martedì 1 gennaio 2019

contro Orbán


Eroe della rivolta contro i sovietici, statua via dalla Budapest di Orban - Ennio Remondino

Piazza del Parlamento nella capitale magiara. Come dei banditi che debbono nascondersi, è l’alba quando è stata rimossa da Budapest la statua di Imre Nagy, il premier all’epoca della rivolta anticomunista del 1956, poi soffocata dall’Armata Rossa. Capo della rivolta ungherese, Imre Nagy fu imprigionato e giustiziato il 16 giugno 1958 a Budapest. Eroe nazionale della resistenza all’intervento sovietico. Poi, incidenti della storia, al potere arrivano i nani.
L’attuale premier, il conservatore Viktor Orban, dopo la condanna a morte sovietica, vorrebbe anche cancellare la memoria e la riconoscenza dei suoi cittadini e dalla storia ungherese. Ordine eseguito e statua rimossa. Orban ormai straripante nel suo potere politico quasi incontrastato incassa le critiche dell’opposizione quasi con compiacimento. Dalla sua parte la recente legge ‘sulla schiavitù’ che consente ai datori di lavoro di imporre 40 ore di straordinari l’anno, pagabili con tutto comodo in tre anni.
La statua di bronzo, eretta nel 1996, sorgeva su una piazza vicino al Parlamento. Trasferita in una posizione meno visibile, è stata sostituita con una replica di un monumento dedicato alle vittime del regime comunista di Bela Kun, che governò brevemente l’Ungheria nel 1919. I partiti di opposizione hanno accusato Orban di revisionismo storico; chi lo difende ha sostenuto che il suo obiettivo è quello di restituire agli spazi pubblici della capitale l’aspetto che avevano prima della Seconda Guerra Mondiale e cancellare le tracce del periodo comunista, concluso nel 1989.


La rivolta contro Orbán – intervista di David Broder a G. M. Tamás

Il 12 dicembre il parlamento ungherese ha approvato una legge che consente ai datori di lavoro di chiedere 400 ore di straordinari all’anno, con pagamento dilazionato da uno a tre anni. La misura, avanzata dal governo di estrema destra del primo ministro Viktor Orbán ha sollevato proteste di massa senza precedenti da quando Orbán è andato al potere nel 2010.
Definita «legge schiavista», la decisione potrebbe costringere gli ungheresi a lavorare un giorno in più a settimana, e la maggior parte del ritardato pagamento sarà eroso dall’inflazione. Il modo in cui la legge è passata – sbattuta in parlamento da un governo autoritario senza rispetto delle formalità costituzionali – la ha anche collegata a una più ampia battaglia sulla democrazia ungherese.
Nelle ultime settimane le manifestazioni si sono diffuse in tutto il paese. La più grande finora è quella di domenica scorsa, in una Budapest gelata, con 15.000 dimostranti. Dopo una serie di altre proteste e blocchi, i sindacati ora parlano di uno sciopero generale a gennaio. Guidato da sindacati e studenti, il movimento include anche l’intero spettro dei partiti che si oppongono al governo di Orbán .
David Broder di Jacobin ha parlato con G. M. Tamás, scrittore e filosofo ungherese che partecipa alla protesta della legge sulla schiavitù, le origini del movimento, la minaccia che rappresenta per Orbán .
Perché la legge sugli straordinari è diventata la calamita dello scontento? Queste proteste si basano su altre recenti mobilitazioni anti-governative? Come sono organizzate, e come pensano di farsi ascoltare?
Queste proteste accadono mentre lo scontento cresce nella regione, con le grandi manifestazioni in Romania, in Slovacchia, in Serbia (motivate da fattori diversi, ma tutte in qualche modo anti-sistemiche). E mentre tutta l’Europa vive una crescente instabilità, dalla Spagna alla Gran Bretagna, alla Francia e la Germania. Anche le proteste in Ungheria sono state innestate da una serie di fattori più specifici, alcuni di essi fortuiti.
La consuetudine costituzionale e le regole parlamentari in Ungheria chiedono che le proposte di leggi importanti come quella sugli straordinari debbano essere soggette a un dibattito parlamentare lungo dettagliato, e che debbano essere condotte consultazioni con le parti interessate, in questo caso i sindacati e gli imprenditori. Il governo ha aggirato ciò presentandola come una proposta di legge di iniziativa personale, firmata da due parlamentari della maggioranza, rendendo così possibile che passasse in un solo giorno.
L’opposizione ha provato a fare ostruzionismo presentando più di duemila emendamenti, ma il presidente del parlamento ha deciso (illegalmente) che essi potevano essere rigettati tutti con un solo voto. Allora l’opposizione ha occupato la presidenza e ha impedito lo svolgimento dei lavori parlamentari, suonando fischietti e trombette, gridando e così via.
Tutto è stato trasmesso in televisione e su internet. In serata, una prima manifestazione spontanea ha avuto luogo nella Piazza del Parlamento di Budapest. Il giorno dopo, gli studenti di sinistra hanno dato vita ad un’altra manifestazione nello stesso luogo, dove ho avuto l’onore di tenere il primo intervento.
Ma tutto si è innestato sulla manifestazione che si era già tenuta contro il bando alla Central European University, che è stata obbligata a trasferirsi a Vienna, e contro altre misure repressive che hanno colpito università e istituti di ricerca – nelle quali anche io ho preso la parola – nelle quali si erano già alzate voci per fare appello a un accorpamento fra le richieste degli studenti e quelle dei lavoratori. «Solidarietà lavoratori-studenti» era stato lo slogan più popolare.
Il giorno dopo, i parlamentari dell’opposizione hanno tentato di fare in modo che le loro richieste venissero riportate dalla tv di Stato: poiché il 90 per cento dei media è sottomesso alla estrema destra al governo, non era stata data nessuna informazione in merito. Sono stati accompagnati da parecchie migliaia di persone sotto la neve. I parlamentari hanno il diritto di entrare in qualsiasi istituzione statale, e così sono stati ammessi negli studi televisivi, ma le loro richieste sono state rigettate.
I parlamentari dell’opposizione hanno passato la notte nell’edificio della televisione, e all’alba sono stati brutalmente gettati fuori dalle forze di sicurezza di una ditta privata di proprietà del segretario di stato, il generale Pinter. Questo evento ha segnato un punto di svolta, e la protesta è ora diventata permanente. Ci sono blocchi stradali e dimostrazioni ovunque, attività su internet senza fine, opuscoli, storielle, canzoni, videoclips, Gif e memi. C’è una gioiosa atmosfera di rivolta e l’espressione di massa di umoristico disprezzo per il regime in un paese che normalmente è cupo e apatico.
Sembra che l’opposizione sia estremamente diversificata, dalla destra liberale a Jobbik, che è ben conosciuto a livello internazionale come un partito di estrema destra. Quali richieste hanno in comune? Jobbik ha cambiato linea? Che ruolo hanno i sindacati nella mobilitazione – e quali lavoratori sono coinvolti?
I partiti per ora sono – dopo il comportamento coraggioso dei parlamentari – accettati dai manifestanti. Ma le loro ideologie e le differenze tra di loro sono totalmente ignorate. La sola cosa che importa è il loro grado di volontà di resistere. I partiti in quanto tali non hanno richieste specifiche al momento, stanno per ora solo dando eco alle richieste dei dimostranti e dei sindacati – che includono il rifiuto dei nuovi tribunali amministrativi (introdotti lo stesso giorno della legge sugli straordinari, con lo stesso metodo discutibile), la riforma dei media pubblici, e la adesione alla procura europea. Questa ultima richiesta è motivata dalla non volontà dei magistrati ungheresi, guidati da uno dei principali alleati di Orbán, Peter Polt, di indagare sui casi più flagranti e scandalosi di corruzione.
Jobbik è oggi piuttosto un partito conservatore, sembra che abbia perso le ultime vestigia del suo passato fascista e attualmente è decisamente più moderato del partito di governo Fidezs di Viktor Orban (che non è un partito ma una combinazione fra apparato statale e una informale ma altamente centralizzata macchina di propaganda senza aderenti o vita interna).
La “sinistra liberale” non appare come forza indipendente: la opposizione è unita dietro i sindacati e gli studenti (per il momento), l’intero quadro è ideologicamente confuso. Ma sembra essere guidato da una dinamica di sinistra che non si permette di pronunciare il suo nome. Sono apparse per la prima volta bandiere rosse, nelle proteste. Questo ha fatto impazzire i media ufficiali, ma i dimostranti non le hanno contestate.
I sindacati hanno mobilitato poco; al contrario, sono stati mobilitati dai dimostranti e – ad oggi – hanno risposto molto bene. Hanno formato comitati di sciopero e stanno discutendo le loro richieste, come i diritti sindacali alla protesta che sono stati tremendamente ristretti, specialmente nel settore dei servizi pubblici (per esempio, nelle ferrovie). La leadership sindacale aveva annunciato che, se il docile presidente ungherese Janos Ader avesse firmato la legge – come è necessario perché essa diventi valida – avrebbe potuto dichiarare lo sciopero generale. E in effetti giovedì 20 gennaio Ader ha firmato.
I sindacati più forti sono i chimici e i lavoratori delle ferrovie, gli impiegati pubblici, gli insegnanti, i lavoratori del settore auto, ma la classe operaia è disorganizzata: le cinque confederazioni sindacali nazionali hanno in tutto 100.000 aderenti, in un paese di 9 milioni di abitanti. E perché uno sciopero sia davvero importante dovrà essere a gatto selvaggio, diffuso con mezzi non ufficiali.
Dopo le amare delusioni degli ultimi quindici anni, la politica elettorale è in secondo piano; nessuno sembra più interessato. Le diverse fazioni della classe dirigente appaiono, all’improvviso, piuttosto irrilevanti: si tratta di “noi” e di “loro”.
 Cosa ha motivato la legge, e quali forze hanno sostenuto la sua approvazione?
C’è carenza di manodopera a causa dell’emigrazione di massa – anzi, della fuga di massa – dall’Ungheria (circa 600.000 ungheresi lavorano all’estero; la popolazione nazionale è sotto i 10 milioni, essendo scesa di un milione dalla fine degli anni Ottanta). Questa è anche una classica misura di taglio salariale: i datori di lavoro potrebbero pagare gli straordinari con un ritardo di tre anni, se lo desiderano, e con l’attuale tasso di inflazione, questo permetterà loro di ridurre seriamente le loro uscite.
È interessante notare che le organizzazioni dei datori di lavoro – in particolare le case automobilistiche tedesche – hanno dichiarato che non sono interessate alla misura e che non desiderano vederla attuata. Pensano che creerebbe più problemi sindacali di quanti vantaggi fornirà loro. Si tratta di un tipico atto legislativo arrogante e antipopolare da parte di una quasi-dittatura che vuole risolvere tutto con un ordine amministrativo.
Questa è la caratteristica dei regimi fascisti e post-fascisti: il primato della politica, il trionfo della volontà. In tali regimi, il potere può essere esercitato nell’interesse della classe capitalista, ma non dalla classe capitalista. Gli editti del leader supremo stanno sostituendo la governance che viene dal consenso borghese. Il disprezzo aperto per il popolo, per la misera plebs contribuens – l’umile massa che paga le tasse – è di primaria importanza, qui.
Orban sembra credere che la propaganda razzista (e la vera e propria discriminazione nei confronti del popolo rom) prevalga su tutto il resto. Ha avuto successo per cinque anni o giù di lì, ma non sembra destinata a durare per sempre. Quello che ho chiamato “post-fascismo” e “etnicismo” non è messo direttamente in discussione dalle attuali proteste (anche se i media di estrema destra lo presentano come un movimento “pro-immigrati”). Ma al momento attuale sono strumenti che sembrano inefficaci.
Mercoledì scorso si è appreso che la polizia nel nord-est del paese aveva pubblicamente richiesto il pagamento degli straordinari, ma non si è associata alle proteste. Che possibilità c’è che questo malcontento si estenda a parti dell’apparato statale stesso? Qual è la reazione dei media statali?
Le forze di polizia sono notoriamente insoddisfatte delle loro condizioni sociali (sono le più colpite dagli straordinari e le nuove norme impongono un onere insopportabile sulle loro spalle). Si dice che molti simpatizzino privatamente con i manifestanti, ma sono una organizzazione militare –  disciplinata e obbediente.
L’apparato statale è stato ripetutamente depurato, decine di migliaia di dipendenti pubblici sono stati licenziati senza la minima spiegazione, gli esperti sono stati sostituiti ovunque da lealisti di estrema destra poco qualificati (il governo sta cercando di estendere la cosa anche alle università, agli istituti di ricerca e alle istituzioni culturali). I lavoratori più giovani entrano nel settore privato o emigrano (non ci sono medici e infermieri negli ospedali, non ci sono insegnanti, soprattutto nelle province, e non ci sono ingegneri nelle fabbriche).
Quanto ai media statali – e questo significa quasi tutti i media, apertamente o segretamente – hanno ceduto alla paranoia totalitaria: tutto è il risultato di una cospirazione di ispirazione straniera, che cerca di minare la nostra bianca virilità cristiana e maschia. Le proteste sono presumibilmente causate da “marxisti culturali”, femministe “fasciste del gender “, “globalizzatori cosmopoliti”, e dalla “lobby gay”, per non parlare delle forze dell’ “imbastardimento” che importano musulmani per distruggere la nazione, la Magyardom (“Ungheresità”), e così via.
Fonti governative hanno, senza sorpresa, targato le manifestazioni come piccole ed elitarie, guidate da personaggi del calibro di George Soros, sottolineando nel contempo l’impopolarità dei partiti di opposizione, distrutti nelle elezioni di aprile. Come valuta la profondità del sostegno pubblico alle proteste? Che atteggiamento hanno adottato le forze liberali?
Sei troppo educato. Invece di “elitaria” devi dire: complotto ebraico o giudaico-massonico-illuminato. I media ufficiali chiamano i lavoratori “i servi di Soros” – davvero pietosi. I partiti dell’opposizione, come ho detto prima, non contano adesso. Per quanto riguarda il sostegno pubblico, i sondaggi ci dicono che l’83% della popolazione è contrario alla legge sugli straordinari, che è diffusamente chiamata “la legge sugli schiavi”. Le forze liberali – e con questo termine dobbiamo intendere pochi giornalisti – sono totalmente a favore delle proteste, proprio come i conservatori anti Orbán .
Orbán non ha risposto pubblicamente alle proteste. Qual è la sua strategia, qui? Quanto è forte la sua posizione all’interno del suo partito e del suo governo?
Orbán non ha detto una sola parola dall’inizio delle proteste. Non vuole essere associato a qualcosa che potrebbe rivelarsi troppo impopolare la prossima settimana, anche se i suoi istinti politici sono selvaggiamente repressivi. È il miglior nemico del popolo ungherese: astuto, intelligente, intelligente, astuto, paziente, diligente e spietato. È rispettato e odiato. Nel suo “partito” – nessun movimento, nessun membro, solo apparato – è naturalmente immensamente rispettato, e paga bene.
Orbán è uno degli uomini più ricchi d’Europa (attraverso intermediari e aziende fittizie; il suo gruppo conta 176 media in un piccolo paese di 9 milioni di persone). E’ un avversario temibile, ma la sua fortuna sembra si stia esaurendo. Ha commesso errori enormi: non gliene frega niente del parlamento, ma la sua aperta e pubblica violazione della legge è un po’ esagerata, così come lo è ostentare la lussuosa esistenza della sua famiglia e i suoi furfanti che comprano palazzi ducali. Il trasferimento del suo ufficio al Castello Reale a Buda Hill potrebbe rivelarsi eccessivo.
Le calunnie contro i manifestanti e il frenetico appello dell’Abteilung (in tedesco “dipartimento”) della propaganda potrebbe essere stato un errore. L’intero paese si sente dissenziente. Qualcosa dovrà concedere.
*M. Tamás è visiting professor all’Università dell’Europa centrale di Budapest e visiting fellow all’Institut für die Wissenschaften vom Menschen, Vienna. David Broder è uno storico del comunismo francese e italiano. Attualmente sta scrivendo un libro sulla crisi della democrazia italiana nel dopo guerra fredda. È redattore europeo di Jacobin.
Questa intervista è comparsa su www.jacobinmag.com. La traduzione è di Raffaella Bolini



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