Bahia Amawai è una cittadina
statunitense e una logopedista texana che aiuta bambini autistici e non udenti
a superare la loro disabilità.
Nonostante la fondamentale e nobile
natura del suo lavoro, è stata licenziata dal distretto scolastico indipendente
di Pflugerville, che fornisce servizi nella zona di Austin.
Ogni anno Amawai firma un contratto
annuale che le consente di svolgere la propria attività senza interruzioni.
Tuttavia quest’anno qualcosa è cambiato.
Incredibilmente il distretto scolastico
ha deciso di aggiungere al contratto una clausola che chiede agli insegnanti e
ad altri dipendenti di impegnarsi a non boicottare Israele “per tutta la durata
del loro contratto.”
L’“impegno” ora è parte della sezione
2270.001 del codice del governo del Texas ed è stabilito nel contratto con una
formulazione chiara, in modo che chi desidera lavorare o continuare a
conservare un impiego con il governo del Texas non trovi alcuna scappatoia per
evitare di essere penalizzato:
“‘Boicottare Israele’ significa
rifiutarsi di aver a che fare con, interrompere attività economiche con o
comunque prendere qualunque iniziativa che intenda penalizzare, infliggere un
danno economico o limitare i rapporti commerciali espressamente con Israele o
con una persona o un ente che faccia affari in Israele o nel territorio
controllato da Israele…”
Il fatto che il Texas consideri
inaccettabile persino il boicottaggio di attività economiche che avvengono
nelle colonie ebraiche illegali nella Cisgiordania occupata lo mette in
contrasto con le leggi internazionali e di conseguenza con la grande
maggioranza della comunità internazionale.
Ma non esprimiamo subito un giudizio
affrettato, condannando il Texas per essere l’infame e stereotipato “selvaggio
West”, come dipinto persino negli stessi mezzi di comunicazione degli Stati
Uniti. Infatti il Texas non è che una piccola parte di una massiccia campagna
governativa americana intesa a soffocare la libertà di parola come sancita
dalla stessa costituzione del Paese.
Venticinque Stati degli USA hanno già
approvato leggi contro il boicottaggio di Israele o hanno emesso decreti che
prendono di mira le reti di appoggio al boicottaggio, mentre altri Stati stanno
per seguirne l’esempio.
A livello del governo federale, la legge
contro il boicottaggio di Israele del Congresso, accolta con entusiasmo dai
parlamentari USA, intende sanzionare e incarcerare chi boicotta Israele.
Mentre c’è una forte opposizione della
società civile contro così evidenti violazioni dei principi basilari della
libertà di parola, quelli che fanno campagna a favore di Israele sono
impazziti.
Il Texas – che ha approvato e messo in
pratica leggi che criminalizzano l’appoggio al boicottaggio di Israele, come
sostenuto dal movimento della società civile palestinese per il Boicottaggio il
Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) – continua a indicare la strada ad altri
Stati.
Nella città texana di Dickinson, che lo
scorso anno è stata devastata dall’uragano Harvey, alle vittime dell’uragano è
stato chiesto di firmare un impegno a non boicottare Israele in cambio di aiuti
umanitari di primo soccorso.
Per gli abitanti sfollati della città
dev’essere stato assolutamente sconcertante apprendere che le misere provviste
che stavano per ricevere dipendevano dal loro appoggio al governo di estrema
destra del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Ma al momento questo è il triste stato
della democrazia negli USA, in cui gli interessi di un Paese relativamente
piccolo e lontano sono diventati il centro delle politiche del governo USA, in
patria e all’estero.
I facoltosi sostenitori di Israele
stanno lavorando mano nella mano con gli influenti gruppi della lobby
israeliana a Washington, ma anche a livello statale e persino cittadino per
fare in modo che il boicottaggio di Israele sia punibile per legge.
Molti politici USA stanno rispondendo
all’insensata richiesta della lobby di criminalizzare in tutto il Paese il
dissenso politico. Benché in realtà a molti di loro non interessi affatto o non
comprendano neppure realmente la natura del dibattito relativo al BDS, essi
sono disposti a fare uno sforzo in più (fino a violare la sacralità del loro
stesso sistema democratico) per guadagnarsi il favore della lobby, o almeno per
evitarne la collera.
Negli USA la campagna contro il BDS è
iniziata seriamente pochi anni fa e, a differenza della strategia del BDS, ha
evitato tentativi dal basso, concentrandosi invece sulla rapida creazione di un
organismo ufficiale per il lavoro legale che metta sul banco degli imputati chi
boicotta Israele.
Benché il linguaggio giuridico messo
insieme in fretta e furia sia stato coraggiosamente sfidato e, a volte,
completamente ribaltato dagli avvocati e dalle organizzazioni della società
civile, la strategia israeliana è riuscita a mettere sulla difensiva i
sostenitori del BDS.
Questo limitato successo può essere
attribuito ai potenti amici di Israele che hanno risposto generosamente ed
energicamente ai tamburi di guerra di Tel Aviv.
Il magnate del gioco d’azzardo di Las
Vegas Sheldon Adelson ha impugnato le redini del comando. Ha preso l’iniziativa
formando l’“Unità Operativa Maccabea”, che ha raccolto milioni di dollari per
lottare contro quello che fonti ufficiali israeliane definiscono come una
minaccia letale per Israele e la delegittimazione del Paese come “Stato
ebraico”.
Una delle principali strategie che il
campo israeliano ha proposto nella discussione è l’ingannevole nozione che il
BDS chieda di boicottare gli ebrei, invece del boicottaggio di Israele in
quanto Stato che viola le leggi internazionali e numerose risoluzioni delle
Nazioni Unite.
Un Paese che pratica il razzismo come se
nulla fosse, difende la segregazione razziale e costruisce muri dell’apartheid
non merita altro che il boicottaggio totale. Questo è il livello minimo di
responsabilità morale, politica e giuridica, considerando che gli USA, come
altri Paesi, hanno l’obbligo di onorare e rispettare le legge internazionali a
questo proposito.
Tuttavia gli USA, incoraggiati dalla
mancanza dell’obbligo di pagarne le conseguenze, continuano a comportarsi allo
stesso modo di Paesi che Washington attacca in continuazione per il loro
comportamento antidemocratico e per la violazione dei diritti umani.
Se eventi così bizzarri – il
licenziamento di insegnanti e il fatto di subordinare l’aiuto in base a prese
di posizione politiche – avvenissero per esempio in Cina, Washington avrebbe
guidato una campagna internazionale di condanna dell’intransigenza e della
violazione dei diritti umani da parte di Pechino.
Molti americani devono ancora
comprendere come la sudditanza degli Stati Uniti ai voleri politici di Israele
stia pregiudicando la loro vita quotidiana. Ma con sempre maggiori restrizioni
legali di questo tipo, persino l’americano medio si ritroverà presto a lottare
per diritti politici basilari che, come Bahia Amawai, ha sempre dato per
scontati.
Sicuramente Israele può aver avuto
successo nell’obbligare alcune persone a non impegnarsi apertamente
nell’appoggiare il BDS, ma alla fine perderà anche questa battaglia.
Soffocare le voci della società civile
raramente funziona per molto tempo, e la campagna anti-BDS, che ora è arrivata
al cuore del governo USA, è destinata prima o poi a suscitare un dibattito a
livello nazionale.
Difendere l’apartheid israeliana è più
importante per gli americani che conservare la natura fondamentale della loro
democrazia?
Questa è una domanda a cui ogni
americano, indipendentemente da quello che pensa dell’apparentemente lontano
conflitto mediorientale, deve rispondere, e con urgenza.
Le opinioni esposte in questo articolo sono dell’autore e non riflettono
necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.
(traduzione di Amedeo Rossi)
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