giovedì 16 agosto 2018

ricordo di Samir Amin



Samir Amin, come metafora dell’emancipazione umana e dei popoli delle periferie in primo luogo - Giorgio Riolo


Scrivevo a suo tempo – alla scomparsa di François Houtart – che era difficile riassumere la ricchezza di una vita, pensiero e azione, così straordinaria. Così si può esordire per questa figura altrettanto straordinaria.
Houtart e Amin, accomunati dall’impegno internazionalista, dall’avere il mondo come orizzonte e come casa. Mondo tuttavia irrimediabilmente diviso, a causa dello sviluppo ineguale, del colonialismo e dell’imperialismo, fra centri sviluppati e periferie condannate al sottosviluppo, fra Nord e Sud. Accomunati dall’aver concepito e fondato nel 1997 il Forum Mondiale delle Alternative, organismo precursore dei successivi Forum Sociali Mondiali. Persone (compagni, amici) fortunate, come dice Massimiliano Lepratti, valente studioso italiano dell’opera di Amin. Hanno dato tanto, e molto continueranno a dare, e molto hanno ricevuto, dalla vita così intensa e così degnamente vissuta.
Ciò che ora possiamo fare, subito dopo la triste notizia della scomparsa di Amin, è solo un doveroso rendergli omaggio in poche righe. Ben altra riflessione, ben altro impegno, in incontri, seminari, saggi, occorrerebbe dedicare a una delle maggiori personalità del Novecento. Giunta intatta, nello spirito, nella lucidità mentale e nell’impegno militante, ai primi decenni del terzo millennio.
Dire marxista e comunista è sicuramente giusto. Ortodosso/eterodosso a suo modo. Militante infaticabile e grande intellettuale. Le formule, le etichette, le definizioni sono importanti e orientano, ma sono anche gabbie che imprigionano. Samir era figlio del suo tempo. Profondamente convinto che la storia reale e la cultura determinano, agiscono sempre, non solo i modi di produzione, non solo il “determinismo economico” ecc. Allora il suo profondo convincimento, l’intimo orgoglio di appartenere a una grande civiltà millenaria, come quella egizia: egiziana, seppure fusa nelle successive acquisizioni delle idee chiare e distinte dell’illuminismo e della rivoluzione francese (la parte materna e l’educazione scolastica e universitaria) e del patrimonio ideale e culturale del marxismo, del movimento operaio, dei movimenti di emancipazione dei popoli coloniali.
Per capire la sua critica a quella che definiva “alienazione economicistica”, fra i tanti suoi saggi, basta ricordare le belle pagine dedicate alla cultura, alla religione, alla filosofia, alla politica, alla ideologia in generale, contenute nel libro fondamentaleL’eurocentrisme. Critique d’une ideologie (e qui un personale rammarico per non averlo pubblicato assieme ai tanti libri, saggi, articoli tradotti e promossi come responsabile dell’Associazione Culturale Punto Rosso, ma si può adesso rimediare). E la decisiva nozione di eurocentrismo è una delle chiavi per capire la storia globale, per capire il colonialismo e l’imperialismo. E per capire anche molta deformazione di alcuni marxismi e di alcuni movimenti operai, socialisti e comunisti.
Dalla tesi di laurea degli anni cinquanta, poi confluita nella prima grande operaL’accumulazione su scala mondiale. Critica della teoria del sottosviluppo (in Italia presso Jaca Book), al punto fermo teorico de Lo sviluppo ineguale (nel 1977 presso Einaudi), alla collaborazione dei primi anni ottanta con Immanuel Wallerstein, Andre Gunder Frank e Giovanni Arrighi per Dinamiche della crisi globale (adattamento presso Editori Riuniti), a La teoria dello sganciamento (il termine italiano che adottammo per rendere la nozione fondamentale di deconnexion, delinking, la necessità per i Paesi e i popoli delle periferie di rompere con la logica dello sviluppo capitalistico e di ricercare un modello di “sviluppo autocentrato” ecc.), ai tanti libri nei quali, tra la fine degli anni ottanta e gli anni novanta, ha sostanziato la sua critica radicale del neoliberismo, dell’egemonismo e unipolarismo Usa e del suo “controllo militare del pianeta”, del sempre più evidente divenir “obsoleto” del sistema capitalistico, malgrado la vittoria definitiva sul sistema sovietico, del quale Amin è stato uno dei più intelligenti critici ecc. Il capitalismo realmente esistente altrettanto obsoleto del socialismo realmente esistente.
La tendenza a uniformare il mondo, a omogeneizzare-omologare, da parte del capitalismo e dell’imperialismo ha prodotto e produce reazioni identitarie, “culturalistiche” come dice Amin, da parte dei popoli oppressi. Da qui il pericolo di fenomeni come l’Islam politico e le tante sue forme fondamentalistiche, fuorvianti e oppressive. Le sue analisi del fenomeno dell’Islam politico e in generale del mondo arabo rimangono come pietre miliari del suo itinerario politico e intellettuale.
Per un mondo multipolare, per la ripresa dello spirito della “era di Bandung”, per il costituirsi di un polo “antiegemonico” (contendente l’egemonia Usa) anche se non “antisistemico” (anche se non anticapitalistico) in prima fila Cina, India, Russia, per un’Europa come progetto autentico e non rispondente ai bisogni dell’egemonia della Germania, ai bisogni del neoliberismo ecc. Per il rinnovato risveglio e protagonismo di Africa, Asia e America latina. Il suo impegno in tal senso è stato negli anni recenti senza posa.
Innovatore, nel solco di Marx, senza dogmi e senza scolastica. “La vocazione africana e asiatica” (semplificata in “terzomondista”) del marxismo, la teoria del valore mondializzato, lo scambio ineguale, correlato al valore mondializzato, lo sviluppo ineguale, il ruolo delle campagne e dei contadini nelle varie rivoluzioni avvenute (Russia, Cina, Vietnam, Cuba, Algeria, Nicaragua ecc.) e nei movimenti di liberazione come progetti nazionali e popolari nelle varie aree del mondo. Solo per elencare alcuni di questi avanzamenti e apporti oltre i vari marxismi irrigiditi, ripetitivi, dogmatici, eurocentrici.
Samir era un rivoluzionario anche nella persona. Disponibile, ilare, ironico, gran narratore, non logorroico, attento e pronto ad ascoltare. Egizio-egiziano, appunto. Il capitalismo ha contribuito fortemente a sviluppare le capacità umane (scienza, tecnica, specialismi, macchine, mezzi di produzione, “forze produttive” in generale). E questo è importante, sempre comunque ricordando lo sviluppo apportato dalle tante civiltà extraeuropee della storia globale.
In gioco però è soprattutto lo sviluppo della personalità umana. Vale a dire l’etica, le qualità umane di relazione, la cultura, l’apertura mentale e morale ecc. La lotta per il socialismo, oltre al cambiamento economico-sociale, strutturale, è anche questo.
A mo’ di provvisorio congedoCon il proposito di tornare a studiare e a valorizzare la sua figura.
L’amico e compagno Enrico mi ha inviato (fra i tanti) un semplice e bellissimo messaggio per salutare degnamente Samir. “Coloro che abbiamo amato e che abbiamo perduto non sono più dove erano ma sono ovunque noi siamo” (Sant’Agostino o Agostino d’Ippona). Grazie Enrico.
E grazie Samir. Una vita degna di essere vissuta.
Fontaneto d’Agogna, 14 agosto 2018




Addio a Samir Amin, uno degli ultimi grandi intellettuali. Amico del Manifesto - Luciana Castellina

Il ricordo. Uno degli ultimi grandi intellettuali impegnati a 180 gradi nelle battaglie dei movimenti di questo scorcio di secolo, sempre pronto a partecipare e a confrontarsi coi ragazzi come chiunque abbia preso parte ai Forum Sociali Mondiali sa bene
La mia mail si è riempita in poche ore: messaggi da ogni parte del mondo per la morte di Samir Amin. Uno schiaffo, perché la scomparsa non è stata annunciata da una lunga malattia ma da un recente trasferimento da Dakar in un ospedale di Parigi. Isabelle, la sua compagna da più di mezzo secolo, presente al decesso inatteso, tornata a casa si è sentita mancare, si è rotta il femore ed ora è a sua volta in ospedale; e così allo scoramento si aggiunge la tristezza di non poterla nemmeno abbracciare per telefono.
La provenienza dei messaggi – Africa soprattutto ma anche Asia America Latina Europa – testimoniano di per sé la personalità e il ruolo che ha avuto nella sinistra mondiale: non solo come marxista capace di aggiornare senza dogmatismi il suo pensiero agli sconvolgenti mutamenti del dopoguerra, ma come militante politico. Uno degli ultimi grandi intellettuali impegnati a 180 gradi nelle battaglie dei movimenti di questo scorcio di secolo, sempre pronto a partecipare e a confrontarsi coi ragazzi come chiunque abbia preso parte ai Forum Sociali Mondiali sa bene. Portando in ogni assemblea il suo ostinato ottimismo della volontà: «Dobbiamo costruire la V Internazionale», ci ammoniva, e non si stancava di ripeterlo, sebbene i Forum, gli appuntamenti più variopinti della storia, facessero talvolta fatica a capire il messaggio; ma aveva ragione Samir ad insistere che gli arcobaleni sono belli ma non bastano se si vuole costruire «l’altro mondo possibile».
Ma per tutti i partecipanti la sua autorità è stata indiscussa. Ha avuto impatto anche la sua ultima sfuriata contro i catalani: «L’ideologia dominante – ha scritto ancora pochi mesi fa – ha così raggiunto il suo obiettivo: sostituire alla priorità della coscienza sociale il primato di altre identità, in questo caso nazionale. E’una deriva tragica». E, aveva aggiunto dopo aver assistito a un dibattito a Barcellona: «Ho sentito uno solo dei presenti, uno di Podemos, dire che non avrebbero mai sostenuto un governo di destra ancorché catalano».
Per noi del manifesto Samir Amin è stato molto importante: l’abbiamo conosciuto all’inizio degli anni ’70, ricordo ancora il primo incontro a casa mia, con lui altri due egiziani, i loro nomi coperti da un unico poi divenuto celebre pseudonimo – Mahmud Hussein (il loro primo libro ci fece scoprire la lotta di classe nell’Egitto di Nasser) – e anche, non ricordo se già la prima volta o solo la seconda, con lui anche André Gunder Frank, tedesco ma ormai da tempo cileno.
Erano i primi marxisti del terzo mondo, e ci insegnarono a ragionare in termini globali, fuori dal ghetto eurocentrico, e dunque di cosa significava “l’accumulazione su scala mondiale”. Se il manifesto è stato l’espressione di una sinistra ricca e articolata, lo dobbiamo a questo innesto. Che non ebbe mai i caratteri di un terzomondismo disinteressato alle problematiche del capitalismo avanzato, o, peggio, venato da diffidenze identitarie. Samir è stato infatti protagonista di tutte le reti internazionali marxiste, ortodosse e eterodosse, che da cinquant’anni a questa parte hanno animato il dibattito della sinistra mondiale: gli annuali incontri a New York della Socialist Scholars Conference, oggi Left Conference, così come, per fare un altro esempio, della Round Table for Socialism che, anche questa ogni anno fino alla fine della Jugoslavia, si teneva a Cavtat, presenti, anche nel furore della rottura, sovietici e cinesi albanesi e americani (Sweezy sempre), il Pci come il manifesto.
Vorrei ricordare due incontri fra gli ultimi con Samir, e scusatemi se mi riguardano: uno, ormai già lontano, in occasione del suo ottantesimo compleanno. I suoi compagni egiziani invitarono una ventina di amici provenienti da tutto il mondo per un simposium in suo onore che si tenne a bordo di una nave partita da Assuan per percorrere tutto il Nilo, a bordo ogni giorno un confronto su temi diversi, in ogni porto una visita alle meraviglie dell’antico Egitto di cui Samir non finiva di essere orgoglioso. L’ultimo, non molti mesi fa, a Mosca, per il centenario della rivoluzione d’Ottobre. Eravamo stati ambedue invitati dal gruppo “Alternative” di Alex Buzgalin, comunisti ma non ortodossi, che avevano organizzato una straordinaria conferenza internazionale sul ’17.Per la seduta conclusiva Alex, che è anche un compagno stravagante, aveva allestito un teatrino chiedendo ad alcuni di noi di impersonare un protagonista della storia e di improvvisare uno show. A me toccò essere Alexandra Kollontaj, a Samir Stalin, a un compagno greco Trozki, e così via. Prima fra chi doveva prendere la parola, chiesi a Samir:
«Compagno Stalin, ma era proprio necessario assassinare Trozki?». E Samir, pronto, mi ha risposto:«No, no, è stato un vero errore. Un errore dei miei servizi di informazione: mi avevano detto che era ancora importante e invece non contava più nulla, perciò è stato del tutto inutile». Perchmir era anche molto, molto spiritoso.





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