lunedì 2 marzo 2020

Colombia, chi sono i leader sociali. Uno ogni 27 ore viene ucciso - Isabella De Silvestro


 

In Colombia, il 2020 si apre con un bilancio tragicamente in linea con gli anni passati. Secondo l’Indepaz, solo a gennaio di quest’anno sono stati uccisi 27 leader sociali: uno ogni 27 ore.
Gloria Ocampo, 37 anni, era impegnata nella promozione di un programma di riconversione delle coltivazioni illecite di coca. È stata uccisa durante la notte del 7 gennaio. Jhon Freddy Álvarez, presidente dell’Associazione di lavoratori contadini di Algeciras, militava nel movimento politico di sinistra Marcha Patriotica. Un gruppo di sicari gli ha tolto la vita l’11 gennaio.
L’espressione“leader social”in Colombia, rimanda ad un insieme ampio e disomogeneo di casi. Una categoria sfuggente che indica chiunque, indipendentemente dalla sua appartenenza a un’organizzazione, difenda i diritti umani. Ad essa possono appartenere indigeni, contadini, afrocolombiani, giornalisti. Chiunque esiga pubblicamente il rispetto dei diritti umani, civili e politici. Chiunque denunci soprusi da parte di gruppi armati in zone marginali del Paese o palesi le inadempienze dello Stato.
Diviene, inoltre, leader social chi richiede la restituzione delle terre che gli sono state usurpate, chi si oppone ai megaprogetti industriali e lotta per la salvaguardia dell’ambiente e della foresta amazzonica. Chi si impegna per la riconversione delle coltivazioni illecite e chi difende gli accordi di pace tra il governo Santos e le FARC, risalenti al 2016.
Il denominatore comune della categoria è però il pericolo in cui i leader incorrono a causa delle loro denunce. Minacce, intimidazioni e, in molti casi, il tragico epilogo: un velo bianco sul cadavere e poi l’oblio. Un silenzio tanto istituzionale quanto giudiziario che condanna i familiari delle vittime a una rabbia implacabile e senza prescrizione.
dati riportano che, su 400 omicidi di leader sociali commessi negli ultimi tre anni, la procura della Repubblica abbia esaminato solo 125 casi, emanando non più di 22 sentenze. Un’impunità troppo alta per una Nazione democratica che si dice profondamente addolorata per quanto sta avvenendo nelle sue periferie.
Il presidente in carica, Iván Duque, si difende con le statistiche. Nonostante la Colombia detenga il triste primato degli assassinii a leader sociali, vanta anche un numero esorbitante di leader sociali in termini assoluti, che si aggira approssimativamente intorno ai sei milioni (su una popolazione di 49). Secondo il presidente, dunque, i dati sono da giudicare tenendo conto delle proporzioni.
Eppure questi numeri non sono di certo rassicuranti: se sventurato è un Paese che ha bisogno di eroi, cosa direbbe Brecht di uno che ne conta sei milioni?
Di un eroismo all’ordine del giorno parla Claudia Ortiz, vittima del conflitto armato in quanto sfollata dal proprio villaggio nel 2005 a causa della violenta incursione delle truppe guerrigliere delle FARC.
Claudia ha denunciato – in un video diventato virale su Facebook – l’indifferenza delle istituzioni riguardo alle vittime del conflitto armato, a cui il Governo ha promesso indennizzi e aiuti umanitari, nella maggior parte dei casi mai giunti o giunti solo parzialmente. In seguito alla pubblicazione del video, Claudia ha ricevuto minacce da parte di uno sconosciuto che la intimava a tacere. Malgrado la paura, ha deciso però di non tirarsi indietro, convinta del fatto che il male maggiore sia l’omertà in cui la maggior parte dei cittadini colombiani è costretta a vivere per non incorrere in spiacevoli – se non fatali – intimidazioni.
Il caso di Claudia è emblematico del paradosso post-conflittuale. In Colombia, in seguito agli accordi di pace che avrebbero dovuto mettere fine al conflitto armato che ha dilaniato il Paese per più di cinquant’anni, la violenza non è cessata. Il Paese reale volge nel caos. Le zone da tempo soggette al controllo delle FARC, forza armata ormai smobilitata, sono in balia della malavita.
Claudia Ortiz ci racconta:
 Quando si è iniziato a parlare degli accordi ero piena di speranza. Chi non desidera un Paese in pace, dopo tutta questa sofferenza? Dopo tre anni, però, mi sento di dire che è tutta una farsa, si muore più di prima e lo Stato ci ha abbandonati. Non c’è pace. Non c’è giustizia
Il suo sconforto è quello di chi, dopo anni di dichiarazioni pubbliche, promesse e rassicurazioni, ha visto le sue aspettative venire tradite dalle istituzioni, trovandosi in una condizione di particolare vulnerabilità e impotenza. Claudia invoca la benevolenza del presidente, chiede che “si metta una mano sul cuore e ascolti le richieste delle vittime”. Ma ciò che questa donna e milioni di colombiani avrebbero il diritto di esigere e ottenere, è il rispetto delle clausole degli accordi di pace che prevedono la riparazione integrale per coloro che hanno subìto danni materiali e morali a causa del conflitto armato: giustizia e non carità, rispetto e non pietà.
Il vuoto istituzionale nelle zone più marginali del Paese rappresenta la sfida maggiore del Governo. Laddove si registra la mancanza di una presenza integrale dello Stato, la carenza di servizi di base come sanità ed educazione e un alto tasso di disoccupazione, i gruppi armati e le bande criminali trovano terreno fertile per esercitare un potere illegittimo e dispotico, fondato sulla violenza e sull’usurpazione.
Lo spettro dei poteri illegittimi è però altamente diversificato e dunque complesso da decifrare. Un’ulteriore sfida per il Governo risiede infatti nella necessità di delineare il profilo ideologico-politico dei mandanti degli omicidi dei leader sociali. La risposta non è univoca, il “nemico” non è definito. I tempi in cui il presidente Alvaro Uribe Velez pretendeva di ridurre le problematiche sociali e politiche al dualismo Stato – FARC, sono ormai tramontati. Urge una seria analisi della natura frammentaria della nuova violenza che scuote il Paese, fuggendo riduzionismi e semplificazioni.
media colombiani omettono spesso di fare riferimento ai colpevoli, narrando di esecuzioni senza esecutori. Così, questa violenza tanto brutale, assume un’aria di fatalità, come coperta da uno strato di nebbia fitta, dietro al quale nulla si scorge, se non il divieto di indagare e l’inevitabilità del suo perpetrarsi.
Una delle poche denunce chiare e decise è apparsa sulle pagine del quotidiano El Espectador.
Firma il pezzo la giornalista Patricia Lara Salive che denuncia quelli che, stando alle sue fonti, sono i gruppi responsabili della maggioranza di morti violente in Colombia. Secondo la giornalista, gli assassinii delle persone che hanno denunciato l’usurpazione delle terre sono nella quasi totalità dei casi comandate dagli occupanti delle terre stesse. Secondo la stessa logica, sono i narcotrafficanti a commissionare l’omicidio di quanti si impegnano nella riconversione delle coltivazioni illecite di coca.
Per quanto riguarda l’opposizione ai macroprogetti di edilizia, miniere o disboscamento, l’analisi della giornalista rivela uno scenario meno scontato e, se possibile, ancora più allarmante. Sarebbero infatti i potenti locali corrotti (sindaci, appaltatori, consiglieri o coloro che beneficiano di opere che mettono a rischio l’ambiente, come le miniere, ecc.) ad ordinare le esecuzioni di chi mette loro i bastoni fra le ruote.
Questi personaggi, mandanti degli omicidi, traggono profitto da uno Stato autoritario a livello locale. Hanno eserciti al loro servizio o assumono sicari per eliminare coloro che ostacolano i loro interessi e, nel frattempo, terrorizzano la popolazione in modo che nessuno possa pensare di seguire il loro esempio. (…) Chiunque alzi la testa localmente viene rimosso. Dobbiamo anche tenere a mente che le statistiche indicano che i crimini contro i leader sociali aumentano alla vigilia delle elezioni. Ciò significa che ci sono persone interessate a farli uscire dal gioco politico perché li ostacolano.
I leader sociali colombiani devono dunque subire un duplice affronto: il primo avviene fuorilegge, il secondo malgrado la legge.
Se, infatti, la responsabilità di politici e funzionari pubblici riguardo agli omicidi venisse accertata dalla procura, a vacillare sarebbe la tenuta stessa dello Stato democratico e di diritto. Censurare, intimidire e infine uccidere un difensore dei diritti umani, seminando terrore e frustrazione, alimenta l‘omertà e l’assopimento della società civile. Annulla la partecipazione politica di grandi fette della popolazione e viola i principi basilari di ogni costituzione democratica.
Il Governo colombiano ha la responsabilità politica e morale di prevenire, proteggere e rispettare la vita dei difensori dei diritti umani e di chiunque lotti per una società più giusta.

da qui

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