sabato 21 marzo 2020

Welfare State: una storia di civiltà


In uno Stato che si chiama Italia fino al 1982 esisteva un’imposizione fiscale sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) che era, come sancisce la Costituzione (all’art.53), ispirato a criteri di progressività, con 32 aliquote, dal 10% (la minima) al 72% (la massima).
Dal 1982 fino ad oggi c’è stata una riduzione del numero delle aliquote, per arrivare in questi anni a 5 aliquote, dal 23% (la minima) al 43% (la massima).
Traduzione: la progressività costituzionale la stanno facendo evaporare sempre più, anno dopo anno, i redditi medio bassi pagano un po’ meno, i redditi alti pagano molto meno (in percentuale e in euro).
Le giustificazioni teoriche erano queste: se si abbassano le imposte l’economia cresce e se si riducono soprattutto le imposte dei ricchi, magari togliendo anche le imposte patrimoniali (come quelle sull’eredità) l’economia crescerà ancora di più.
Anche chi ha fatto solo le scuole elementari sa che negli anni ’60 e ’70 l’economia andava molto bene (sarà un caso, ma le aliquote per i redditi alti di quegli anni erano molto più alte di quelle degli ultimi 20 anni) e sa anche che negli ultimi 20 anni l’economia ha fatto cilecca, anche tornando indietro (sarà un caso, ma le aliquote per i redditi alti di questi anni sono molto più basse molto più alte di quelle degli anni ’60 e ’70).*

Negli ultimi 40 anni (da Thatcher e Reagan) le politiche economiche dei paesi sviluppati sono state quelle di bastonare i lavoratori, liberalizzare e deregolamentare tutto, svendere i patrimoni pubblici ai privati (pubblico è male, privato è bello), in cambio veniva (e viene) promesso il sole dell’avvenire, non il socialismo, bensì il benessere, tutti sarebbero stati meglio. Intanto tutti hanno capito e visto che in questi 40 anni che quando il settore privato era in crisi il settore pubblico lo salvava (vedi le banche).
Quindi, dal 1982, le entrate fiscali sono diminuite, la spesa pubblica è cresciuta, e il rapporto debito/Pil da “inizio Anni 80 era intorno al 60%, esplode in soli dieci anni fino ad arrivare al 100% nonostante una buona crescita economica del Paese. Nel 1994 il debito pubblico italiano raggiunge il 124% del Pil, mentre a fine 2018, secondo Eurostat era pari al 134,8% del Pil” (dice il Sole 24Ore).

Passo successivo: per anni si racconta che il debito è insostenibile, e anziché far crescere le imposte, che continuano a diminuire, o a non crescere, con interessi sul debito in salita, si decide (tutti insieme, appassionatamente, nessuno escluso) di diminuire la spesa pubblica, e di coprire i buchi derivanti da imposte insufficienti vendendo banche e imprese dell’IRI (che producevano ricchezza collettiva, per l’erario, e per tutti noi), pezzo dopo pezzo, e anche quotandole in Borsa (mutatis mutandis lo stesso è successo in Russia dopo la caduta del muro di Berlino, venivanoo vendute, per pochi rubli, o regalate, le imprese pubbliche, nascono gli oligarchi, e crescono i ricconi, i furbetti e i mafiosi, come da noi).
Contemporaneamente vengono indeboliti i diritti dei lavoratori, addio scala mobile, vengono usate con sempre più frequenza le parole liberalizzazione e deregolamentazione, che fanno rima con precarizzazione, anno dopo anno, si continuano a diminuire, in maniera continua, gli investimenti e le spese per le strutture pubbliche, per gli investimenti pubblici, per gli organismi per il controllo della sicurezza sul lavoro, si pompa la sanità privata indebolendo la sanità pubblica, si fa il numero chiuso per medici e infermieri, per risparmiare sulla formazione (leggi qui), si tagliano gli investimenti per l’università, la ricerca, la scuola pubblica.
Invece crescono inquinamento e spese militari, si sostengono con un po’ di milioni (corruzione e vendita di armi) regimi terribili per i nostri standard europei, ma tanto molte di quelle risorse economiche che ci servono (petrolio e gas) stanno in Africa e nel Vicino Oriente, chi se ne frega.
Ormai è da troppi gli anni che lo Stato diventa più “leggero”.
I tagli alla sanità sono paragonabili a quello che accade a chi non paga ’assicurazione, fino a che va tutto bene se la gode, quando va male e ci sono danni enormi causati da qualche incidente piange miseria, e chiede la carità, la solidarietà, col cappello in mano, dopo aver venduto (a poco prezzo) i gioielli di famiglia.
E la carità arriva, appaiono i benefattori, che sono pieni di soldi, aspettavano di essere interpellati e pregati e ringraziati con tanti inchini.
Se lo Stato (cioè noi) avesse preteso aliquote più alte sui redditi e imposte patrimoniali non avrebbe avuto bisogno di quei soldi.
Come dice Marta Fana (qui) anche noi diciamo: Beato il popolo che non ha bisogno di mecenati.
Dice Nouriel Roubini, economista: Dal punto di vista dell’economia, questa è la peggior crisi della storia. E quindi bisogna avere il coraggio di lanciare misure assolutamente eccezionali. È il momento dell’helicopter money: semplicemente distribuire a tutti i cittadini, indipendentemente dall’età e dalla condizione sociale, una somma di denaro per far fronte almeno in parte alle esigenze immediate e tentare di rilanciare i consumi. (qui)
Gli effetti di questa crisi mondiale saranno gravissimi sull’economia, sul lavoro, sulla vita di chi sopravviverà...

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