Se c’è uno spauracchio che non dobbiamo temere, nel
2019, è quello dell’Europa Fortezza, insensibile alla sofferenza altrui,
arroccata attorno agli interessi degli Stati nazionali, incapace di trovare
soluzioni condivise. Banalmente,
perché quell’Europa, comunque vadano le elezioni europee esiste già. La
prova regina ce la regala la vicenda, tragica e surreale assieme, delle navi
delle organizzazioni non governative tedesche Sea-Watch
e Sea-Eye, con 49 richiedenti asilo a bordo, per dodici giorni in balia del
mare grosso, senza porto sicuro in cui approdare.
Nessuno li vuole. Non l’Italia del truce Salvini, ma
nemmeno la Francia del liberale Macron, o la Spagna del socialista Sanchez, né
tantomeno la vicinissima Malta. Al solito, per togliere tutti dai guai, se li
prenderebbero trenta città tedesche - Berlino, Amburgo, Brema, le principali -
ma la Germania, se la geografia non è un’opinione, non ci risulta abbia porti
nel Mediterraneo. Basterebbe, insomma, che un Paese europeo facesse carico di
far attraccare i migranti. Basterebbe
un briciolo di pietà umana - a proposito di radici cristiane, a proposito di
ideali progressisti - per quarantanove poveracci, della loro fuga dalla
guerra e dalla miseria, della loro permanenza nei centri di detenzione libici,
dell’orrore che hanno vissuto.
Accusateci pure di
qualunquismo, di fare di tutta l’erba un fascio. Ma se queste sono le premesse
non vediamo differenze tra fascisti e socialisti, tra popolari e sovranisti,
tra Salvini, Orban, Le Pen e gli alfieri a parole della società aperta
Niente di niente, invece. E ci dispiace, ma il
fallimento della nostra civiltà - non dell’Unione, non degli Stati Nazione -
sta tutta qua. Nell’aver rubricato la solidarietà a buonismo. Nell’incapacità di
affrontare non tanto la sfida epocale dello sviluppo economico, sociale, umano
del continente più povero del pianeta che confina con quello più ricco, ma
anche, soprattutto, ogni minima micro-crisi che avviene sulla faglia di queste
due placche. Nell’aver abbandonato ogni idealità politica, ogni visione del
futuro, ogni afflato ideale - noi che siamo stati la culla di ogni ideologia di
cui si è sinora nutrito il pianeta - in cambio del quieto vivere, o meglio di
una lenta e dolce morte di vecchiaia. Noi,
quelli di Schengen e delle frontiere aperte nel cuore del Mundus Furiosus, che
celebriamo come successi politici le frontiere chiusa a tripla mandata grazie
agli accordi con la Turchia e con la Libia.
Se le cose vanno così, le prossime elezioni europee
non serviranno a nulla. E accusateci pure di qualunquismo, di fare di tutta l’erba un fascio.
Ma se queste sono le premesse - siete ancora in tempo a smentirci, sia chiaro
- non vediamo differenze tra fascisti e
socialisti, tra popolari e sovranisti, tra Salvini, Orban, Le Pen e gli alfieri
a parole della società aperta. Tutti bravi, bravissimi, a puntare
il dito contro il babau rossobruno, a paventare
la minaccia dell’Europa dei muri. Tutti altrettanto bravi a erigerli, a uso e
consumo della loro sopravvivenza politica e del quieto vivere dei loro canuti
elettori.
A proposito di sopravvivenza: un ex ministro dell’interno italiano, Marco
Minniti - deprecabile quanto volete, sicuramente molto più intelligente e
consapevole di chi gli è succeduto - ha detto che il futuro dell’Africa sarà lo specchio del futuro
dell’Europa. Se l’Africa conoscerà il benessere, pure noi lo ritroveremo. Se
l’Africa sarà colonizzata dai cinesi, noi loro saremo. Se l’Africa sarà fucina
di estremismi e terrorismi, noi ne saremo vittima. Se continuerà a essere
disperata, noi continueremo a esserlo. Se conoscerà il benessere, noi lo
ritroveremo. Attenzione, quindi: stiamo
chiudendo le porte agli uomini, ma il nostro destino ce lo stiamo già portando
in casa. Basta che sia chiaro.
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