Stephan ha una valigia pesante, nera, piena di vestiti. La porta da solo,
mentre suo fratello e un amico lo aspettano fuori dal cancello del centro di
accoglienza in cui abita da due anni. Si salutano, poi prendono la valigia un
manico per uno, si avviano verso la lunga strada asfaltata che collega il
Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Castelnuovo di Porto alla
via Tiberina.
Da due giorni il centro di 12mila metri quadrati che sorge a 54 chilometri
da Roma – in una zona di capannoni abbandonati tra il corso del Tevere e la via
Flaminia – sta facendo parlare di sé, perché il ministero dell’interno ha
deciso di chiuderlo e di trasferire senza preavviso le cinquecento persone che
ci abitano.
Stephan viene dalla Repubblica Centrafricana e in Italia ha ottenuto la
protezione sussidiaria, ha saputo due giorni fa che il centro in cui vive
chiuderà entro la fine del mese e che anche lui sarà trasferito. Ma non sa dove
lo porteranno, non ha ricevuto nessuna comunicazione ufficiale. Alcuni suoi
compagni sono partiti ieri, altri stamattina. Nell’incertezza ha deciso di
andarsene, perché ha appena trovato un lavoretto.
Niente di che, ma se si trasferisse in un’altra regione lo perderebbe. E la
prospettiva di ricominciare tutto da capo in un altro posto lo getta nello
sconforto. Molti nelle ultime ore stanno facendo come lui, lasciano il centro
autonomamente per evitare di essere trasferiti.
Condannati a perdere tutto
Anche un altro ragazzo della Costa d’Avorio, Kombala Gbona, ha lo stesso problema: “Sono molto preoccupato, perché devo essere trasferito domani, ma io voglio rimanere a Roma, perché se vado fuori rischio di perdere il lavoro”. Da poco distribuisce volantini pubblicitari, guadagna poco, ma ha paura di perdere il poco che ha: “Meglio che non fare niente, per noi è difficile trovare lavoro”. Gbona però non ha nessuno che possa ospitarlo e quindi teme di dover accettare il trasferimento e di perdere tutto.
Anche un altro ragazzo della Costa d’Avorio, Kombala Gbona, ha lo stesso problema: “Sono molto preoccupato, perché devo essere trasferito domani, ma io voglio rimanere a Roma, perché se vado fuori rischio di perdere il lavoro”. Da poco distribuisce volantini pubblicitari, guadagna poco, ma ha paura di perdere il poco che ha: “Meglio che non fare niente, per noi è difficile trovare lavoro”. Gbona però non ha nessuno che possa ospitarlo e quindi teme di dover accettare il trasferimento e di perdere tutto.
“Quello che lascia senza parole è che le persone siano state trasferite
senza preavviso e senza che si sia tenuto conto delle loro diverse situazioni
personali: qui ci sono persone che hanno fatto domanda di asilo, persone che
sono in attesa, persone che sono in fase di ricorso e anche chi ha già il
permesso di soggiorno”, spiega Tareke Brhane, mediatore culturale di origine
eritrea che collabora con il centro. “All’interno della struttura ci sono
ancora 22 famiglie e molte vittime di tratta”, continua. Per il mediatore
soprattutto chi è in fase di ricorso non si vuole spostare in altre regioni
italiane, perché non può trasferire la sua pratica. Altrimenti dovrebbe seguire
il processo per il riconoscimento dell’asilo a distanza.
Fuori del centro i lavoratori della Auxilium hanno organizzato un presidio
improvvisato che è stato allestito davanti al cancello della struttura.
Francesca Maurizi, una delle psicologhe del Cara, conferma lo stato di
agitazione diffuso: “Gli ospiti chiedono rassicurazioni, non sanno dove
andranno, hanno paura di dover ricominciare tutto da capo”.
La partenza del primo pullman che era stato precedentemente bloccato,
Castelnuovo di Porto, 23 gennaio 2019. (Matteo Minnella, OneShot)
Ma anche i lavoratori e le lavoratrici della Auxilium sono in una
situazione di difficoltà. Giuseppe Asprella, responsabile del personale della
cooperativa, conferma che “in tutto 120 persone dal 1 febbraio rischiano di
rimanere a casa senza stipendio”. Asprella dice di aver appreso della chiusura
del centro dai giornali e di non aver ricevuto ancora nessuna comunicazione
ufficiale: “Ci faremo sentire, andremo in presidio al ministero dello sviluppo
economico il 24 gennaio”. Tra le operatrici che lavorano al Cara da più tempo,
Marilena Bartoli è stata prima un’addetta alla mensa poi un’addetta alle
pulizie del centro. Insieme a un gruppo di colleghe sta organizzando la
protesta: “Qui ci sono persone monoreddito oppure intere famiglie che lavorano
al Cara, dal 1 febbraio rimarranno senza stipendio, senza che ci sia stato
prospettato nessun piano di ricollocamento”.
Come pacchi
Il 23 gennaio senza preavviso e senza sapere la loro destinazione, dal Cara di Castelnuovo di Porto sono partiti tre autobus con 75 persone a bordo. Il giorno precedente ne erano partite 35. Le donne e le famiglie sono ancora nella struttura, tra loro 12 minori. Entro il 26 gennaio circa 300 persone delle 500 presenti fino a due giorni fa saranno trasferite in altre regioni italiane. La decisione, presa dal ministero dell’interno e dalla prefetta di Roma, Paola Basilone, è stata comunicata con solo 48 ore di anticipo alla struttura che è attiva dal 2008 ed è arrivata a ospitare in alcuni periodi anche mille persone.
Il 23 gennaio senza preavviso e senza sapere la loro destinazione, dal Cara di Castelnuovo di Porto sono partiti tre autobus con 75 persone a bordo. Il giorno precedente ne erano partite 35. Le donne e le famiglie sono ancora nella struttura, tra loro 12 minori. Entro il 26 gennaio circa 300 persone delle 500 presenti fino a due giorni fa saranno trasferite in altre regioni italiane. La decisione, presa dal ministero dell’interno e dalla prefetta di Roma, Paola Basilone, è stata comunicata con solo 48 ore di anticipo alla struttura che è attiva dal 2008 ed è arrivata a ospitare in alcuni periodi anche mille persone.
“Era tutto programmato, il ministero ha dato ordine di trasferire trecento
migranti. Il contratto di gestione, che è già stato prorogato cinque volte,
scade il 31 gennaio”, ha detto Paola Basilone, spiegando che “il centro andava
chiuso e non c’era possibilità di continuare”. L’appalto vinto dalla
cooperativa Auxilium a partire dal 2014 era stato già prorogato nell’aprile del
2017 ed era in scadenza. Secondo la prefetta Basilone, “non erano possibili
ulteriori proroghe”.
In una conferenza stampa il 23 gennaio il
ministro dell’interno ha detto che la chiusura di questo tipo di centri era
parte del suo programma elettorale e che dopo Castelnuovo di Porto saranno
chiusi altri centri simili: “Mi ero impegnato a chiudere le megastrutture
dell’accoglienza, dove ci sono sprechi e reati, come a Bagnoli, a Castelnuovo
di Porto, a Mineo. E lo stiamo facendo”. Intorno alle 12 mentre uno dei pullman
con i migranti a bordo stava lasciando la struttura, la parlamentare di Liberi
e uguali Rossella Muroni si è messa davanti al mezzo, costringendolo a fare
marcia indietro.
Qui non c’è solo un problema con gli immigrati, questo è un problema di
diritti civili, spiega Muroni
“Quando gli operatori di Auxilium mi hanno spiegato che avevano ricevuto
una comunicazione da parte della prefettura che imponeva loro di far salire sui
pullman un certo numero di persone, senza che fosse stato spiegato né dove
fossero dirette, né in che tipo di centri, senza che fossero valutate caso per
caso le storie di queste persone, lì mi sono arrabbiata e ho bloccato il
pullman e ho chiesto che almeno questi tre pullman fossero informati sulla
destinazione”, racconta Muroni. I pullman sono ripartiti, dopo che è stato
comunicato dove sarebbero state trasferite le persone.
“Qui non c’è solo un problema con gli immigrati, questo è un problema di
diritti civili. Ho incontrato un gruppo di vittime di tratta all’interno del
centro che erano terrorizzate dall’idea di essere spostate, di essere divise,
di essere portate chissà dove”, conclude Muroni. “Nessuno vuole difendere lo
status quo, perché sappiamo che i grandi centri non funzionano, ma la cosa che
non capisco è come sia possibile chiudere i Cara e contemporaneamente chiudere
attraverso il decreto sicurezza i piccoli centri per l’accoglienza diffusa,
cioè gli Sprar”.
Quale accoglienza?
In effetti il decreto sicurezza e immigrazione, approvato dal parlamento il 27 novembre del 2018, prevede il potenziamento della rete dei centri straordinari di accoglienza e dei Cara e al contrario un ridimensionamento dell’accoglienza diffusa, cioè del sistema Sprar. Quindi la decisione del ministero dell’interno di chiudere il Cara di Castelnuovo di Porto ha creato molta confusione, perché è sembrata andare in una direzione opposta a quella indicata dal decreto sicurezza convertito da poco in legge.
In effetti il decreto sicurezza e immigrazione, approvato dal parlamento il 27 novembre del 2018, prevede il potenziamento della rete dei centri straordinari di accoglienza e dei Cara e al contrario un ridimensionamento dell’accoglienza diffusa, cioè del sistema Sprar. Quindi la decisione del ministero dell’interno di chiudere il Cara di Castelnuovo di Porto ha creato molta confusione, perché è sembrata andare in una direzione opposta a quella indicata dal decreto sicurezza convertito da poco in legge.
I Cara sono grandi centri, spesso capannoni o
strutture dismesse riconvertite, che ospitano anche migliaia di persone come
nel caso del Cara di Mineo, in Sicilia. Sono stati aperti nel 2008 e sorgono
lontani dai centri abitati, in una condizione di isolamento per i richiedenti
asilo. Sono gestiti dalle prefetture che assegnano gli appalti per la gestione a
cooperative e soggetti privati dopo un bando di gara. Dovrebbero in teoria
essere strutture per la prima accoglienza e invece nel corso degli anni si sono
trasformate in strutture seconda accoglienza dove finiscono anche persone
vulnerabili come vittime di tortura e di tratta, e famiglie. Per legge, nei
Cara i richiedenti asilo dovrebbero stare fino a 35 giorni in attesa che la
loro pratica sia esaminata dalla commissione territoriale competente, ma invece
i soggiorni arrivano anche a periodi superiori ai due anni.
Nel corso degli anni Cara e Cas sono spesso stati protagonisti di
inchieste giornalistiche e giudiziarie per le pessime condizioni
dell’accoglienza, ma anche per appalti assegnati con criteri poco chiari o per
la penetrazione di gruppi criminali nella gestione. Spesso gli attivisti e gli
stessi migranti ospiti di questo tipo di strutture ne hanno chiesto la
chiusura. Anche il Cara di Castelnuovo di Porto in undici anni di attività è
stato al centro diverse volte di queste vicende.
Nel 2014, quando la gestione era in mano a un’altra cooperativa, gli stessi
migranti avevano protestato con blocchi stradali per
far luce sulle pessime condizioni dell’accoglienza all’interno del centro, nel
2016 alcuni rapporti hanno denunciato le
condizioni di isolamento, di sovraffollamento e la mancanza di servizi del
centro che nel frattempo si era in parte trasformato in un hub per i
ricollocamenti dei richiedenti asilo nei paesi europei che avevano aderito al
sistema delle quote. Sempre nel 2016 l’Autorità nazionale anticorruzione
(Anac), dopo alcune, ispezioni, aveva rilevato problemi legati all’erogazione
dell’acqua calda.
Un articolo del manifesto pubblicato il 13
gennaio del 2019 denuncia le condizioni fatiscenti dei dormitori e la mancanza
di un impianto di riscaldamento funzionante. Scrive il manifesto: “Per ogni ospite, la
cooperativa Auxilium dei fratelli Chiorazzo, vincitrice dell’appalto, incassa
21,90 euro al giorno”, una cifra inferiore ai 35 euro previsti dal ministero
per questo tipo di accoglienza. “L’immobile di proprietà dell’Inail dal 2008 è
stato dato in concessione alla prefettura di Roma, ma del contratto che doveva
essere redatto a seguito di accordi non esiste traccia. Viene definito nella
relazione dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) del 2016 un ‘contratto
passivo’ e la passività sembrerebbe risiedere anche nella irresponsabilità con
la quale entrambi i contraenti gestiscono le opere di manutenzione”, è scritto
nell’articolo.
“Quello su cui non c’è alcun dubbio è la somma corrisposta dalla prefettura
all’Inail, che dal 2008 al 2017 è stata di 12.260.735,2 euro, spese
emergenziali escluse”, conclude l’articolo. I ragazzi lasciano in bicicletta il
Cara di Castelnuovo nonostante la pioggia intensa, il centro abitato più vicino
è a cinque chilometri di distanza. I richiedenti asilo confermano: “Il centro è
lontano da tutto, viviamo in condizioni pessime, siamo agitati perché non
sappiamo dove finiremo, ma il centro non va bene così”.
Le vittime di tratta e il decreto sicurezza
Blessing e suo figlio Ibrahim sono usciti dal centro senza giacca e quando ha cominciato a piovere hanno cercato riparo nella tenda allestita dalla protezione civile. Ibrahim è nato a luglio e ha solo pochi mesi di vita. Blessing ha la protezione umanitaria e rischia di finire per strada con il suo bambino, senza essere ricollocata da nessuna parte.
Blessing e suo figlio Ibrahim sono usciti dal centro senza giacca e quando ha cominciato a piovere hanno cercato riparo nella tenda allestita dalla protezione civile. Ibrahim è nato a luglio e ha solo pochi mesi di vita. Blessing ha la protezione umanitaria e rischia di finire per strada con il suo bambino, senza essere ricollocata da nessuna parte.
La chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto non è legata all’approvazione
del decreto sicurezza. Sulla questione si è fatta molta confusione. Anzi la
chiusura di un centro di prima accoglienza va in una direzione opposta alle
linee guida previste dal decreto. Lo conferma Antonello Ciervo, avvocato
dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che il 23 gennaio è
davanti al Cara con Valentina Calderone di A buon diritto per raccogliere le
procure dei richiedenti asilo che sono stati spostati dal centro senza
preavviso e senza conoscere la destinazione del loro trasferimento. “Gli
effetti del decreto sicurezza sono slegati dalla chiusura del centro e ci
sarebbero stati in ogni caso, in particolare ci sono diverse persone titolari
di protezione umanitaria che rischiano di finire per strada e per loro si può
fare molto poco, perché la legge è cambiata e non sono previste forme di
accoglienza per chi ha una protezione umanitaria”.
Tra loro c’è anche Blessing: avevamo raccontato la sua storia qualche mese fa,
la ragazza è stata riconosciuta vittima di tratta, ma non ha voluto denunciare
i suoi aguzzini per il timore di avere ripercussioni, per questo è finita in un
centro come quello di Castelnuovo e non in una casa rifugio o in un centro per
donne vittime di tratta. È terrorizzata dall’idea di finire per strada con un
bambino così piccolo, e insieme a lei un’altra ragazza nigeriana che ha lo
stesso problema: Lovett.
“Nel Cara di Castelnuovo di Porto ci sono diverse donne che stanno facendo
un percorso di emersione dalla tratta, alcune di loro hanno anche concluso il
percorso e hanno scelto di non entrare in una struttura protetta, ora hanno
bisogno di una seconda accoglienza. Anche loro sono a rischio deportazione.
Questo è molto grave perché queste donne hanno costruito nel contesto romano un
percorso e ora si troveranno senza nulla”, afferma Francesca De Masi,
operatrice della cooperativa Be Free che si occupa di vittime di tratta.
“Nessuno ha chiesto agli enti antitratta della regione Lazio se trasferire
queste donne sia pericoloso per la loro incolumità”, afferma l’operatrice che
parla di 24 persone in questa condizione. “Abbiamo compilato una lista di questi
casi: molte di loro hanno appena ottenuto la protezione internazionale, altre
sono in attesa di una risposta della commissione. Quello che vorremmo è che
queste persone non fossero spostate dal territorio perché gli effetti per loro
potrebbero essere gravissimi”, conclude De Masi.
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