La deportazione di Castelnuovo di Porto (notizia) è il segnale chiaro che ci
dovremo abituare senza tregua a un linguaggio violento che ha radici in
pensieri volgari, alimenta visioni drammatiche e origina azioni disumane. Ci nascondiamo dietro le analisi, i numeri, i confini, le
responsabilità altrui, i decreti. E mentre noi ci nascondiamo bambini, donne e
uomini annegano in mare o vengono condannati per strada a spogliarsi della loro
dignità.
Siamo
arroganti e bugiardi perché ci raccontiamo che tutto questo
dipende solo da e con un’irresponsabilità disumana continuiamo a non volere
considerare i motivi per cui si trovano su quei barconi o sotto un mucchio di
cartoni negli angoli delle nostre città. In un gioco al massacro dove responsabilità, risposte, visioni politiche
si sacrificano sull’altare della propaganda elettorale non facciamo
altro che sciorinare litanie che recitano come siamo bravi a contenere gli
sbarchi, a negare ogni decenza e a denunciare che, chi si affida a chi noi non
ci affideremmo mai, lo fa solo perché vuole vivere.
Parliamo di numeri e non parliamo di donne bambini,
uomini poveri, parliamo di porti e non parliamo di diritti negati, parliamo di
pacchia e non parliamo di persone massacrate dalle guerre che noi finanziamo. Parliamo di efficienza per
mascherare la mancanza di visione politica e parliamo di progresso senza
parlare di territori resi invivibili dalla nostra avidità. E alla fine parliamo
di sicurezza perché non sappiamo parlare di inclusione e accoglienza.
La verità è che in questo forzato e patetico
tentativo di vedere solo un pezzo delle cose che dovremmo vedere nascondiamo le
nostre paure e le nostre contraddizioni. Non vogliamo impedire gli sbarchi; vogliamo
impedire alle nostre coscienze di sentirsi responsabili del perché accadono,
vogliamo impedire alla nostra società di specchiarsi nelle proprie
responsabilità di fronte al fallimento dei nostri modelli di vita ormai svuotati
di qualsia capacità generatrice, vogliamo impedirci di rischiare la solidarietà
come deterrente a una deriva distruttrice, vogliamo convincerci che la violenza
e la prepotenza sono gli unici modi possibili per risolvere i problemi.
Non abbiamo paura di chi emigra o di chi è povero,
abbiamo paura di quello che siamo diventati e ce ne
vergogniamo così tanto da cercare sempre affannosamente qualcuno a cui darne la
colpa. Parlarne è troppo poco. Ma se è veramente così poco non
dovremmo temere di farlo.
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