mercoledì 11 marzo 2020

Siria: chi sono i “ribelli” di Idlib? - Davide Grasso



[Davide Grasso, militante No Tav, collaboratore di Carmilla e di altre testate, ha combattuto contro l’ISIS nei ranghi delle forze armate libertarie curde. In patria ne sono seguite persecuzioni, giudiziarie, poliziesche e persino bancarie. Il suo articolo, ma sarebbe meglio parlare di saggio, va letto con estrema attenzione, perché la merita.]

Vi ricordate quando, nel 2003, il segretario alla difesa statunitense Colin Powell agitò alla riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu la famosa provetta che doveva dimostrare la presenza in Iraq di “armi di distruzione di massa” (poi rivelatesi inesistenti) per giustificare la guerra che avrebbe gettato gran parte del mondo musulmano nella catastrofe? Powell portò quel giorno anche un secondo argomento, meno noto: la presenza, sui monti Zagros, nell’Iraq settentrionale, di una banda di integralisti islamici curdi, Ansar al-Islam (“Ausiliari dell’islam”). Il suo fondatore era il fanatico giordano Abu Musab al-Zarqawi e la sua presenza, secondo gli Stati Uniti, dimostrava che Baghdad gli dava protezione. Questo era probabilmente falso, mentre è vero che l’attuale segretario di stato Mike Pompeo, il 28 febbraio 2020, ha affermato che gli Stati Uniti sostengono gli sforzi dell’esercito turco nel proteggere i “ribelli” che occupano la provincia siriana di Idlib.
Idlib è una piccola provincia del nord-ovest della Siria, di appena 6.000 km quadrati (poco più della Città metropolitana di Roma). Confina a est con la provincia di Aleppo e a nord con la Turchia. Lì oggi combattono contro il regime di Assad e la Russia proprio i miliziani di Ansar al-Islam, che figurano quindi, diciassette anni dopo le accuse e la guerra all’Iraq, tra coloro che gli Stati Uniti vogliono proteggere, chiamandoli “ribelli” anziché, come all’epoca, “terroristi”. Ansar al-Islam combatte a Idlib nell’ambito di un’alleanza paramilitare chiamata Harid al-Mu’minin (“Incita i credenti”), in cui compaiono anche Hurras al-Din e Ansar al-Tahwid (“Guardiani della religione” e “Ausiliari del Monoteismo”, affiliati ad Al-Qaeda, l’organizzazione responsabile dell’abbattimento delle Twin Towers a New York nel 2001 e di innumerevoli altri crimini) e Ansar al-Din (“Ausiliari della religione”, vicino all’Isis). L’alleanza di questi quattro gruppi agisce al fianco di Tahrir al-Sham, branca siriana “ufficiale” di Al-Qaeda, e di Ahrar al-Sharqiya, gruppo in cui militano ex esponenti dell’Isis, in azione tanto a Idlib quanto in Rojava contro i curdi delle Ypg-Ypj.
Perché, se l’intervento militare turco in Siria è a protezione di tali “ribelli”, la scandalosa posizione degli Stati Uniti – che è la stessa dell’Unione Europea – non viene denunciata pubblicamente? La scelta di denominare gruppi criminali di tale levatura con un’espressione compiacente sugli organi di stampa è motivata da superficialità, ma anche da conformismo: esiste infatti un interesse politico da parte dei governi di Usa e Ue a contenere – a costo di appoggiare, con la Turchia, gli estremisti più pericolosi del pianeta – i successi militari in Siria di attori geopolitici opposti: il regime siriano, la Russia e l’Iran. Come è possibile tutto questo? Come si è arrivati a questo? E chi sono, realmente, i “ribelli” di cui Turchia, Stati Uniti e Unione Europea sostengono con le parole o con i fatti a Idlib l’infinita, sanguinosa e inutile guerra?

L’occupazione jihadista di Idlib (2011-2013)

Nel giugno 2011, a tre mesi dall’inizio delle manifestazioni popolari contro il potere dispotico di Bashar al-Assad, alcune persone impugnarono per la prima volta armi da fuoco usandole contro la polizia. Accadde a Jisr al-Shughur, un piccolo centro della provincia di Idlib. Perché proprio a Idlib? La parte della rivoluzione che voleva armarsi necessitava di qualcuno che le fornisse armi, e quel “qualcuno” a Idlib era giusto oltre la frontiera. Nel 2016, in Siria, un ragazzo di Aleppo che combatteva nelle Ypg mi raccontò come gli agenti turchi, mischiati con i nuovi paramilitari anti-Assad, all’inizio della guerra  andassero in giro per le campagne di Aleppo e Idlib promettendo alle famiglie, per i figli, stipendi doppi rispetto a quelli di un soldato del governo. La Siria fu letteralmente invasa di armi introdotte dal confine turco e questo avvenne con la collaborazione accertata degli Stati Uniti (mi permetto di rinviare su questo al mio saggio Il fiore del deserto, Agenzia X, 2018).
Erdogan, considerato un moderato dai media e dai governi occidentali, si ergeva all’epoca non solo in Siria, ma anche in Tunisia, Libia ed Egitto a protettore delle primavere arabe. L’aiuto turco giungeva però soltanto a coloro che, in quei paesi, sposavano la linea politica della destra oscurantista che Erdogan rappresenta. Le province siriane di Aleppo, Idlib e Raqqa, che confinano con la Turchia, furono trasformate perciò nel 2012 in teatro di operazioni per bande di islamisti (che non significa “musulmani”, ma jihadisti). Idlib era attraversata da carichi di armi lungo il confine e da miliziani giunti da ogni parte del mondo con lo scopo di imporre la legge coranica nel paese. La Turchia e il suo principale alleato ideologico, il Qatar (entrambi sostenitori del movimento islamista globale della Fratellanza musulmana) ritennero i tempi maturi per proclamare la nascita di un organo in esilio preposto a governare una futura Siria islamizzata. Questo organo fu chiamato, d’accordo con gli Stati Uniti, “Coalizione nazionale siriana” (Cns). Egemonizzata dai Fratelli musulmani della Siria, la Cns esibiva anche qualche figura liberale, su pressione dell’allora segretario di stato Hillary Clinton.
Stati Uniti, Francia, Italia e Gran Bretagna riconobbero già nel 2012 la Cns come “legittimo rappresentante delle aspirazioni del popolo siriano”. Si trattava però di un organo artificiale, prodotto fuori dalla Siria che, senza alcuna legittimazione popolare, promuoveva una visione retrograda della società. La costituzione della Cns fu accolta non a caso con freddezza, se non con preoccupazione, da gran parte dei siriani, compresi molti di coloro che si erano battuti nelle piazze contro Assad, e che ora temevano il prevalere di progetti armati e sostenuti dall’estero intenzionati a riportare la Siria al medioevo. Turchia, Qatar e Stati Uniti tentavano di coordinare le bande armate sotto la dicitura “Esercito libero siriano” (Fsa). All’interno di questo “Esercito” i Fratelli musulmani cercarono di fare da tramite con la Cns quale organo politico, formando il battaglione Failaq al-Sham (“Legione del Levante”).
La Cns non riuscì tuttavia a prendere la guida del pericolosissimo processo che aveva scatenato. Molti dei miliziani giunti dall’estero, infatti, non si riconoscevano nella Fratellanza musulmana, considerandola un movimento antiquato e troppo moderato. Molti aderirono perciò a gruppi salafiti, ossia fautori di un’applicazione ancora più rigida delle interpretazioni religiose. I “comandanti” dell’Fsa restarono sempre tali sulla carta perché visti come burattini dei ricchi trasnfughi della Cns in Turchia, che vivevano tra gli agi e non conoscevano le sofferenze di chi combatteva in patria. Si formarono così gruppi politico-militari nuovi, più consistenti e potenti di Failaq al-Sham. Il più forte fu Al-Qaeda, che allora si faceva chiamare in Siria Jabhat al-Nusra (“Fronte di salvezza”), rifiutando di usare il simbolo dell’Fsa, e compiva eccidi nei villaggi sciiti e alawiti (confessioni islamiche minoritarie in Siria), perseguitava i cristiani ad Aleppo e imponeva i tribunali della sharia nelle zone conquistate. Quando la Cns, sostenuta da Failaq al-Sham, si auto-nominò a Idlib “Governo ad interim della Siria” nel 2013, Al-Nusra si rifiutò di riconoscerne la legittimità, continuando ad agire in modo indipendente tramite i suoi tribunali.
Un altro gruppo che rubò la scena a Failaq al-Sham fu Ahrar al-Sham (“Uomini liberi del Levante”), milizia salafita appoggiata direttamente dalla Turchia per recuperare consensi tra le fazioni più estremiste. Ahrar al-Sham faceva parte delle strutture di comando dell’Fsa, e annunciò sull’emittente qatariota Al-Jazeera nel 2012 di considerare blasfemo il concetto di democrazia e di voler trasformare la Siria in uno stato islamico. Usava la bandiera dell’Fsa anche Harakat Al-Zenki, che si fece subito notare per brutalità e corruzione: nel 2014 avrebbe rapito diversi cooperanti internazionali a scopo di riscatto, tra cui le italiane Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, e nel 2016 avrebbe sconvolto il mondo con la decapitazione filmata di un ragazzino ad Aleppo. Seguì poi la formazione di Jaish al-Islam, creato dall’Arabia Saudita per fare concorrenza alla Turchia e al Qatar nella guerra, che annunciò di voler ripulire la Siria da tutti gli sciiti. Per questo nel 2015 organizzò per le periferie di Damasco una “processione” in cui decine di famiglie alawite furono rinchiuse in gabbie e trascinate come animali per le strade.

Le sconfitte del jihadismo (2014-2017)

All’interno di questa galassia si formò da una costola di Al-Nusra/Al-Qaeda l’Isis o “Stato islamico”, che si rivoltò contro tutti gli altri gruppi fondamentalisti (Al-Nusra compresa) accusandoli di moderazione e apostasia dottrinale. L’Isis si impadronì di un terzo del paese nel 2014, massacrando migliaia di persone e facendo piombare la Siria e l’Iraq in un incubo. Failaq al-Sham, Al-Nusra e gli altri gruppi islamisti si dovettero ritirare nella parte settentrionale della provincia di Aleppo e in quella ancor più occidentale di Idlib sotto la duplice spinta degli attacchi dell’Isis e del governo. La gran parte della Siria orientale fu occupata allora dal nuovo “califfato” che trovò un’efficace resistenza soltanto nelle Ypg-Ypj curde, socialiste e animate dal protagonismo femminile.
L’occidente ha per anni in parte identificato la guerra siriana con la lotta all’Isis condotta dai curdi, che formarono con combattenti arabi e cristiani le Forze siriane democratiche (Sdf), sostenute dal cielo dalla Coalizione internazionale a guida statunitense (gli Stati Uniti e l’Ue, infatti, intendevano ora reprimere la degenerazione estrema del mostro che loro stessi avevano creato). Le lunghe e terribili operazioni contro il “califfato”, tuttavia, non sono state che un aspetto della vicenda. Negli anni in cui tutta l’attenzione era concentrata sull’Isis, Idlib ha subito un destino del tutto analogo a quello di Raqqa e degli altri territori occupati dal “califfato”: è diventata infatti la capitale non dell’Isis, ma di tutti gli altri gruppi fondamentalisti. Nel 2015 Al-Nusra, Al-Zenki, Ahrar al-Sham e Failaq al Sham formarono un’alleanza detta “Esercito della conquista” (Jaish al-Fatah), e riuscirono a cacciare le ultime unità governative da Idlib. Di questa alleanza faceva parte anche un gruppo ceceno, Ajnad al-Kavkaz, “I soldati del Caucaso”: miliziani che, sconfitti nel tentativo di trasformare la Cecenia in “Emirato” nel 2009, e trovato allora riparo in Turchia, erano stati spediti da Erdogan nel 2011 a combattere in Siria.
La sconfitta dell’esercito siriano a Idlib indusse Putin a far intervenire la sua aviazione a difesa di Assad. Si creò così, per motivi completamente diversi, un’azione parallela della Nato a est e della Russia a ovest contro le due facce del jihadismo nella Siria settentrionale: quella dell’Isis nel primo caso, quella di Al-Qaeda e dei suoi alleati nel secondo. Ciò permise alla rivoluzione confederale di matrice curda e alla restaurazione fascistoide di Bashar al-Assad di conquistare territori e far traballare i piani espansionisti di Erdogan, le cui bande armate di riferimento erano sempre più divise, detestate dalla popolazione e in difficoltà. Fu allora, nel 2016, che la Turchia invase per la prima volta la Siria per bloccare l’avanzata delle Ypg-Sdf, che stavano per congiungere i cantoni confederati di Kobane e Afrin. L’esercito turco invase il nord della provincia di Aleppo riunendo alcuni gruppi armati della zona nell’alleanza “Scudo dell’Eufrate”: si trattava della Divisione Sultan Murad (espressione del movimento fascista dei “Lupi grigi” turchi, che si abbandonò a stupri seriali di donne curde nelle campagne), Ahrar al-Sharqiya (“Uomini liberi dell’est”, miliziani di Ahrar al-Sham provenienti dalle zone occupate dall’Isis) e la Divisione al-Hamza, originaria di Azaz. Il “Governo ad interim” della Cns che rivendicava il governo su Idlib si installò grazie a queste milizie anche nelle nuove zone occupate.
Subito dopo l’invasione, in quello che sembrò un do ut des, Erdogan abbandonò al loro destino i miliziani di Al-Nusra e Ahrar al-Sham nella città di Aleppo, permettendo a regime siriano, Iran, Russia e Ypg-Ypj di liberarne i quartieri orientali, trasformati dal 2012 in una piccola enclave salafita. Ai miliziani superstiti e alle loro famiglie fu permesso di riparare a Idlib, dove già li aspettava il resto delle bande. La sfortunata provincia diveniva sempre più il rifugio dei gruppi jihadisti sconfitti nel resto del paese e, come se non bastasse, scoppiò subito una guerra tra le fazioni: Al-Qaeda (che si era nel frattempo rinominata Tahrir al-Sham, “Liberazione del Levante”) e Ahrar al-Sham si combatterono con migliaia di morti tra miliziani e civili per tutto l’anno, fino a spartirsi la provincia: Ahrar al-Sham mantenne una presenza nei territori del “Governo ad  interim” della Cns, mentre Al-Qaeda/Tahrir al-Sham costituì a fine 2017 un “Governo siriano di salvezza” nel resto della provincia. Proprio allora scoppiò nel Regno Unito lo scandalo Jihadis You Are Paying For: donazioni benefiche di cittadini britannici, convinti di aiutare bambini siriani, erano finite tramite la Cns e la Turchia nelle mani di bande come Al-Zenki attraverso una supposta “Polizia libera” che a Idlib e attorno ad Aleppo assisteva, tra le altre cose, lapidazioni di donne accusate di adulterio.

La riorganizzazione turca del jihadismo (2018-2019)

Idlib è da allora una zattera abbandonata a sé stessa. Anche i superstiti di Jaish al-Islam sconfitti attorno a Damasco nel 2018 vi si sono rifugiati, trasformandola sempre più in un inferno sovraffollato e isolato dove decine di bande si combattono e impongono alla popolazione e a milioni di profughi ogni genere di angheria. Nelle zone occupate a nord di Aleppo nel 2016 l’esercito turco provvedeva intanto ad addestrare e inquadrare i gruppi Al-Hamza, Sultan Murad e Ahrar al-Sharqiya (lo “Scudo dell’Eufrate”) in un “Esercito nazionale siriano”, la cui costituzione fu annunciata il 30 dicembre 2017. Tre settimane dopo, il 20 gennaio 2018, tale “Esercito” fu utilizzato come forza di terra (protetta dall’aviazione turca) per attaccare per la prima volta il Rojava confederale nel cantone curdo di Afrin. L’invasione, avvenuta in accordo con la Russia nel silenzio internazionale, provocò oltre duecentomila profughi e migliaia di morti, molti civili uccisi in modo sommario perché si ribellavano a rapimenti e saccheggi, e a tutte le donne – comprese quelle non credenti, ezide o cristiane – fu imposto l’uso dell’Hijab se non la conversione. Alla combattente curda Barin Kobane furono asportati i seni con coltelli in un filmato realizzato a monito delle donne della zona.
Fu così che il Governo ad interim della Cns a Idlib prese il controllo anche di Afrin, sempre sotto l’attenta regia dei ministri di Erdogan. Ai politici dei Fratelli musulmani considerati da Italia e Ue “legittima rappresentanza delle aspirazioni del popolo siriano” venivano così formalmente consegnati i territori nord-occidentali che da Idlib e Afrin giungono fino al settentrione della provincia di Aleppo affacciandosi sulla città curda – ancora oggi autonoma e confederale – di Kobane. I gruppi dell’Esercito nazionale siriano iniziarono però a combattersi nuovamente strada per strada ad Afrin per il controllo del commercio di olio d’oliva. Subito dopo l’occupazione di Afrin Putin ed Erdogan firmarono l’accordo di Sochi per una “de-escalation” nella provincia di Idlib. La Turchia avrebbe posizionato anche lì le sue truppe, formalmente per disarmare i gruppi jihadisti. Anziché fare questo l’esercito turco convinse il 28 maggio 2018 Failaq al-Sham, Ahrar al-Sham e Al-Zenki a unirsi in un “Fronte siriano di liberazione”, cui i militari turchi cercarono di convincere anche i miliziani di Al-Qaeda/Tahrir al-Sham ad aderire individualmente.
Come se non bastasse, con la sconfitta del “califfato” l’anno successivo, nel 2019, i miliziani di Ahrar al-Sharqiya, ora parte dell’“Esercito nazionale” filo-turco, aiutarono membri dell’Isis a fuggire da Deir el Zor verso Idlib coadiuvati, secondo quanto ricostruito da The National, da Katibat Turkestani, detto anche Partito islamico del Turkestan in Siria. Basato a Idlib e alleato di Al-Qaeda, il gruppo fu formato da salafiti turcomanni della Cina occidentale (appartenenti all’etnia degli uiguri, che naturalmente non va confusa con il gruppo estremista sorto al suo interno) che, come i fondamentalisti ceceni di Ajnad al-Kavkaz, la Turchia aveva introdotto in Siria dal Pakistan e dall’Afghanistan all’inizio della guerra civile. Lo stesso capo dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, si trovava non a caso a Idlib quando è stato ucciso, e tanto l’Osservatorio siriano per i diritti umani quanto il Rojava Information Center hanno fornito documentazione sull’adesione di ex miliziani dell’Isis ad Ahrar al-Sharqiya.

La crisi attuale a Idlib e in Rojava

L’operazione di unificazione delle forze jihadiste siriane sotto il comando dell’esercito turco ha avuto un’ulteriore evoluzione il 4 ottobre 2019. A Urfa, in Turchia, alla presenza di generali turchi, i comandanti del “Fronte siriano di liberazione” (Idlib) hanno annunciato la loro fusione con il cosiddetto “Esercito nazionale siriano” (nord di Aleppo e Afrin). Da allora questa forza paramilitare riunisce la maggior parte delle fazioni teocratiche della guerra siriana: Ahrar al-Sharqiya, Al-Hamza, Sultan Murad, Jaish al-Islam, Ahrar al-Sham, Harakat al-Zenki (quest’ultimo si è sciolto ad Afrin nel 2018 dopo un incontro con militari turchi e ha mutato nome in Failaq al-Majd: “Legione della Gloria”).
Queste forze, accompagnate da mezzi corazzati, artiglieria e aviazione turche, hanno sottratto un grande territorio al Rojava tra Tell Abyad e Serekaniye (Ras al-Ain) tra il 9 e il 25 ottobre 2019, provocando trecentomila sfollati, migliaia di morti, torture, uccisioni sommarie, stupri, rapimenti e saccheggi. I miliziani di Failaq al-Majd hanno nuovamente mutilato il cadavere di una combattente delle Ypj nei pressi di Serekaniye, filmando e diffondendo la scena come monito, mentre la politica curda Hevrin Khalef è stata sequestrata e uccisa dopo terribili torture, assieme ad altri nove civili, sull’autostrada M4 il 12 ottobre 2019. A commettere la strage sono stati i miliziani di Ahrar al-Sharqiya. L’offensiva turco-jihadista, che continua ancora adesso attorno a Hasakah e Kobane, è stata avallata dagli Stati Uniti che, come la Russia, hanno riconosciuto già a fine ottobre come status quo l’occupazione militare di Tell Abyad e Serekaniye.
Lo scorso 18 dicembre è iniziata la seconda fase di una grande offensiva dell’esercito governativo siriano, supportato da Russia, Iran e dalla milizia libanese Hizbollah, per liberare la provincia di Idlib da tutte le formazioni jihadiste che la occupano dal 2015. La Turchia, che secondo gli accordi del 2018 avrebbe dovuto da tempo aver disarmato le milizie della zona, ne sta invece in queste settimane coadiuvando la resistenza con armi e truppe, ed esse sono per questo riuscite a bloccare a febbraio le forze governative presso il villaggio di Saraqib, alle porte della città di Idlib. Decine di migliaia di profughi sono fuggiti dalla provincia verso il Rojava che, pur a sua volta sotto attacco (l’aggressione turca continua da ottobre, anche se sotto silenzio) li ha accolti. La Turchia si è invece rifiutata di aprire la sua frontiera agli sfollati fino al 28 febbraio quando, in risposta a un bombardamento russo-siriano che ha ucciso decine di suoi militari, ha aperto il confine facendo immediatamente dirigere le migliaia di sfollati verso le frontiere con Grecia e Bulgaria. I governi di questi paesi hanno risposto all’arrivo dei migrati con la polizia, e le forze dispiegate sulla frontiera greca hanno già provocato due morti, tra cui un bambino.
Attualmente tutti i gruppi del cosiddetto “Esercito nazionale siriano”, assieme a Tahrir al-Sham/Al-Qaeda, ai salafiti filo-Isis di Harid al-Mu’minin, di cui fa parte anche Ansar al-Islam, ai ceceni di Ajnad al-Kavkaz e ai turcomanni cinesi di Katibat Turkestani sono impegnati in una guerra di religione senza esclusione di colpi contro le truppe regolari siriane, e non sembrano essere intenzionati – anche perché sotto pressione o sotto comando turco – a una resa che risparmierebbe inutili sofferenze e salverebbe migliaia di vite. La popolazione siriana è al corrente dell’identità dei miliziani che sparano a Idlib. Chi in Siria crede nell’imposizione dello Stato islamico, di un solo stile di vita per tutte e tutti e della sola derivazione divina delle norme della convivenza sociale, li appoggia; chi invece non crede in questo, li avversa. Le popolazioni europee e nordamericane, purtroppo, pensano al contrario che a Idlib ci siano delle specie di partigiani della libertà, dei “ribelli” non meglio qualificati, perché i media continuano a non dire la verità sulle responsabilità che ha l’Europa in Siria, dove dal 2012 appoggia con gli Stati Uniti un ceto politico oscurantista che la Turchia ha imposto nel nord del paese a milioni di cittadini con la violenza, nella piena illegalità internazionale e con l’uso di bande criminali.
da qui

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