Un giallo si è svolto ieri a Gaza e ha visto coinvolta l’Italia. Non
sappiamo con certezza se anche gli italiani, ma l’Italia sì.
Secondo i nostri media di sicuro sono stati coinvolti anche gli italiani,
infatti basta vedere i titoli dei quotidiani, cioè “il” titolo, perché il Corriere come la Repubblica, il
Messaggero come il Giornale o il Fatto quotidiano e le agenzie di stampa hanno tutti in sostanza lo stesso titolo, una
specie di uniforme da elegante valletto al servizio dallo stesso signore.
Tutti hanno parlato di “carabinieri
italiani rifugiati nella sede dell’ONU e assediati da Hamas”. Il perfido
Hamas, cioè il partito che governa la Striscia di Gaza e che – come ci
ricorda Vincenzo Nigro su La Repubblica – “l’Italia considera un movimento terroristico con cui i rapporti
politici sono congelati.”
Noi ne prendiamo atto chiedendoci, però, come mai, se i rapporti sono congelati l’Italia manda i suoi carabinieri,
non turisti o operatori umanitari, ma rappresentanti dell’Arma, dentro la
Striscia? E come li manda? Clandestini?
Bene, corre l’obbligo di spiegare ai quattro lettori che ci seguiranno, che
Gaza è sotto assedio israeliano, illegittimo e illegale ovviamente, ma sotto
assedio e non si può entrare se
non con un permesso speciale di Israele. E fin qui certo niente di
strano, visto che il governo italiano è amico del governo israeliano. Ma poi serve anche il permesso di Hamas e per
avere il permesso di Hamas qualcuno dall’interno della Striscia deve aver fatto
la richiesta e questa richiesta deve essere accolta dalle autorità
locali, cioè Hamas e presentata alla frontiera.
Lo conoscono tutto questo iter i bravi valletti che hanno scritto i
loro articoli titolandoli tutti “carabinieri
italiani assediati da Hamas”? Forse lo sanno, ma nella
velina c’era l’indicazione di saltare questo passaggio. Forse invece
proprio non lo sanno e sono andati tutti dietro la stessa onda senza accorgersi
che stavano dando un’informazione non parziale, ma totalmente deformata, il che
è più grave che dire parziale o inesatta.
Allora ricostruiamo i fatti.
Dopo l’attentato di due mesi fa contro Nour
Barake, uno dei leader della resistenza, commesso da un commando terrorista
israeliano entrato presumibilmente di notte da un varco creato ad hoc nella rete
dell’assedio, gli addetti alla sicurezza – detti sempre security di Hamas
perché fa più effetto – avendo scoperto che il commando mascherato aveva
documenti falsi e che a Gaza erano entrati, sempre con documenti falsi, una
quindicina di agenti dei servizi segreti israeliani con scopi ovviamente non di
tipo caritatevole o umanitario, ha ristretto molto il già esiguo numero
di permessi e ha punteggiato la Striscia, soprattutto nelle due strade
principali che uniscono il nord al sud per circa 40 km, con un fitto numero di
posti di blocco. In alcune parti addirittura si possono trovare ogni 500 metri.
I posti di blocco, quelli che in Israele si chiamano comunemente check
point e che sono tristemente famosi per il numero di omicidi dovuti al grilletto
facile dei soldati dell’IDF, i posti di blocco gazawi, che al contrario di
quelli israeliani finora non si sono mai macchiati di sangue, consistono
solitamente in due blocchi di cemento e una sbarra, lasciando lo spazio perché
una vettura passi senza rimuovere la sbarra stessa, ma costringendola a
rallentare per entrare nello spazio lasciato libero. Lì ci sono di solito tre o
quattro militari che guardano il conducente e i passeggeri, qualche volta
chiedono i documenti, ma il più delle volte si affidano al loro intuito e
salutano con un sorriso. Una security che contrasta un po’ con l’idea che
la fantasia, con l’aiuto dei media, costruisce di questi militari immaginati
sempre come feroci terroristi.
Ad uno di questi posti di blocco la sera del 14 gennaio
non si sarebbe fermata una vettura con dentro tre o forse quattro uomini. Al
tentativo di fermare la vettura i passeggeri, tutti in borghese, avrebbero
estratto delle armi automatiche e sarebbero scappati forzando il blocco. Iniziava un breve
inseguimento, breve perché la vettura clandestina andava a ripararsi dentro lo
stabile delle Nazioni Unite a poche centinaia di metri e qui la vettura dei
militari palestinesi non veniva fatta entrare.
Se lo stesso fatto fosse avvenuto in Israele i
tre (o quattro) occupanti della vettura fuggitiva sarebbero stati tre (o
quattro) cadaveri crivellati di colpi, ma i feroci terroristi con i quali
l’Italia non comunica sono stati dei gentlemen e i fuggiaschi sono ancora vivi.
Una domanda che nessuno dei nostri media mainstream si è posta
pubblicamente è “perché questi
signori non hanno mostrato i documenti? Allora erano clandestini? E a servizio
di chi?” No, questo non appare nel pezzo della Repubblica, né su quello
del Corriere, su nessuno. Forse non era nell’indice della velina.
Dunque i tre (o quattro) giovani uomini, capello corto o cortissimo, aria
qualunque, anche palestinese volendo, o comunque mediterranea, potevano essere
e probabilmente lo erano spie israeliane, come i quindici precedentemente
scoperti.
Le autorità governative, dette dai media minacciosamente “Hamas”, a questo
punto fanno circondare il palazzo dell’Onu dai militari, chiedendo che venga
fornita l’identità di quei delinquenti che hanno sfondato il posto di blocco e
sparato contro la polizia locale.
Per la verità, in qualunque altro paese, Italia compresa, sarebbero stati
già arrestati, magari solo per due giorni, ma sarebbero stati arrestati subito
per i due reati commessi.
I nostri quotidiani, la nostra Lilli Gruber, i nostri cronisti televisivi e
compagnia servente, si sono tutti affannati a dire che Hamas assediava l’Onu,
dimenticando di dire che avevano il diritto di identificare i tre
trasgressori e dimenticando anche di dire che Gaza è sotto assedio e che strani
personaggi si erano infiltrati sparando contro la polizia locale o, comunque,
forzando un posto di blocco. Si sono anche dimenticati di dire che tutte
le forze politiche di Gaza, compresa Fatah, avversario numero uno di Hamas,
erano concordi in questa azione.
E’ lecito chiedersi se i personaggi della vettura in questione fossero
ubriachi, cosa molto difficile dato il divieto imposto da Hamas di far
entrare alcolici, o se fossero dei provocatori che hanno agito ad hoc per
creare un incidente e poi sviluppare un piano che al momento non ci è dato
conoscere.
Da dove sono entrati? Perché Hamas, che rilascia i permessi ai pochissimi
internazionali che possono accedere alla Striscia, non li conosceva?
Alla fine, ma solo dopo un giorno e mezzo che
deve essere stato abbastanza lungo, è venuto fuori che questi signori erano dei
carabinieri italiani in borghese. Carabinieri italiani? E perché non
hanno mostrato i documenti? E perché l’Italia, che non comunica con Gaza in
quanto governata dal movimento dichiarato terrorista di Hamas, ha mandato i
suoi carabinieri? Dalla Farnesina, attraverso il consolato a Gerusalemme
rispondono, come ci comunica sollecitamente Davide Frattini, inviato del
Corriere della Sera, che si trattava di “personale
della sicurezza italiana, entrato a Gaza per una missione ufficiale”.
Una missione ufficiale? Ma allora la Farnesina tratta con Hamas? Ma no, che
missione ufficiale poteva essere se i cosiddetti carabinieri erano in
clandestinità? C’è del giallo in tutta questa storia.
Frattini aggiunge e il Corriere lo evidenzia in neretto che “I carabinieri stavano verificando le
condizioni di sicurezza… per una visita ufficiale al monastero di
Sant’Ilarione”.
C’è del giallo sì, e non c’è neanche conoscenza dei luoghi; infatti i
giornalisti, al pari dei lettori che dovrebbero informare, non sanno che
il monastero di Sant’Ilarione si trova a Nusseirat, quindi abbastanza a sud di
Gaza city, e in realtà lì c’è un mosaico cristiano di circa 1700 anni fa
sopravvissuto miracolosamente ai criminali bombardamenti del 2014. Ma le visite ai siti archeologici non si
fanno di notte, e tornare da Nusseirat a Gaza city comporta solo
una mezz’ora, quindi come mai si trovavano a tarda sera a Gaza city? E
dove avrebbero alloggiato, visto che il valico di sera è chiuso e non avrebbero
potuto far ritorno alla loro sede a Gerusalemme? E su tutte, ancora la stessa
domanda: perché fuggire al
posto di blocco invece di fermarsi? E poi quanti posti di blocco hanno passato
da Nusseirat a Gaza city, ammesso che venissero dal sito archeologico, senza essere
fermati? Tutto stranissimo e, per
chi conosce Gaza, più che strano INCREDIBILE.
Intanto le voci che l’ambasciatore o il console italiano si sarebbero
incontrati con Ismail Hanyeh per risolvere la questione vengono smentite, così
come l’UNRWA smentisce che ci sia stato un assedio nella propria sede. Alla
fine, dopo circa 48 ore, le autorità della perfida Hamas rompono il cordone di
sicurezza, ovvero il cosiddetto “assedio
dei nostri carabinieri”, accettando la versione che si tratti di tre
italiani e non di tre sabotatori dei servizi segreti israeliani.
Questo viene raccontato ai lettori, ma noi vogliamo
aggiungere una chicca che i nostri media mainstrem non conoscono e che i feroci
capi di Hamas non hanno preso in considerazione. Si tratta della proposta fatta
da un docente dell’Università Islamica di Gaza, il prof. Khalid El Khalidi il
quale ha trovato che nella sua magnificenza e misericordia Dio, detto anche
Allah, ha offerto a Gaza la possibilità di liberarsi dall’assedio e di ottenere
un risarcimento monetario per le privazioni sofferte in questi anni. Il prof.
El Khalidi chiedeva infatti che i tre (o quattro) violatori della legge
venissero arrestati. Trattati ovviamente con tutte le cure, ma arrestati e se
si scopriva che si trattava di ufficiali dei servizi segreti, cosa di cui lui
era convinto, proporre uno scambio tra la loro liberazione e la fine
dell’assedio, chiedendo inoltre di risarcire Gaza e il suo popolo per
l’assedio e la distruzione derivata dalle tre massicce aggressioni
con 20 miliardi di dollari, da consegnare alla resistenza prima
dell’estradizione dei tre ufficiali.
Il prof. El Khalidi, come molti altri, seguita a non credere infatti alla
versione data dopo 48 ore e aggiunge che “Il nemico ha la capacità di mobilitare per
salvare i suoi soldati tutti gli ambasciatori e i presidenti dell’Occidente.”
Il suo pensiero è il pensiero di molti gazawi e per questo lo riportiamo, e noi
stessi abbiamo il diritto di dubitare che l’Italia si sia prestata a questo
gioco potendo contare su un’informazione mediatica telecomandata e giocando sul
fatto che la gente non sa che a Gaza non si può entrare in anonimato come
turisti qualsiasi.
In conclusione il giallo non è risolto e resta da
chiedersi perché il perfido Hamas si sia così addolcito, fino ad
accettare di credere che i tre giovanotti fossero carabinieri italiani in
borghese venuti a fare un’indagine su un sito archeologico di Gaza senza le autorizzazioni del ministero di Gaza
e senza il permesso di entrata. C’è forse dietro un ricatto? E perché
erano armati? I carabinieri in borghese non possono essere armati, soprattutto
non possono esserlo a Gaza! E seppure fossero italiani possono sempre avere la doppia cittadinanza
ed essere a servizio dello Stato ebraico, come ad esempio l’ ex-deputata di
Forza Italia e colona ebrea Nirenstein, che ha la cittadinanza israeliana
poiché, in quanto ebrea, le spetta di diritto. Diritto interno a Israele
ovviamente.
A fronte dell’abito borghese dei cosiddetti carabinieri, abbiamo l’uniforme
dei valletti mediatici e le due cose insieme spengono le domande di chi invece
avrebbe diritto a un’informazione onesta. Perciò seguitiamo a chiederci non
solo perché Hamas non ha arrestato
o non ha potuto arrestare i tre che hanno violato un bel po’ di
norme a partire dalla più banale: l’aver forzato il posto di blocco, cosa
che a un gazawo qualunque sarebbe costata l’arresto e una forte multa., ma ci
chiediamo anche perché è stata
tirata in mezzo l’Italia e perché l’Italia ha acconsentito. Un ricatto
anche qui? O forse una promessa? O semplicemente un ossequio verso un paese
amico? Potremmo eliminare, almeno in parte, i dubbi se i tre ex rifugiati, ora
liberi, apparissero in televisione a dare la loro versione facendoci conoscere
anche i loro nomi.
In assenza di ciò noi facciamo il nostro lavoro di giornale libero,
realmente libero, senza diktat né veline e senza uniformi e diciamo che questo è un giallo in cui
l’Italia, insieme ai media mainstream fa la parte del servitore che fornisce
l’alibi all’assassino.
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