mercoledì 25 marzo 2020

L’alleanza non atlantica - Tommaso Di Francesco



Ieri il governo italiano, per iniziativa del ministro della difesa Guerini, di fronte all’imperversare del Coronavirus ha invocato il soccorso del Pentagono. I non-detto di questa iniziativa sono due: il primo è che il decreto del governo per contrastare il contagio da Coronavirus non ferma le fabbriche di armi (F35 compresi); il secondo è la preoccupazione – un retropensiero sia dei governati ai domiciliari per il nostro bene, ma anche dei governanti – che sia evidente come gli aiuti veri arrivino da tutte le parti, anche dai «nemici», tranne che dagli alleati storici; così si chiamano in causa, in modo pressante e all’ultimo momento Stati uniti e Alleanza atlantica, che alleanza proprio non è ma sudditanza.
Perché sotto gli occhi di tutti dopo i medici e gli infermieri cinesi da Wuhan con un carico ingente di respiratori e mascherine, ieri mattina sono arrivati 9 giganteschi Yliuscin russi carichi di laboratori mobili, con 100 medici militari; e, come se non bastasse sono già operativi a Cremona i 52 medici cubani arrivati domenica.
Passi per l’intervento «riparatore» di Xi Jinping che invia medici coinvolti nell’epicentro che è stato Wuhan, passi per il soccorso peloso, ma ingente, della Russia di Putin che gioca così anche una carta propagandistica, la vera sorpresa sta nell’aiuto di Cuba, un Paese sotto embargo Usa, che spiazza ogni ragionamento strategico-diplomatico.
Così partono con battimani dall’aeroporto de L’Avana, e sono ricevuti con applausi a Milano con tanto di bandiera cubana, e dichiarano che per loro è «naturale», l’insegnamento che hanno ricevuto è quello «umanitario», per una patria che considerano il «mondo intero bisognoso», come hanno dimostrato per decenni, più soli che mai, nell’Africa devastata da tante epidemie.
Dagli Usa invece molti tweet solidali e tricolori, ma in concreto assai poco, un piccolo ospedale da campo per 10 posti pronto ad Aviano – da dove però è partito il volo militare che ha portato negli Usa 500mila kit diagnostici del coronavirus prodotti in Italia – e un’altra piccola struttura sanitaria allestita a Cremona da una Ong cristiano evangelica. Quel che non si vede proprio è invece l’aiuto massiccio e sostanzioso dell’alleato Trump.
Che fin qui è stato «chiaro»: ha allarmato i suoi cittadini a non venire in Italia, ha bloccato ogni volo civile, ha tardato ad allertare l’America nonostante fosse informato da tempo dai Servizi segreti, continua ad accusare la Cina per nascondere la responsabilità dei suoi ritardi mentre l’epidemia si estende, e si rifiuta – dice «per paura di una statalizzazione che porta al socialismo» – di usare il Defense of Production Act invocato da Sanders e da Cuomo che dà al presidente il potere di costringere tutti i produttori negli Stati Uniti a trasformare le loro fabbriche per fornire al Paese le attrezzature sanitarie necessarie; e alla fine si prepara ad una elargizione a pioggia di finanziamenti sullo sfondo delle presidenziali – accusano i democratici.
Tranquilli però, nell’augurio che tutto finisca presto e che la litania di bare, quasi impossibili da raccontare, si riduca sempre di più, che sia alleviato il dolore delle vittime, che ci sia restituita la nostra vita in comune, ecco che quando torneremo a liberarci dall’oppressione dell’epidemia, tutto tornerà come prima.
Con le nostre mastodontiche spese di decine di miliardi per la difesa e per i nuovi cacciabombardieri – le fabbriche d’armi intanto non si fermano -, per i nostri interventi «umanitari», per simulare nuove pericolose manovre militari a est. Torneremo insomma nella normalità atlantica. Speriamo con qualche dubbio in più.

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