martedì 17 marzo 2020

la sanità e il coronavirus secondo Massimo Dadea


Coronavirus e potere - Massimo Dadea

Parafrasando il Manifesto di Karl Marx, uno spettro si aggira per l’Europa, anzi per il mondo intero: lo spettro della paura. Uno stato d’animo, un emozione, una sensazione di pericolo per qualcosa che minaccia la nostra esistenza. La paura non ha aspettato il coronavirus per impadronirsi di noi.
E’ da un po’ di tempo che agitatori di professione utilizzano lo spettro della paura per poco nobili fini. Si è iniziato con la paura del diverso: per colore della pelle, per cultura, per credo religioso, per genere, per preferenze sessuali. Una strategia che si è rivelata vincente: la destra sovranista e xenofoba ha vinto le elezioni sollecitando gli istinti più bassi, le paure ancestrali degli italiani.
La paura però per diffondersi ha bisogno di fare affidamento sulla irrazionalità, ed è proprio in questo clima che si inserisce la sfiducia nei confronti della scienza. Si è assistito ad un vero e proprio elogio della incompetenza, ad una esaltazione del non sapere, diventati addirittura motivo di vanto, di orgoglio. Il sapere ha smesso di essere un valore per diventare un disvalore. Si è arrivati così ad un vero e proprio linciaggio dell’esperto, visto come persona di cui diffidare, anzi di più, si è identificato l’esperto con il corrotto.
Questo è avvenuto per i vaccini, per gli eventi climatici, per la politica, per l’economia. La verità ha smesso di viaggiare sulle spalle robuste della scienza ed ha iniziato a fluttuare su quelle infide dei social: Facebook e Wikipedia sono diventati la nuova Bibbia. Oggi il coronavirus ha trovato un ideale terreno di coltura in quelle paure che erano state diffuse ad ampie mani ed anzi, gli stessi fomentatori di odio, i soliti avvoltoi, hanno cercato di arruolarlo nelle proprie fila per meri fini di propaganda politica.
D’altronde il virus ha tutte le caratteristiche per colpire la fantasia e le paure delle persone. Cosa c’è di più diverso di un virus? Cosa c’è di più terrorizzante di un virus (dal latino virus-i veleno)? Un’entità immateriale: invisibile, inodore, incolore, altamente contagioso, persino letale. Ed invece, il coranavirus ha finito per scoppiare proprio tra le mani dei novelli apprendisti stregoni. Tra tutte le conseguenze terribili che ha determinato – sulla salute dei cittadini, sull’economia, sulle nostre abitudini – ne ha avuto almeno una positiva.
E’ diventato l’angelo sterminatore di tutte quelle cialtronerie che ci sono state propinate, in questo tempo nefasto, sulla sfiducia nei confronti della scienza, sulla criminalizzazione delle competenze e del merito, sulla delegittimazione della medicina e degli operatori sanitari. Al momento del bisogno tutti a rifugiarsi nelle braccia accoglienti e protettive della scienza.

È pandemia! - Massimo Dadea
E’ caduto anche l’ultimo velo: è pandemia. L’organizzazione mondiale della sanità ha rotto gli indugi e, sia pure con ritardo ha decretato quello che in molti paventavano: “il covid-19 si sta diffondendo in tutto il mondo e la maggioranza degli uomini non ha adeguate difese immunitarie”.
Il coronavirus sta determinando conseguenze terribili. Sarebbe da stolti continuare a negarlo. In primo luogo sulla nostra salute: mai, nel recente passato, abbiamo avuto una percezione così tangibile della fragilità della nostra esistenza. Ci sentiamo inermi e indifesi di fronte ad un pericolo subdolo e oscuro: un’entità invisibile, impalpabile, inodore, incolore. Un nemico indecifrabile e, sino ad ora invulnerabile, che si sta impossessando delle nostre libertà, che sta stravolgendo le nostre abitudini, che sta incrinando molte delle nostre certezze.
La vita sociale al tempo del coronavirus è come sospesa, così come i nostri rapporti interpersonali. Il nostro stesso pensiero è paralizzato da una paura primordiale. Ed invece mai come in questo momento dobbiamo saper usare la nostra intelligenza, saper attingere alla nostra razionalità, saper fare uso del nostro buonsenso. A noi cittadini spetta il compito di osservare scrupolosamente, senza deroga alcuna, le direttive emanate dalle autorità sanitarie, ad iniziare da quel “Io resto a casa” che deve diventare un imperativo categorico.
Un piccolo sacrificio rispetto a quello che è richiesto, in questi giorni, agli operatori sanitari (medici, infermieri, operatori socio sanitari, volontari) impegnati in prima linea nelle terapie intensive, nelle corsie degli ospedali, nelle ambulanze del 118 – senza badare ad orari o ai pericoli del contagio – in una battaglia decisiva da cui dipenderà la nostra sopravvivenza. Quello che sta accadendo in Lombardia è qualcosa di altamente drammatico. Secondo l’assessore regionale al Welfare i pronto soccorso e le terapie intensive potranno reggere ancora per non più di 15 o 20 giorni. E’ necessario allora che le altre regioni, quelle appena lambite dalla pandemia, adottino per tempo misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza. La Sardegna è tra quelle dove si contano un numero di positivi al contagio abbastanza contenuto, dove fortunatamente non si registrano decessi.
Siamo quindi nella condizione di predisporre un piano straordinario di interventi: incrementare i posti letto di terapia intensiva, -attualmente possiamo contare su appena 113 posti letto – ricordando che la nostra è un’isola e quindi non possiamo contare sulla solidarietà delle regioni confinanti; dotarci di un consistente numero di ventilatori (apparecchiatura per la respirazione artificiale); l’assunzione di un adeguato numero di medici da impiegare nelle terapie intensive e di altrettanto personale infermieristico, così come di un appropriato numero di psicologi per fronteggiare i disturbi d’ansia e da stress che si verificano nel corso delle emergenze.
La sanità pubblica è rimasto l’unico baluardo contro il coranavirus, suscita allora rabbia e disprezzo l’operato di quanti, a livello nazionale e regionale, in tutti questi anni, hanno portato avanti una politica dissennata ed interessata di tagli della spesa sanitaria, quanti hanno lavorato al progressivo smantellamento della assistenza sanitaria pubblica, quanti hanno foraggiato con cospicue risorse quella sanità privata che, al momento del bisogno, si è squagliata come neve al sole.

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