venerdì 18 gennaio 2019

Leila Khaled e Angela Davis scrivono a Leyla Guven - Chiara Cruciati



Due donne per una donna, due simboli della lotta dei popoli per un simbolo della lotta di un popolo, due ex prigioniere politiche a una prigioniera politica: le voci di Leila Khaled e di Angela Davis si sono alzate, a poche ore di distanza, in solidarietà con Leyla Guven, parlamentare dell’Hdp, formazione della sinistra turca, imprigionata dal governo di Ankara da un anno per aver criticato l’operazione «Ramoscello di ulivo» contro il cantone curdo-siriano di Afrin e in sciopero della fame da 72 giorni.
Angela Davis, storica attivista dei diritti degli afroamericani, le ha dedicato una lettera sul New York Times: «Dopo aver dedicato anni della sua attività politica alla lotta contro le occupazioni illegali delle regioni curde da parte dello Stato turco, ora offre la sua vita come forma di protesta. Guven è di enorme ispirazione a chi nel mondo crede alla giustizia e alla liberazione».
Davis ha poi ricordato l’identica condizione di migliaia di leader, membri e sostenitori dell’Hdp, detenuti in Turchia, e la chiusura imposta da Ankara al Free Women’s Congress curdo.
Il giorno prima erano arrivate le parole di Leila Khaled, combattente e icona del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina: «Nelle prigioni turche e israeliane i rivoluzionari entrano in sciopero della fame per la libertà, la giustizia, per porre fine al sistema di potere che vuole spegnere le voci che vogliono democrazia. Mia cara amica Leyla, la tua pazienza e la tua lotta sconfiggeranno la fame. Ti tengo la mano, sei modello a tutte le donne del mondo».
Da sempre in prima linea per i diritti del popolo curdo, arrestata decine di volte per il suo impegno, Leyla Guven rifiuta da novembre il cibo. La sua richiesta è chiara: la fine dell’isolamento imposto al leader del Pkk Abdullah Ocalan. Ma le sue condizioni di salute sono estremamente gravi: «Ha crampi di stomaco, forti emicranie», dicono i legali, dal 10 gennaio impossibilitati a incontrarla perché troppo debole per camminare fino all’area visitatori del carcere.

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