giovedì 12 marzo 2020

La cultura non viene (mai) dopo (e una poesia)


I provvedimenti del governo contro la diffusione del coronavirus stanno mettendo seriamente in difficoltà il mondo della cultura. Un appello per rivendicare garanzie di reddito per le moltissime esperienze indipendenti e gli operatori del settore che stanno pagando drammaticamente le politiche di restrizione
Le disposizioni governative per contrastare il coronavirus stanno calando in maniera pesante su molti settori. Ma ce ne sono alcuni che ne soffrono in maniera particolare perché privi di ogni forma di tutela e sostegno. I cinema e i teatri chiusi fanno tristezza ma a quanto pare ora è inevitabile. Tutti gli eventi, grandi e piccoli, annullati sono una catastrofe economica, culturale e simbolica, ma pare che per bloccare il virus è il momento di fermarsi. Bisogna diminuire gli spostamenti e le relazioni sociali, i contatti ed i momenti di aggregazione.
Il punto è che per molti questo significa il disastro. In particolare per la piccola editoria, per i settori indipendenti della cultura, per le tante maestranze che vivono di eventi culturali, per i musicisti e chi vive di musica etc. Non vi è alcuna forma di sostegno, ne cassa integrazione ne uno straccio di ammortizzatori sociale.
Non vi sono leggi destinate alla cultura in generale che tengano conto delle migliaia di precari che vi lavorano e senza i quali i grandi o piccoli eventi non avrebbero modo di esistere. Le due parole sono quasi gemelle nel nostro paese, cultura e precarietà. Certo, esistono milioni di precari che non lavorano nella cultura e che soffrono la stessa nostra condizione.
L’emergenza e la crisi legate all’insorgere del Coronavirus sta mettendo in grave difficoltà molte esperienze indipendenti e moltissimi lavoratori e operatori del settore. Eventi cancellati, vendite in costante calo, futuro incerto e presente nerissimo. Il nostro pane quotidiano scarseggia, in ogni senso, non solo allegorico. Sappiamo che non siamo soli. Sappiamo che questa difficoltà sta coinvolgendo molti altri settori.
Ma qui portiamo ora la nostra voce, sperando che possa essere ben presto un coro a più voci di tutti quelli che non sono mai «garantiti», quelli che cercano costantemente il modo di sopravvivere, tanto nel mondo della cultura che altrove.
Mentre si affronta la questione, giustissima, di come agire sui lavoratori che hanno diritto alla cassa integrazione o altre forme di sostegno, rimane ancora una volta fuori quel variegato mondo fatto di milioni di persone precarie, cioè di chi non ha alcun tipo di accesso al welfare, e per i quali non è prevista nessuna tutela.
Ed ancora di più, dal nostro punto di vista, di coloro che tentano di portare il proprio contributo, per una società migliore, attraverso la cultura. Manca il punto di vista delle piccole realtà culturali, le piccole imprese – le case editrici indipendenti, per esempio, che sono un pezzo reale del tessuto della cultura del paese – mantenute vive e fertili dal lavoro di precari e precarie, giovani e non.
La situazione è già aggravata ed ora rischia di diventare catastrofica. Pensiamo che sia arrivata l’ora di parlare di una «garanzia di reddito», una misura indispensabile: una forma di sostegno economico immediata per tutti i lavoratori e le lavoratrici precari della cultura, e per tutte le piccole imprese culturali del paese. E se possibile allargando la stessa misura a tutti i precari, della cultura e non.
Vogliamo non solo dimostrare la nostra esistenza (fatta di libri, eventi, progetti culturali quotidiani la cui assenza sarebbe una catastrofe non solo per noi ma per il paese tutto) ma soprattutto rivendicare il nostro ruolo nel mondo della cultura che non è fatta solo di noti professionisti e di eventi megagalattici sostenuti da sponsor milionari.
Oggi siamo convinti che siano necessario rivendicare – insieme a tutti i precari, gli irregolari, gli intermittenti, i lavoratori e le lavoratrici al nero: i nostri lettori e le nostre lettrici – un diritto sacrosanto sulla base di un principio preciso: non si può continuare a parlare di “sicurezza” da un punto di vista sanitario senza estendere il ragionamento alla sicurezza sociale. Perché non esiste “salute” senza la garanzia di un reddito. Non possiamo rimanere, come si chiede, dentro casa e aiutare il rallentamento del contagio se siamo costretti ad uscire per cercare modi di sopravvivere. Per questo sosteniamo l’urgenza dell’istituzione di un reddito garantito, “di quarantena” anche attraverso ad esempio l’ampliamento dell’attuale reddito di cittadinanza che continua a escludere troppe figure, rendendo più ampio l’accesso alla domanda e dunque aumentando i beneficiari. Misure di sostegno di questo tipo sono il minimo che può pensare uno stato di diritto, per contrastare tanto il virus che le difficoltà economiche e sociali che milioni di persone si trovano a subire.
La cultura non viene (mai) dopo.
da qui


I giusti - Jorge Luis Borges

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere un’etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sur giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che premedita un colore ed una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mond
o.

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