Una missione di osservatori
internazionali, che fu istituita venti anni fa nella città occupata di Hebron,
ha prodotto uno dei rapporti interni più esaurienti ed accusatori nei confronti
della politica israeliana nella città: questo è quanto riferiscono persone che
hanno avuto modo di accedere al dossier e di parlare poi con Haaretz a
condizione di restare anonimi. Questa è la prima volta che un rapporto del TIPH
(Temporary International Presence in Hebron) viene rivelato sulla stampa.
Il dossier confidenziale del TIPH, a lungo considerato un ente senza efficacia da parte dei Palestinesi,
riporta numerose violazioni del diritto internazionale da parte di Israele e
sembra confermare il fatto che la città è lacerata da un’occupazione sia
militare che civile. A venti anni dall’istituzione di una missione che avrebbe
dovuto conferire un senso di sicurezza ed assicurare il benessere dei
Palestinesi, il rapporto avverte che la città è più divisa che mai a causa
delle politiche del governo israeliano e delle azioni dei coloni.
Secondo il documento, Israele è
colpevole di “violare sistematicamente e in maniera grave” il diritto di non
discriminazione e l’obbligo di proteggere la popolazione che vive sotto
occupazione dal rischio di deportazione. L’insediamento israeliano nella città
di Hebron è una violazione del
diritto internazionale e i “coloni estremisti” rendono la vita dei Palestinesi
molto difficile nella parte della città controllata da Israele (nota come zona
H2).
La missione TIPH fu istituita nel 1997
come parte del Protocollo di Hebron previsto dagli Accordi di Oslo, che
autorizzava il parziale ridispiegamento militare delle forze israeliane nella
parte della città di cui avevano il controllo. La missione fu successivamente
ampliata grazie al Memorandum di Wye River firmato nel 1998 da Benjamin
Netanyahu, all’epoca primo ministro per la prima volta, e dal leader
palestinese Yasser Arafat. Alcune delle persone con cui Haaretz ha parlato per
questo articolo hanno espresso il timore che la pubblicazione del rapporto
possa spingere Israele a rifiutarsi di rinnovare il mandato del TIPH nella
città, come deve avvenire ogni sei mesi.
Durante una visita a Parigi in novembre,
Netanyahu ha affermato che a dicembre avrebbe deciso “in merito al rinnovo del
mandato del TIPH”. A tal proposito il premier ha subito molte pressioni da
parte della destra affinché sia revocato il mandato degli osservatori.
Negli ultimi mesi, la missione del TIPH
è stata al centro di polemiche per due incidenti che hanno coinvolto gli
osservatori del gruppo: nel primo, uno dei dipendenti del TIPH fu filmato,
secondo la polizia, mentre perforava le gomme di un’auto appartenente ad un
colono, mentre l’altro ha visto protagonista un osservatore svizzero che è
stato deportato da Israele per aver schiaffeggiato, a quanto pare, un giovane
colono. In seguito a questi episodi, in luglio Netanyahu ha convocato il capo
della missione per una riunione.
Il rapporto di quasi cento pagine era
stato commissionato in occasione del ventesimo anniversario della missione. Una
precedente missione internazionale era stata formata dopo che nel febbraio 1994
Baruch Goldsteind aveva assassinato 29 fedeli musulmani nella Tomba dei
Patriarchi della città. Attualmente la missione consta di 64 operatori
internazionali provenienti da cinque nazioni che finanziano la loro presenza:
Italia, Norvegia, Svezia, Svizzera e Turchia, dopo il ritiro della Danimarca.
La missione sottopone i suoi rapporti solamente ai rispettivi paesi d’origine e
alle autorità palestinesi ed israeliane, senza renderli pubblici.
Il TIPH ha una reputazione controversa.
Ad Hebron lo chiamano ironicamente “ Tutti gli impotenti
che Pattugliano Hebron” giocando con le iniziali della
missione. Tuttavia, nonostante abbia un potere limitato, il TIPH ha sicuramente
una reputazione migliore di tante altre organizzazioni internazionali che
operano nell’area. Le organizzazioni no-profit e per la difesa dei diritti
umani che operano nella zona sono spesso accusate dalle autorità israeliane di
essere anti-israeliane o di sinistra. Il TIPH è diverso: i membri della
missione si incontrano periodicamente con le forze di difesa israeliane e con i
funzionari dell’amministrazione civile israeliana; possono muoversi liberamente
in una città nota per le sue restrizioni alla mobilità; ma, soprattutto, il
gruppo ha operato ad Hebron per più di vent’anni con l’autorizzazione
israeliana.
Un altro degli obiettivi della missione
è quello di aiutare la promozione e la realizzazione di progetti finanziati dai
paesi donatori e di incoraggiare la crescita e lo sviluppo economico della
città.
“Dure e
sistematiche”
Alla fine del 2017, il TIPH ha
realizzato uno dei lavori più significativi dalla sua istituzione: un rapporto
che include i suoi venti anni di monitoraggio e che punta i riflettori sui
problemi e sulle tendenze identificate dal gruppo.
Il dossier si basa, fra l’altro, su più
di 40.000 “rapporti di incidenti” compilati dagli osservatori TIPH nel corso
degli anni e giunge alla conclusione che la città si sta muovendo nella
direzione opposta da quella auspicata da Israele e dall’OLP nel Protocollo di
Hebron.
Quest’ultimo fu firmato nel 1997 e
divide Hebron in due parti: H1, l’area controllata dall’Autorità Palestinese
che comprende circa l’80% della città e 175.000 Palestinesi; H2, l’area
controllata da Israele in cui 500/800 coloni vivono a fianco di 40.000
Palestinesi.
Secondo il dossier, Israele sta violando
il diritto di non discriminazione sancito dalla Dichiarazione Internazionale
sui Diritti Civili e Politici, ratificato da Israele nel 1991. I Palestinesi
che vivono nell’area sotto controllo israeliano (H2) non godono della libertà
di movimento né di quella di culto, due evidenti violazioni dei loro diritti.
Inoltre il TIPH afferma che Israele viola sistematicamente l’Articolo 49 della
Convenzione di Ginevra (IV), che proibisce la deportazione delle persone
protette (cioè quelle che vivono sotto occupazione e non sono cittadini del
paese occupante) fuori dal territorio occupato.
Un diplomatico che ha avuto accesso al
dossier ha riferito ad Haaretz che vi si legge: “questo diritto umano basilare
è violato sistematicamente e in maniera sempre più grave ai danni dei
Palestinesi di Hebron, soprattutto quelli che risiedono in H2, per quanto
riguarda la mancata libertà di movimento e di culto.”
Il rapporto afferma che una “vita
normale”, soprattutto nel centro storico di Hebron, all’interno dell’area H2
controllata da Israele, non si trova da nessuna parte, facendo riferimento al
mandato del TIPH secondo il quale la missione “assiste nel monitoraggio e
nell’impegno a mantenere una vita normale nella città di Hebron”. Inoltre, il
vecchio mercato ortofrutticolo palestinese è diventato un’area militare
israeliana, spesso occupata dai coloni ed utilizzata come parco giochi per i
loro figli, come riportato nella relazione.
Il rapporto contesta anche certe
rivendicazioni di proprietà dei terreni nel centro storico di Hebron da parte
di coloni che dicono di rappresentare precedenti proprietari ebrei fuggiti od
uccisi durante il massacro di Hebron del 1929. Secondo il rapporto, gli attuali
coloni non hanno legami familiari con i precedenti proprietari, e la questione
della proprietà di terre abitate od utilizzate da ebrei prima del 1929 non è
ancora stata risolta chiaramente. A prescindere da tali rivendicazioni di
proprietà, il TIPH afferma che la presenza di qualunque insediamento israeliano
in Hebron è da considerarsi una violazione della legge internazionale.
Il rapporto riferisce anche che c’è un
esodo dall’area H2 di quei Palestinesi che si possono permettere di trasferirsi
nell’area H1, controllata dall’Autorità Palestinese, dove devono subire meno
restrizioni. Secondo il rapporto, coloro che non possono o non vogliono
lasciare l’area H2 sono costretti ad affrontare i “coloni israeliani radicali”,
sostenuti dal governo israeliano e dalle fondazioni ebraiche all’estero.
Il rapporto avverte che la suddivisione
delle responsabilità per la sicurezza nelle aree H1 ed H2 contrasta con il
protocollo di Hebron ed ostacola lo spostamento di persone, beni e veicoli
all’interno della città. Gli ostacoli e le barriere tra le due aree si sono
trasformati in una fortificazione militare che consiste in numerosi sbarramenti
e posti di blocco gestiti da forze di sicurezza israeliane, che controllano
principalmente gli abitanti palestinesi.
Il rapporto evidenzia la situazione di
Shuhada Street, probabilmente la più famosa strada di Hebron. Un tempo teatro
di un florido mercato palestinese, oggi è priva di Palestinesi e tutte le
saracinesche dei negozi sono abbassate. Secondo il rapporto, i Palestinesi non
hanno ancora il permesso di percorrere la strada in auto né di attraversarne a
piedi certe parti. Inoltre, negli ultimi 20 anni, il TIPH ha assistito
all’estensione di tali restrizioni degli spostamenti dei Palestinesi lungo
Shuhada Street ad altre zone dell’area H2.
Al contrario, gli automobilisti
israeliani possono accedere a tutte le strade dell’area H2. Poco a poco,
secondo quanto riportato, i coloni hanno avuto il permesso di costruire e di
estendere le proprie attività di insediamento, anche su territori palestinesi.
Il rapporto riferisce anche che la costruzione di infrastrutture e la
manutenzione di strade, acquedotti e vie di accesso è stata concessa in via
prioritaria ai coloni israeliani.
Il TIPH riferisce anche che un
territorio nell’insediamento di Tel Rumeida, affittato da Palestinesi per più
di una generazione, è stato chiuso secondo ordini militari israeliani ed
utilizzato per scavi archeologici, finalizzati a dimostrare la presenza ebraica
in quella zona fin dal primo secolo a.C..
Allo stesso tempo, dice il rapporto del
TIPH, la libertà di movimento dei Palestinesi che vivono a Tel Rumeida è stata
drammaticamente ridotta. Negli anni, la zona è stata chiusa e circondata da
numerosi posti di blocco, con conseguenze disastrose per i suoi abitanti
palestinesi. Ad esempio, non possono ricevere visitatori che non siano
registrati su una lista in possesso delle guardie dei posti di blocco. Il TIPH
osserva che i Palestinesi sono spesso molestati in questi posti di blocco, e
che possono trasportare cibo o altri rifornimenti nelle loro abitazioni solo a
piedi. Lo studio, il lavoro ed i rapporti familiari sono molto difficili per
questi cittadini.
Il TIPH testimonia anche come, nel corso
degli anni, siano stati tracciati sentieri e strade all’interno di aree rurali
palestinesi, per creare percorsi ad uso esclusivo di devoti ebrei diretti
dall’insediamento di Kiryat Arba al centro di Hebron. Inoltre, per ampliare
queste strade, sono stati demoliti antichi edifici palestinesi risalenti
all’era ottomana che erano situati lungo il percorso.
Gli osservatori del TIPH sottolineano
anche che i Palestinesi devono affrontare numerosi ostacoli per accedere alla
Moschea di Abramo, un sito religioso importante sia per i Musulmani che per gli
Ebrei (vi si trova anche la Tomba dei Patriarchi). Oggi ci sono solo due
accessi al luogo sacro musulmano ed i devoti sono costretti ad oltrepassare
prima diversi posti di blocco controllati da Israeliani. I devoti sono
perquisiti e talvolta costretti a sollevare le proprie vesti. Il muezzin, dice
il TIPH, non ha il permesso di chiamare i fedeli per la preghiera del venerdì
sera e del sabato a causa dello Shabbat ebraico. Gli osservatori aggiungono
che, se –in un dato venerdì del 2003– circa 1600 fedeli palestinesi
frequentavano la moschea, nel 2017 quel numero si è dimezzato.
Sebbene il rapporto sia molto critico
nei confronti di Israele, non contiene alcuna richiesta o proposta di
provvedimenti né da parte degli Israeliani né dei Palestinesi. È stato
consegnato ai ministri degli esteri dei cinque stati membri contribuenti ed è
stato recentemente presentato ai diplomatici in visita ad Hebron.
Haaretz ha invitato il TIPH a commentare
il rapporto e ha chiesto se fossero state prese eventuali iniziative sulla base
delle sue conclusioni. Un portavoce ha risposto che il loro mandato “afferma
che il TIPH assiste nel monitoraggio e nell’impegno a mantenere la vita normale
nella città di Hebron, in accordo con il protocollo di Hebron e con l’accordo
tra le parti. I rapporti sono regolarmente sottoposti alle autorità palestinesi
ed israeliane ed ai cinque stati contribuenti. Come richiesto dalle parti,
tutte le informazioni prodotte dal TIPH sono strettamente confidenziali. Il
TIPH ha un dialogo regolare con entrambe le parti.”
Haaretz ha chiesto all’Ufficio del Primo
Ministro un commento sul rapporto e sulle sue conclusioni, ma la richiesta è stata
reindirizzata al Ministero degli Esteri, che ha risposto: “Le relazioni del
TIPH non sono finalizzate alla pubblicazione. Esse sono condivise con entrambe
le parti secondo l’accordo che non prevede che esse siano trasmesse ad altre
parti, e di certo non ai mass media. Di conseguenza, non intendiamo commentare
informazioni parziali o qualunque altra pubblicazione su questo tema.”
Traduzione di Sonia Valentini e Rosaria Brescia
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