte e come casa. Mondo tuttavia irrimediabilmente diviso, a causa dello
sviluppo ineguale, del colonialismo e dell’imperialismo, fra centri sviluppati
e periferie condannate al sottosviluppo, fra Nord e Sud. Accomunati dall’aver
concepito e fondato nel 1997 il Forum Mondiale delle Alternative, organismo
precursore dei successivi Forum Sociali Mondiali. Persone (compagni, amici)
fortunate, come dice Massimiliano Lepratti, valente studioso italiano
dell’opera di Amin. Hanno dato tanto, e molto continueranno a dare, e molto
hanno ricevuto, dalla vita così intensa e così degnamente vissuta.
Ciò
che ora possiamo fare, subito dopo la triste notizia della scomparsa di Amin, è
solo un doveroso rendergli omaggio in poche righe. Ben altra riflessione, ben
altro impegno, in incontri, seminari, saggi, occorrerebbe dedicare a una delle
maggiori personalità del Novecento. Giunta intatta, nello spirito, nella
lucidità mentale e nell’impegno militante, ai primi decenni del terzo millennio.
Dire
marxista e comunista è sicuramente giusto. Ortodosso/eterodosso a suo modo.
Militante infaticabile e grande intellettuale. Le formule, le etichette, le
definizioni sono importanti e orientano, ma sono anche gabbie che imprigionano.
Samir era figlio del suo tempo. Profondamente convinto che la storia reale e la
cultura determinano, agiscono sempre, non solo i modi di produzione, non solo
il “determinismo economico” ecc. Allora il suo profondo convincimento, l’intimo
orgoglio di appartenere a una grande civiltà millenaria, come quella egizia:
egiziana, seppure fusa nelle successive acquisizioni delle idee chiare e
distinte dell’illuminismo e della rivoluzione francese (la parte materna e
l’educazione scolastica e universitaria) e del patrimonio ideale e culturale
del marxismo, del movimento operaio, dei movimenti di emancipazione dei popoli
coloniali.
Per
capire la sua critica a quella che definiva “alienazione economicistica”, fra i
tanti suoi saggi, basta ricordare le belle pagine dedicate alla cultura, alla
religione, alla filosofia, alla politica, alla ideologia in generale, contenute
nel libro fondamentaleL’eurocentrisme.
Critique d’une ideologie (e qui un personale rammarico per non averlo
pubblicato assieme ai tanti libri, saggi, articoli tradotti e promossi come
responsabile dell’Associazione Culturale Punto Rosso, ma si può adesso
rimediare). E la decisiva nozione di eurocentrismo è una delle chiavi per
capire la storia globale, per capire il colonialismo e l’imperialismo. E per
capire anche molta deformazione di alcuni marxismi e di alcuni movimenti
operai, socialisti e comunisti.
Dalla
tesi di laurea degli anni cinquanta, poi confluita nella prima grande operaL’accumulazione su scala mondiale. Critica
della teoria del sottosviluppo (in Italia presso Jaca Book), al punto
fermo teorico de Lo sviluppo
ineguale (nel 1977 presso Einaudi), alla collaborazione dei primi anni
ottanta con Immanuel Wallerstein, Andre Gunder Frank e Giovanni Arrighi per Dinamiche della crisi globale (adattamento
presso Editori Riuniti), a La teoria
dello sganciamento (il termine italiano che adottammo per rendere la
nozione fondamentale di deconnexion,
delinking, la necessità per i Paesi e i popoli delle periferie di
rompere con la logica dello sviluppo capitalistico e di ricercare un modello di
“sviluppo autocentrato” ecc.), ai tanti libri nei quali, tra la fine degli anni
ottanta e gli anni novanta, ha sostanziato la sua critica radicale del
neoliberismo, dell’egemonismo e unipolarismo Usa e del suo “controllo militare
del pianeta”, del sempre più evidente divenir “obsoleto” del sistema
capitalistico, malgrado la vittoria definitiva sul sistema sovietico, del quale
Amin è stato uno dei più intelligenti critici ecc. Il capitalismo realmente
esistente altrettanto obsoleto del socialismo realmente esistente.
La
tendenza a uniformare il mondo, a omogeneizzare-omologare, da parte del
capitalismo e dell’imperialismo ha prodotto e produce reazioni identitarie,
“culturalistiche” come dice Amin, da parte dei popoli oppressi. Da qui il
pericolo di fenomeni come l’Islam politico e le tante sue forme
fondamentalistiche, fuorvianti e oppressive. Le sue analisi del fenomeno
dell’Islam politico e in generale del mondo arabo rimangono come pietre miliari
del suo itinerario politico e intellettuale.
Per
un mondo multipolare, per la ripresa dello spirito della “era di Bandung”, per
il costituirsi di un polo “antiegemonico” (contendente l’egemonia Usa) anche se
non “antisistemico” (anche se non anticapitalistico) in prima fila Cina, India,
Russia, per un’Europa come progetto autentico e non rispondente ai bisogni
dell’egemonia della Germania, ai bisogni del neoliberismo ecc. Per il rinnovato
risveglio e protagonismo di Africa, Asia e America latina. Il suo impegno in
tal senso è stato negli anni recenti senza posa.
Innovatore,
nel solco di Marx, senza dogmi e senza scolastica. “La vocazione africana e
asiatica” (semplificata in “terzomondista”) del marxismo, la teoria del valore
mondializzato, lo scambio ineguale, correlato al valore mondializzato, lo
sviluppo ineguale, il ruolo delle campagne e dei contadini nelle varie
rivoluzioni avvenute (Russia, Cina, Vietnam, Cuba, Algeria, Nicaragua ecc.) e
nei movimenti di liberazione come progetti nazionali e popolari nelle varie
aree del mondo. Solo per elencare alcuni di questi avanzamenti e apporti oltre
i vari marxismi irrigiditi, ripetitivi, dogmatici, eurocentrici.
Samir
era un rivoluzionario anche nella persona. Disponibile, ilare, ironico, gran
narratore, non logorroico, attento e pronto ad ascoltare. Egizio-egiziano,
appunto. Il capitalismo ha contribuito fortemente a sviluppare le capacità
umane (scienza, tecnica, specialismi, macchine, mezzi di produzione, “forze
produttive” in generale). E questo è importante, sempre comunque ricordando lo
sviluppo apportato dalle tante civiltà extraeuropee della storia globale.
In
gioco però è soprattutto lo sviluppo della personalità umana. Vale a dire
l’etica, le qualità umane di relazione, la cultura, l’apertura mentale e morale
ecc. La lotta per il socialismo, oltre al cambiamento economico-sociale,
strutturale, è anche questo.
A mo’ di provvisorio congedo. Con il proposito di tornare a studiare e a valorizzare la
sua figura.
L’amico
e compagno Enrico mi ha inviato (fra i tanti) un semplice e bellissimo
messaggio per salutare degnamente Samir. “Coloro che abbiamo amato e che
abbiamo perduto non sono più dove erano ma sono ovunque noi siamo”
(Sant’Agostino o Agostino d’Ippona). Grazie Enrico.
E
grazie Samir. Una vita degna di essere vissuta.
Fontaneto d’Agogna, 14 agosto 2018
Addio a Samir Amin, uno degli ultimi grandi
intellettuali. Amico del Manifesto - Luciana Castellina
Il ricordo. Uno degli ultimi
grandi intellettuali impegnati a 180 gradi nelle battaglie dei movimenti di
questo scorcio di secolo, sempre pronto a partecipare e a confrontarsi coi
ragazzi come chiunque abbia preso parte ai Forum Sociali Mondiali sa bene
La mia mail si è riempita in poche ore: messaggi da ogni parte del mondo
per la morte di Samir Amin. Uno schiaffo, perché la scomparsa non è stata
annunciata da una lunga malattia ma da un recente trasferimento da Dakar in un
ospedale di Parigi. Isabelle, la sua compagna da più di mezzo secolo, presente
al decesso inatteso, tornata a casa si è sentita mancare, si è rotta il femore
ed ora è a sua volta in ospedale; e così allo scoramento si aggiunge la
tristezza di non poterla nemmeno abbracciare per telefono.
La provenienza dei messaggi – Africa soprattutto ma anche Asia America Latina
Europa – testimoniano di per sé la personalità e il ruolo che ha avuto nella
sinistra mondiale: non solo come marxista capace di aggiornare senza dogmatismi
il suo pensiero agli sconvolgenti mutamenti del dopoguerra, ma come militante
politico. Uno degli ultimi grandi intellettuali impegnati a 180 gradi nelle
battaglie dei movimenti di questo scorcio di secolo, sempre pronto a
partecipare e a confrontarsi coi ragazzi come chiunque abbia preso parte ai
Forum Sociali Mondiali sa bene. Portando in ogni assemblea il suo ostinato
ottimismo della volontà: «Dobbiamo costruire la V Internazionale», ci ammoniva,
e non si stancava di ripeterlo, sebbene i Forum, gli appuntamenti più
variopinti della storia, facessero talvolta fatica a capire il messaggio; ma
aveva ragione Samir ad insistere che gli arcobaleni sono belli ma non bastano
se si vuole costruire «l’altro mondo possibile».
Ma per tutti i partecipanti la sua autorità è stata indiscussa. Ha avuto
impatto anche la sua ultima sfuriata contro i catalani: «L’ideologia dominante
– ha scritto ancora pochi mesi fa – ha così raggiunto il suo obiettivo:
sostituire alla priorità della coscienza sociale il primato di altre identità,
in questo caso nazionale. E’una deriva tragica». E, aveva aggiunto dopo aver
assistito a un dibattito a Barcellona: «Ho sentito uno solo dei presenti, uno
di Podemos, dire che non avrebbero mai sostenuto un governo di destra ancorché
catalano».
Per noi del manifesto Samir Amin è stato molto importante:
l’abbiamo conosciuto all’inizio degli anni ’70, ricordo ancora il primo
incontro a casa mia, con lui altri due egiziani, i loro nomi coperti da un
unico poi divenuto celebre pseudonimo – Mahmud Hussein (il loro primo libro ci
fece scoprire la lotta di classe nell’Egitto di Nasser) – e anche, non ricordo
se già la prima volta o solo la seconda, con lui anche André Gunder Frank,
tedesco ma ormai da tempo cileno.
Erano i primi marxisti del terzo mondo, e ci insegnarono a ragionare in
termini globali, fuori dal ghetto eurocentrico, e dunque di cosa significava
“l’accumulazione su scala mondiale”. Se il manifesto è stato
l’espressione di una sinistra ricca e articolata, lo dobbiamo a questo innesto.
Che non ebbe mai i caratteri di un terzomondismo disinteressato alle
problematiche del capitalismo avanzato, o, peggio, venato da diffidenze
identitarie. Samir è stato infatti protagonista di tutte le reti internazionali
marxiste, ortodosse e eterodosse, che da cinquant’anni a questa parte hanno
animato il dibattito della sinistra mondiale: gli annuali incontri a New York
della Socialist Scholars Conference, oggi Left
Conference, così come, per fare un altro esempio, della Round Table
for Socialism che, anche questa ogni anno fino alla fine della
Jugoslavia, si teneva a Cavtat, presenti, anche nel furore della rottura,
sovietici e cinesi albanesi e americani (Sweezy sempre), il Pci come il
manifesto.
Vorrei ricordare due incontri fra gli ultimi con Samir, e scusatemi se mi
riguardano: uno, ormai già lontano, in occasione del suo ottantesimo
compleanno. I suoi compagni egiziani invitarono una ventina di amici
provenienti da tutto il mondo per un simposium in suo onore che si tenne a
bordo di una nave partita da Assuan per percorrere tutto il Nilo, a bordo ogni
giorno un confronto su temi diversi, in ogni porto una visita alle meraviglie
dell’antico Egitto di cui Samir non finiva di essere orgoglioso. L’ultimo, non
molti mesi fa, a Mosca, per il centenario della rivoluzione d’Ottobre. Eravamo
stati ambedue invitati dal gruppo “Alternative” di Alex Buzgalin, comunisti ma
non ortodossi, che avevano organizzato una straordinaria conferenza
internazionale sul ’17.Per la seduta conclusiva Alex, che è anche un compagno
stravagante, aveva allestito un teatrino chiedendo ad alcuni di noi di
impersonare un protagonista della storia e di improvvisare uno show. A me toccò
essere Alexandra Kollontaj, a Samir Stalin, a un compagno greco Trozki, e così
via. Prima fra chi doveva prendere la parola, chiesi a Samir:
«Compagno Stalin, ma era proprio necessario assassinare Trozki?». E Samir,
pronto, mi ha risposto:«No, no, è stato un vero errore. Un errore dei miei
servizi di informazione: mi avevano detto che era ancora importante e invece
non contava più nulla, perciò è stato del tutto inutile». Perchmir era
anche molto, molto spiritoso.
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