martedì 3 marzo 2020

Combattere il virus della paura mentre il Servizio Sanitario Nazionale è sotto attacco - Edoardo Turi*




Il Welfare e il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) pubblico e universale fondato sulla fiscalità generale sono uno dei maggiori successi di circa 150 anni di lotte operaie e popolari che già dalla rivoluzione industriale in Europa,  dalle prime concessioni di Bismarck nella Germania di fine ‘800 sino al Piano Beveridge nella Gran Bretagna dell ‘inizio del ‘900 e di Keynes nel dopo guerra, hanno portato i paesi industrializzati a dotarsi di sistemi di sicurezza sociale su modello assicurativo (Olanda), universalistico fondato sulla fiscalità generale (Gran Bretagna, Italia, Svezia) o misto (Francia, Germania), strappando questa conquista alle forze conservatrici e ai datori di lavoro.
L’Italia, che già aveva in Costituzione sancito un nuovo e più avanzato equilibrio tra le forze sociali, dopo il decennio di lotte dei lavoratori, degli studenti e delle donne, in coerenza con l’art. 32 della Costituzione, si è dotato  di un SSN sul modello universalistico, superando il diseguale, inefficiente e costoso, nonché in bancarotta, sistema mutualistico, che proteggeva in modo differente solo i lavoratori e i loro famigliari.
Questa conquista ha consentito un maggiore benessere dei ceti meno abbienti, dei lavoratori e delle classi medie, che hanno potuto destinare parte del proprio reddito ai consumi, facendo crescere la domanda interna e determinando la loro maggiore integrazione democratica.
La crisi progressiva di questo modello soprattutto dopo il trattato di Maastricht  e il fiscal compact in Costituzione e la crisi economica del 2008, sta spingendo questi settori della società verso scelte di democrazia illiberale e risentimento autoritario, sul cui fuoco soffiano le forze  nazional-sovraniste e fasciste, complici le scelte impopolari dell’UE e dei Governi nazionali, nonché delle sinistre al governo nazionale e regionale, che, in vario modo, hanno favorito questi processi, individuate come corresponsabili.
Tuttavia il SSN in Italia, istituito con 30 anni di ritardo rispetto a quello dei laburisti britannici del 1948, con la L. n. 833/1978, insieme a molte altre normative importanti frutto di quella stagione di lotte (L. n. 180/1978 sulla chiusura dei manicomi, L. n. 194 /1978 sulla maternità responsabile e l’interruzione di gravidanza), è bene ricordare che ha avuto molti avversari e la Riforma sanitaria è stata disattesa e  ostacolata soprattutto al Sud, finché è iniziato un vero periodo di controriforma  con il D. Lgs. N. 502/1992, concause sia  il positivo allungamento della speranza di vita, lo sviluppo delle malattie croniche nella popolazione anziana, l’ introduzione di nuova diagnostica  e farmaceutica, che ne hanno aumentato i costi (la sanità è il 70% dei bilanci regionali),  sia il cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazione, fino alla  Tangentopoli  del 1992, con l’istituzione delle Aziende sanitarie, l’obbligo di pareggio di bilancio e la figura monocratica e autoritaria del Direttore generale, mentre gli Enti locali perdevano il loro ruolo.
La crisi fiscale dello Stato, con la forte evasione fiscale italiana, e il progressivo ridursi del PIL hanno fatto il resto.
Nella sanità siamo dunque di fronte a processi che stanno portando  al progressivo  e strisciante smantellamento  del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), non dichiarato esplicitamente ma non per questo meno grave.
Punti chiavi di questo processo sono stati la riduzione della spesa pubblica, il blocco delle assunzioni del personale nel settore pubblico e del turn over e il contemporaneo spostamento della spesa su acquisto di beni e servizi (esternalizzazioni, accreditamenti): questa è la contraddizione principale in questa fase.
Questo disegno si sviluppa attraverso le scelte portate avanti dagli ultimi governi da Berlusconi, Monti, Letta,  Renzi, Gentiloni e Conte1 ed è alimentato da una campagna promossa dalla Confindustria, con il pensiero unico dominante della Cattolica e della Bocconi, dai grandi gruppi sanitari e assicurativi anche del mondo cooperativo e sindacale (welfare aziendale nei CCNL),dal mondo finanziario, per convincere i cittadini dell’insostenibilità economica del Servizio Sanitario pubblico con il solo prelievo fiscale al fine di superare il modello del SSN universale fondato sulla fiscalità generale istituito con la L. n. 833/1978, produttore diretto di servizi , puntando a un modello assicurativo integrativo e/o sostitutivo che che cerca risorse altrove e acquista i servizi sul mercato.
ll SSN infatti sta progressivamente cessando di produrre direttamente servizi ma li compra da altri: una vera e propria moderna “rimutualizzazione” del SSN governata centralmente dal Ministero dell’ Economia e delle finanza.
Appare abbastanza chiaro che si procede, a partire dal Governo nazionale, con l’assoluto consenso delle Regioni e degli  Enti Locali, ad una strisciante privatizzazione – pur mantenendo il formale contenitore pubblico – (il 40% dei servizi a livello nazionale ma oltre il 50% nel Sud è acquistato dal SSN dai privati) e ad un progressivo affermarsi delle assicurazioni private che agiscono in una condizione di privilegio come concorrenti sleali nei confronti dei servizi pubblici. Si è assistito, in questi anni ad un ingente investimento di risorse private in sanità con l’obbiettivo della conquista di questo “mercato” anche con l’utilizzo di fondi pubblici secondo tendenze internazionali per cui la finanza individua la “white economie” come un nuovo settore di investimenti e profitti che tramite la deducibilità determinano un ulteriore danno al bilancio pubblico.
In questo quadro la finanziarizzazione dell’economia, la globalizzazione e il decentramento produttivo, hanno spostato ingenti risorse, complice la rivoluzione informatica, dai paesi industrializzati alle economi emergenti determinando la crisi del 2008.
Il divario tra le Regioni e tra Nord e Sud è stata aggravato dalla riforma del titolo V della Costituzione voluta dal Governo di Centro sinistra (D’Alema) con una ancora più forte regionalizzazione così come il commissariamento per le Regioni in deficit di bilancio (Prodi). Mentre i progetti di autonomia differenziata iniziati dal governo Conte 1, ma con l’accordo delle Regioni in cui governa il centrosinistra (Emilia Romagna, Toscana), mineranno ulteriormente, se attuati, l’unità della Repubblica che, come recita la Costituzione, è formata da Stato, Regioni e Comuni: non si tratta dunque di ridare centralità al Governo e al Ministero attraverso un nuovo centralismo autoritario come già conosciuto quando governava la DC e i suoi alleati, ma di riscostruire un equilibrio democratico fondato sull’equa e solidale  ripartizione delle risorse attraverso la  rideterminazione della quota capitaria e il superamento dello storico divario del Meridione aggravato dalla mobilità passiva.
Le Regioni, sono chiamate così a fare il lavoro sporco: riducono e spremono il personale, tagliano e privatizzano i servizi, li accorpano e li esternalizzano, mentre i lavoratori  hanno visto diminuire il loro potere d’acquisto attraverso il blocco della contrattazione e dei salari  fermi da molti anni sino al positivo recente rinnovo del CCNL, nonché gli spazi democratici dentro aziende sanitarie sempre più grandi (regionali, provinciali o di grandi aree metropolitane come a Roma), prevalentemente  a trazione giuridico-contabile e lontane dai cittadini e dai lavoratori attraverso la ormai superata figura del Direttore generale, organo monocratico privo di contrappesi democratici in linea con la verticalizzazione autoritaria dalla tentata riforma costituzionale al preside manager.
Si interrompe così la tradizione della sinistra di decentramento amministrativo, buon governo e allargamento della democrazia mentre continuano i fenomeni di illegalità e corruzione. Sino all’assurdo della R. Lazio che ha cambiato il nome da SSN a Sistema sanitario regionale, contravvenendo, peraltro, ad ogni norma nazionale e regionale, distorcendone senso e finalità.
La Regioni  gestiscono ed erogano l’attività sanitaria tramite le Aziende sanitarie locali ed ospedaliere (ASL/ASO), impropriamente rispetto al loro ruolo costituzionale di programmazione e indirizzo mentre le Amministrazioni comunali hanno sempre di più rinunciato alla loro funzione  nel campo del diritto alla salute, sebbene nella normativa italiana e nella L. 833/1978 istitutiva del SSN il legislatore avesse previsto per il Sindaco un importante ruolo di autorità sanitaria locale che lo avrebbe dovuto  portare a rappresentare lo stato di salute e i bisogni dei propri cittadini nelle sedi dove avvengono le scelte relative alla programmazione dei servizi.
Si registra nell’ultimo periodo un oggettivo peggioramento della possibilità di accesso alle cure, la quantità e la qualità dei servizi risultano in costante decremento, tranne poche Regioni che tuttavia iniziano a scricchiolare come la Toscana, a causa dei tagli sulla spesa e soprattutto, del blocco del turn over del personale determinato dal pluriennale divieto di assunzioni nella Pubblica Amministrazione.
In merito a quest’ultimo, va rilevato il costante invecchiamento del personale in servizio associato a larghe fasce di precarietà e contratti atipici che frammentano e corporativizzano ancora di più il mondo del lavoro in sanità. Ciò oltre a essere un oggettivo attacco alle condizioni di lavoro, produce un deperimento della qualità della presa in carico degli utenti e un impoverimento scientifico-culturale dei servizi (es. esternalizzazioni attività informatiche). Le esternalizzazioni sono inoltre un aggiramento del blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, mentre la sanità convenzionata/accreditata opera con il continuo ricatto occupazionale dei licenziamenti. Sarebbe invece opportuno pensare ad un esteso programma di reinternalizzazioni per una ripubblicizzazione del SSN e a concorsi regionali per professione  e disciplina con graduatorie  a scorrimento anche per evitare diffusi fenomeni di arbitrarietà e illegittimità nei concorsi pubblici nelle ASL/ASO e il riassorbimento nei CCNL della medicina di base e specialistica convenzionata.
La disaffezione dei cittadini provocata dalle liste di attesa mal gestite e mal governate, cioè da un rapporto perverso tra la domanda del paziente e l’erogatore della prestazione orienta, di fatto, verso la privatizzazione, favorita da una totale mancanza di gestione della intramoenia e dei ticket, ingiusto balzello sulla salute, per cui l’eliminazione del superticket è insufficiente e la sua rimodulazione per reddito determinerebbe la fuoriuscita dal sistema  dei ceti più abbienti.
In particolare:
1) I temi dell’efficienza, degli sprechi, dell’ inappropriatezza prescrittiva diagnostica e terapeutica  o organizzativa (efficacia) e della corruzione in sanità – pur importanti-  vanno riletti alla luce di questa elaborazione: la CONSIP per esempio si è rivelata al pari delle gare gestite dalle Aziende sanitarie luogo di illegalità e non sempre gli acquisti, con gare al massimo ribasso, sono sinonimo di qualità, la medicina basata sulle prove di efficacia (EBM), pensata principalmente per la tutela della salute, non sempre riduce i costi (es.: vaccinazioni, farmaci epatite C) mentre  le scelte organizzative sono speso funzionali a meri disegni di potere mentre viene meno ogni sforzo di programmazione nazionale e regionale nonostante le ampie basi di dati disponibili.
2) Il cambiamento del quadro epidemiologico  da malattie acute e cronico degenerative ormai in corso da decenni, la longevità non sempre affiancata da una migliore qualità della vita con l’età (oggi  le malattie croniche assorbono l’80% delle risorse), i cambiamenti demografici, le nuove povertà e disuguaglianze, che determinano una relativa rinuncia alle cure per via del ticket o perché non coperte dal SSN e dai LEA, l’immigrazione, le trasformazioni della famiglia tradizionale  con la frammentazione della rete famigliare e generazionale, i nuovi bisogni di genere pongono accanto all’ospedale, per cui è necessario fermare la riduzione dei posti letto e la chiusura dei piccoli ospedali in zone disagiate, ma anche una sua radicale trasformazione culturale, organizzativa e di ruoli, il potenziamento di un sanità del territorio attraverso il modello innovativo della medicina di iniziativa che si fondi su un maggiore decentramento e la partecipazione democratica di cittadini e operatori, dall’assistenza domiciliare ai consultori, attraverso la cultura della presa in carico e dell’integrazione socio-sanitaria con la personalizzazione delle cure nel rispetto delle differenze. Va ridotta la partecipazione economica dei cittadini alle rette dei servizi residenziali e semi residenziali, di trasporto e accompagnamento di malati e disabili. Nei LEA va introdotta tutta l’odontoiatria e l’ ortodonzia, le prestazioni di fisioterapia attualmente escluse e la psicologia. I servizi accreditati e esternalizzati vanno reinternalizzati attraverso il blocco dell’affidamento ai privati rivedendone nell’immediato i rapporti contrattuali e i sistemi di pagamento.
3) I farmaci sono un aspetto importante della salute del SSN non solo per gli aspetti economici: gli enormi profitti delle multinazionali del farmaco si sposano con il consumismo che pervade la società cui le terapie non sono estranee; i farmaci generici, il cui utilizzo va esteso, richiedono una contestuale strategia per i farmaci innovativi con l’uso degli strumenti consentiti dalla normativa sui brevetti, inclusa la licenza obbligatoria, evitando che l’introduzione di nuovi farmaci rappresenti un fattore di insostenibilità per il SSN consentendone l’accesso a tutti attraverso costi ragionevoli per il SSN. Per questo è necessario la revisione delle modalità di funzionamento della AIFA (Agenzia per il farmaco) anche a livello europeo, il potenziamento della ricerca indipendente e pubblica, la creazione di una azienda publica per la produzione e la commercializzazione dei farmaci.
4) Va messo in sicurezza, riconvertito ecologicamente e ammodernato il patrimonio edilizio e tecnologico sanitario iniziando dal Sud, evitando complessi e costosi progetti di finanza privata.
5) La prevenzione che pure è formalmente al centro della normativa ha visto un progressivo appassirsi dell’iniziativa in questo campo: permangono 4000 morti/anno  sul lavoro, inquinamento atmosferico da polveri sottili da traffico veicolare, cambiamenti climatici e desertificazione, inquinamento delle falde acquifere e in agricoltura (pesticidi,PFAS, rifiuti, attività estrattive), le crisi ambientali dalla terra dei fuochi, all‘ILVA alla Val D’Agri sino alle più recenti tematiche dei 5G, alla crisi abitativa, la disoccupazione e il degrado delle periferie, richiedono di ripensare radicalmente il sistema della prevenzione tra livelli stati centrali, regionali e locali evitando di scaricare sul SSN la mancate politiche di prevenzione in tutti settori e di separare l’attenzione dal modello di sviluppo  (produzione e consumi) dagli stili di vita (che da quel modello sono profondamente influenzati): fumo, sostanze d’abuso, alimentazione e attività fisica non sono un problema individuale ma collettivo e sociale.
E’ evidente che se la sinistra non sarà in grado di sviluppare un nuova originale elaborazione di contenuti in un orizzonte di radicalità riformatrice, superando la propria subalternità ai centri del pensiero unico neo liberale dominante (democratizzazione del SSN,  reintroduzione della progressività dell’imposta fiscale come previsto della Costituzione, lotta all’evasione fiscale non di facciata, riduzione delle spese inutili in altri settori come quello militare e della difesa, rapporto tra ambiente e salute, centralità della prevenzione in tutte le politiche, territorio e cronicità, cultura della presa in carico, superamento delle privatizzazioni ed esternalizzazioni) e più radicali forme di lotta anche internazionali, non si riuscirà ad invertire la tendenza delineata.
* Medico di sanità pubblica Direttore di Distretto ASL

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