Palestina. La regione del mondo in cui
si sperimenta sui corpi vivi di una popolazione occupata, la possibilità di
uccidere in violazione di ogni norma etica e giuridica senza perdere il
rispetto dei governi democratici e la tolleranza delle Istituzioni
Internazionali e sovranazionali.
Numerosi video girati clandestinamente
arrivano tramite la rete a far conoscere l’incredibile, ma sembra che il loro
contenuto sia visibile solo agli attivisti per i diritti umani e sfumi nelle
nebbie dell’indifferenza senza raggiungere la vista di chi dovrebbe fermare lo
Stato più “deliberatamente assassino in assenza di guerra” che questo secolo e
il precedente abbiano conosciuto.
L’ultimo video in proposito mostra un
ragazzo disarmato, circondato da cinque o sei militari israeliani che dopo
averlo schernito per un po’, decidono di sparargli a freddo uccidendolo, così,
senza motivo. Non è il primo video del genere e quei militari sanno che al pari
dei tanti loro commilitoni che hanno fatto la stessa cosa con uomini, ragazze e
addirittura bambini, non subiranno alcuna punizione e quindi possono spezzare
la noia del loro servizio “di sicurezza” ammazzando il palestinese di turno.
A Gaza uccidono chi chiede la fine
dell’assedio, e a farlo sono tiratori scelti assoldati ad hoc. Bombardano
edifici del governo locale suggerendo ai media l’espressione ormai consolidata
di “colpite postazioni di Hamas” come fosse normale e, anzi, come ci fosse
una guerra la quale, se realmente ci fosse, autorizzerebbe le forze militari
gazawe a “colpire postazioni di Israele”. Ma la logica lascia il posto
alla coazione a ripetere basata su una sola semplice e vincente parola
d’ordine: Israele ha diritto alla sicurezza.
Mentre oggi, nel 42° venerdì della
“Grande marcia” per la rottura dell’assedio, le milizie israeliane hanno
seguitato a prendere di mira ambulanze e giornalisti in totale disprezzo del
reato di crimine di guerra, facendo numerosi feriti tutti inermi e uccidendo
Amal Mustafa Taramsi, una donna di 43 anni; mentre l’aviazione ha bombardato
alcuni edifici governativi riducendoli in macerie; mentre in Cisgiordania in
questi giorni è stata “inaugurata” una strada divisa in due da un alto muro per
separare i palestinesi dai coloni ebrei e impedirgli di raggiungere Gerusalemme
e di viaggiare liberamente nella propria terra, praticamente applicando in
forma assolutamente indiscutibile l’ apartheid, sebbene col cartellino ad usum
delphini e valletti di “sicurezza per Israele”, mentre tutto questo e molto
altro, quali arresti arbitrari, ferimenti, violenze e mortificazioni gratuite
seguitano a tormentare la Palestina, nell’ America di Trump si è arrivati alla
farsa del servo che per compiacere il padrone lo supera in zelo.
Parliamo del ritiro del premio
“Fred Shuttlesworth” per i diritti umani attribuito alla docente
universitaria Angela Devis dal Birmingham Civil Rights
Institute dell’Alabama. Il premio, già assegnato, è stato revocato, come
dichiarato dal sindaco di Birmingham, Randall Woodfin, su richiesta
della comunità ebraica locale a causa del sostegno di Angela Davis ai
diritti dei palestinesi. Non importa che la docente sia stata molto attiva
nella lotta all’antisemitismo come forma di razzismo nel suo paese, il sostegno
ai palestinesi privati del godimento dei diritti umani è considerato dalla
comunità ebraica locale – evidentemente longa manus del razzista Stato ebraico
dell’apartheid – un delitto che non ammette premi.
A questo punto ci si torna a chiedere da
dove nasce tanto potere, capace di asservire i rettori delle università
italiane (come verificatosi in diverse occasioni), di tacitare istituzioni che
dovrebbero avere la “democrazia” quale loro garanzia di libertà di espressione,
di far vincere premi ad hoc e addirittura di revocare premi già attribuiti
riducendo la dignità della giuria a melma accondiscendente priva di ogni
autorevolezza.
Possibile che le lobbies ebraiche
abbiano davvero tanto potere? Possibile che opporsi al loro arbitrio comporti
rischi tali che solo chi possiede una dignità ferrea e inattaccabile sia
disposto a correre?
Tutto questo ci porta ad osservare che
mentre quel che succede ogni giorno in Palestina riguarda i palestinesi e solo
in secondo luogo riguarda tutti gli umani sensibili all’ingiustizia, al pari di
quel che succede in altre disgraziate parti del mondo, quello che riescono a
fare le lobbie ebraiche va invece oltre e, come dice Angela Davis, è un attacco
“contro lo spirito stesso dell’indivisibilità della giustizia” e in
quanto tale ci riguarda davvero tutti, almeno tutti quelli che credono nella
democrazia e in uno dei suoi pilastri: la libertà di espressione.
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