1. Quando il presidente Mattarella, il 4 ottobre
dello scorso anno, aveva firmato il Decreto Legge “immigrazione e sicurezza”
n.113/2018, allegando al provvedimento una lettera in
cui si avvertiva «l’obbligo di sottolineare che, in materia», «restano ‘fermi
gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non
espressamente richiamati nel testo normativo», non si poteva prevedere che il
provvedimento sarebbe stato convertito in legge con un testo ancora più
restrittivo (inserendo una lista di “paesi terzi sicuri”) e con procedure tali
da snaturare il ruolo del Parlamento, previsto nella nostra Costituzione. Il
Presidente della Repubblica ricordava in particolare “quanto direttamente
disposto dall’art. 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni
internazionali assunti dall’Italia”.
Nell’articolo
10 della Costituzione si stabilisce il principio della riserva di legge in materia di
immigrazione ed asilo e si aggiunge che “lo straniero, al quale sia impedito
nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite
dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della
Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa
l’estradizione dello straniero per reati politici”.
Lo strumento del maxi-emendamento presentato dal governo abbinato al
voto di fiducia su quello che è stato subito definito come “il Decreto Salvini”
ha impedito un effettivo confronto parlamentare, escludendo qualsiasi
approfondimento da parte delle Camere, costrette a votare senza avere spesso piena
conoscenza dei testi da approvare nel giro di qualche ora. Come si è verificato
anche nel caso dell’approvazione della legge di bilancio, con un procedimento
sul quale il prossimo 9 gennaio sarà chiamata a pronunciarsi la
Corte Costituzionale.
Malgrado l’avvertimento della Presidenza della Repubblica la Legge n.132 di conversione del decreto “sicurezza”,
approvata il primo dicembre 2018, ed in vigore dal 4 dicembre,
rimane un
coacervo di misure legislative che abbattono i diritti di difesa e le garanzie
in materia di libertà personale, cancellano la protezione umanitaria, aumentano
i casi di detenzione dei richiedenti asilo. Si prevede l’apertura di numerosi
centri di detenzione (CPR, centri di permanenza per i rimpatri) nelle diverse
regioni italiane, consentendo il trattenimento amministrativo in luoghi diversi
a disposizione delle autorità di polizia. Si riduce l’accesso dei richiedenti
asilo e di coloro che già godono della protezione umanitaria ai diritti sociali
(salute, abitazione, istruzione, lavoro), per non parlare dei provvedimenti in
materia di sicurezza ( blocchi stradali, occupazioni abitative, DASPO urbano)
tutti aspetti che comportano rilevanti problemi di compatibilità con il dettato
costituzionale.
2. In particolare,
l’articolo 13 della legge di conversione (n.132/2018) stabilisce
che il permesso di soggiorno rilasciato al richiedente asilo costituisce un
documento di riconoscimento ma non basterà più per iscriversi all’anagrafe e
quindi avere la residenza. Questa circostanza
potrà avere effetti pregiudizievoli per tutti i casi di scadenza del permesso
di soggiorno. A causa della nuova legge, infatti, alla scadenza del permesso di
soggiorno per motivi umanitari i cittadini stranieri potrebbero essere
cancellati dall’anagrafe. La norma colpirebbe anche i minori non accompagnati, la maggior parte dei
quali ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
In sostanza, i Comuni non potranno più rilasciare a chi ha un permesso di
soggiorno per richiesta asilo, la carta d’identità ed erogare servizi come
l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale (quindi l’Asl) o ai centri per
l’impiego, che verranno assicurati solo nel luogo di
domicilio, visto che non c’è più la residenza, come un Centro di accoglienza
straordinaria o un Centro permanente per il rimpatrio.
Ognuno dei nuovi permessi di soggiorno, incluso quello per cure mediche,
non prevede più l’iscrizione del titolare al servizio sanitario nazionale, come
invece è previsto dal vigente art. 34 d. lgs. n. 286/1998 per il p.s. per
motivi umanitari (che invece la riforma modifica proprio su tale aspetto), il
che relega questi stranieri al solo accesso alle cure mediche urgenti ed
essenziali ambulatoriali o ospedaliere previste dall’art. 35 d. lgs.n. 286/1998
e comporta manifeste illegittimità costituzionali per l’irragionevole
restrizione, in violazione dell’art. 3 Cost., della attuazione piena dell’accesso
al diritto alla salute previsto dall’art. 32 Cost.
Per il sindaco di Palermo Orlando, la mancata
iscrizione all’anagrafe potrebbe impedire, tra gli altri diritti sociali,
l’effettivo godimento del diritto alle cure sanitarie, nel quadro di un
provvedimento che presenta numerosi aspetti dubbi sotto il profilo della
costituzionalità. Per queste ragioni il sindaco ha impartito, ai competenti
uffici comunali, “la disposizione di sospendere, per gli stranieri
eventualmente coinvolti dalla controversa applicazione della legge, qualunque
procedura che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con
particolare, ma non esclusivo, riferimento alle procedure di iscrizione della
residenza anagrafica”.
“Il nostro non è un atto di disobbedienza civile né di
obiezione di coscienza, ma la semplice applicazione dei diritti costituzionali
che sono garantiti a tutti coloro che vivono nel nostro paese”, ha aggiunto
Orlando. Che ha aggiunto “siamo davanti a un provvedimento criminogeno. Ci sono
migliaia, centinaia di migliaia di persone che oggi risiedono legalmente in
Italia, pagano le tasse, versano contributi all’Inps e fra qualche
settimana o mese saranno senza documenti e quindi illegali. Questo significa
incentivare la criminalità, non combatterla o prevenirla”.
“Ho dato incarico al capo ufficio legale del Comune di adire davanti al
giudice civile per sottoporre la questione del decreto Salvini”, ha affermato
Orlando, aggiungendo :”io vado davanti al giudice civile perché siccome
non posso andare direttamente alla Corte costituzionale, mi rivolgo
direttamente al giudice civile. Un sindaco cosa fa? Solleva la questione in un
processo e, quindi, io andrò davanti al giudice dei diritti della sezione
civile e chiederò un’azione sulla conformità della norma”.
Altri sindaci italiani, da Napoli a Firenze, hanno
seguito l’esempio del sindaco di Palermo, ma si deve ricordare anche come alcuni
sindaci della Lega e del Movimento Cinque Stelle si siano allineati al ministro
Salvini sulla applicazione immediata del provvedimento senza rilevare alcun
dubbio di costituzionalità. Una questione che potrebbe portare l’Anci (Associazione
dei comuni italiani) alla spaccatura. Effetto del resto
della politica di questo governo contrario a tutti i corpi intermedi e alle
formazioni sociali previste dalla Costituzione, nel tentativo di fondare un
rapporto diretto con il “popolo”. Una visione appunto populista, connotata
anche da sprazzi di “sovranismo”, con i “me ne frego” di
Salvini, temporaneamente accantonati per una precisa tattica di attesa dei
risultati delle prossime elezioni europee. Che Salvini sembra sicuro di vincere
in Italia e con le formazioni sovraniste presenti in altri paesi, a livello
europeo. Ma a
sorpresa la “ribellione” dei sindaci potrebbe estendersi anche nelle regioni
settentrionali.
In Friuli Venezia Giulia sta valutando di seguire
l’esempio di Palermo e Napoli il sindaco di Palmanova, Francesco Martines. “Quello di Orlando è
un atto politico molto forte per denunciare una legge incostituzionale in
alcune sue parti e che calpesta i principali diritti umani. Oltre tutto, genera
più insicurezza di quella che dice di combattere – dice – Mi auguro che l’Anci
nazionale apra un tavolo di discussione per rivedere questa norma. Se il
contrasto fra Sindaco e Stato aprirà un contenzioso che porti a sollevare
l’incostituzionalità di alcune parti della legge, ben venga il gesto di
Orlando”. Il Sindaco di Palmanova ha poi aggiunto, “Studierò bene la legge e il
provvedimento del sindaco di Palermo. Se ci saranno gli estremi e se così
facendo non creerò problemi ai responsabili del servizio anagrafe non
applicherò l’articolo 13 della legge 132 quello che definisce che il permesso
di soggiorno rilasciato al richiedente asilo non sia più sufficiente per
iscriversi all’anagrafe e risiedere nel comune. Ritengo giustificata la
disobbedienza civile in casi in cui per ragioni politiche si violino diritti
sanciti dalla Costituzione. Palmanova – chiosa Martines – rimane un a città
accogliente che guarda ai diritti delle persone indipendentemente dalla loro
provenienza.
Per il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, «il decreto sicurezza lascia
aperto un vulnus rispetto a stranieri e richiedenti asilo che non riescono a
fare le cose più basilari», ma «bisogna capire qual è il percorso». Si deve
osservare che le posizioni dei sindaci che rilevano questioni di
costituzionalità relative alla legge 132/2018 sono ancora piuttosto variegate.
3. Non appena si è diffusa la notizia della
disobbedienza di alcuni sindaci, peraltro su aspetti specifici della legge
n.132/2018, si è scatenata l’ennesima gazzarra politica innescata, soprattutto
sui social, dalle dichiarazioni del ministro Salvini, fiancheggiato ancora una
volta da Luigi Di Maio, con il contorno dei pareri di esperti, messi in onda a
reti unificate, che, forse senza conoscere appieno l’esatta portata delle
decisioni dei sindaci “disobbedienti”, hanno bocciato l’idea che questi sindaci
non applicassero la legge. Senza cogliere che, in questo caso, non si
trattava di disapplicare in blocco una legge dello stato, o di fare ricorso
diretto alla Corte Costituzionale (potere che i sindaci evidentemente non
hanno) ma di
sospenderne temporaneamente l’applicazione, nei punti in cui appariva più dubbia
la sua costituzionalità, e in materie sulle quali i comuni (e le
regioni) hanno ampi poteri discrezionali, in vista di un pronunciamento della
magistratura, riservandosi successive valutazioni a seconda dell’orientamento
dei giudici, fino alla verifica della Corte Costituzionale.
Il leghista, prima che ministro dell’interno, Salvini, già istigatore di
atti di disobbedienza a leggi dello stato (in materia di unioni civili) e a
norme di diritto internazionale (nel caso Diciotti), ha sfruttato l’occasione
per rilanciare la sua campagna elettorale in vista delle prossime elezioni
europee, a fronte della oggettiva difficoltà in cui si trova il suo ministero,
e l’intero governo, ancora nella totale incapacità di dare attuazione a tute le
promesse elettorali (500.000 espulsioni) e alle misure di detenzione e di
allontanamento forzato (di impatto minore persino rispetto agli scorsi anni) e
di garantire un funzionamento dignitoso ed economicamente sostenibile del
sistema di accoglienza (per il quale si vorrebbe dimezzare la spesa). Un
fallimento che si è tentato di risolvere con i soliti sloganlanciati sui social,
senza neppure una riunione con gli enti interessati, e tanto meno senza
riconoscere alcun ruolo attivo al terzo settore e agli operatori della
solidarietà. Per Salvini, sempre pronto ad aizzare le sue curve con un
linguaggio da stadio, “Con il Pd caos e clandestini, con la Lega ordine e
rispetto. Certi sindaci rimpiangono i bei tempi andati sull’immigrazione, ma
anche per loro è finita la pacchia!”.
Il ministro dell’interno, che dovrebbe ben conoscere la condizione
giuridica dei migranti sottoposti ai poteri delle questure e delle forze di
polizia è arrivato a definire “clandestini” persone che attualmente hanno un
permesso di soggiorno, si trovano da anni in Italia, e ora rischiano di
trovarsi irregolari per gli effetti perversi del decreto, adesso convertito
nella legge 132 del 2018. Esattamente come sono definite clandestine le persone
che in queste ore subiscono un trattamento disumano e degradante per effetto
della decisione di Salvini di “chiudere i porti”, senza alcun
provvedimento formale, che peraltro competerebbe al ministro delle
infrastrutture, ma limitandosi a omettere un atto
che gli competeva, la tempestiva indicazione di
un porto di sbarco alle navi che hanno effettuato soccorsi in acque
internazionali. Una scelta che per la magistratura inquirente rientrerebbe
nell’area della “discrezionalità politica” del ministro.
Salvini ha così ribadito la sua linea per quanto
riguarda la “disobbedienza” di alcuni sindaci sia per quanto riguarda le
navi delle ong nel Mediterraneo con migranti a bordo: “I porti italiani
sono chiusi, abbiamo accolto già troppi finti profughi, abbiamo arricchito già
troppi scafisti!”, ha detto il vicepremier. “I sindaci di sinistra
pensino ai loro cittadini in difficoltà, non ai clandestini”, ha aggiunto. La
smettano, in buona sostanza, questi sindaci di occuparsi di “clandestini”, che
poi sono quegli immigrati oggi regolari, che con le nuove norme si vuole
trasformare in “irregolari”, per costringerli alla clandestinità. In modo da
alimentare la macchina
della paura sulla quale Salvini ha costruito il suo consenso. Lo stesso concetto
espresso il 3 gennaio alla radio, in modo ancora più brutale, da Mario
Borghezio, una autentica mistificazione che mette sullo stesso piano dei
“clandestini” persone regolarmente soggiornanti da anni in Italia e naufraghi
soccorsi dopo abusi terribili subiti in Libia e dopo avere rischiato di perdere
la vita nel Mediterraneo. “Amici dei clandestini, traditori degli italiani!”,
ha poi ribadito Salvini su Facebook, riferendosi ai sindaci che si oppongono al
decreto sicurezza. Ma presto alla mistificazione si sono aggiunte le minacce. Dal ministro
dell’interno, che cade anche nell’errore di ritenere, per evidente convenienza,
che Orlando, De Magistris, Nardella ed altri avrebbero affermato di volere
disapplicare direttamente la legge 132/2018, arriva subito la minaccia: «I sindaci ne risponderanno personalmente, legalmente,
penalmente e civilmente perché è una legge dello Stato che mette ordine e
regole».
Si apre anche il fronte delle ritorsioni economiche, per
mettere la popolazione contro i sindaci “disobbedienti”, che in realtà
obbediscono però alla Costituzione italiana. Come scrivono i giornali più vicini
all’attuale ministro dell’interno, “Lo scontro tra i sindaci ribelli al decreto
Sicurezza e Matteo Salvini passerà rapidamente dal piano politico e
dell’immigrazione a quello economico, con il Viminale intenzionato a rivedere
gli stanziamenti dei fondi per i comuni per esempio per l’assunzione di nuovi
agenti di polizia municipale. Per quanto il ministro dell’Interno ha ironizzato
sul fatto che non invierà la polizia per costringere i sindaci ad applicare la
legge, il braccio di ferro rischia di ritorcersi contro gli stessi sindaci, che
potrebbero ritrovarsi ad aumentare le imposte locali pur di compensare il
taglio minacciato dal governo. La sfida di Salvini sui fondi ha valore per lo
più simbolico, visto che il ministro non ha potere diretto per tagliare i fondi
previsti tanto dal decreto quanto dalla manovra economica. Il ministro leghista
però punta a costringere i sindaci a rinunciare ai soldi concessi dallo
Stato”. Sempre secondo la stampa che fiancheggia il ministro dell’interno,
”Palermo per esempio dovrebbe rinunciare a quasi 3 milioni di euro, come
riporta il Corriere della sera: 168.750 euro per “scuole sicure”, mentre il
Fondo sicurezza urbana stanzia 122.848 euro per il 2018, 1.256.400 euro per il
2019 e 837.600 euro per il 2020, ai quali si aggiungono 596.275 euro come
contributo statale per la videosorveglianza. Ben più pesante sarebbe la
rinuncia di Luigi de Magistris per Napoli, dove sono stati stanziati oltre 7
milioni di euro”.
4. Dopo le minacce del ministro Salvini sono
arrivati i pareri degli “esperti”, di presidenti o componenti della Corte
Costituzionale, e di giuristi che ormai fanno parte della squadra di governo.
Una reazione immediata che lascia presagire uno scontro molto duro anche nelle
aule di giustizia. Con esiti ancora imprevedibili, in un momento in cui è sotto
attacco anche l’autonomia della magistratura, come il caso Diciotti ha dimostrato in modo esemplare.
«Le leggi, piacciano o meno, vanno applicate. Non può esistere il “fai da
te”», queste le parole contro i sindaci “ribelli” di Giulia Bongiorno. E il sottosegretario leghista al ministero
dell’interno Nicola Molteni replica a tono: «Anche senza iscrizione anagrafica
i servizi verranno comunque garantiti. Ai minori stranieri non accompagnati non
verrà tolto nulla». Come se Molteni ignorasse che le questure hanno negato per
anni il rilascio dei permessi per minore età, (che oggi sarebbero convertibili
in altri permessi) costringendo la maggior parte dei minori non
accompagnati a presentare, spesso in ritardo di mesi rispetto allo sbarco, una
richiesta di protezione. E che, se adesso questa richiesta di protezione viene
respinta al compimento della maggiore età, tutti questi ragazzi, molti dei
quali già perfettamente inseriti nella nostra società, si ritroveranno in una
condizione irreversibile di irregolarità, non certo di clandestinità, comunque.
Perché avranno sempre accanto tutti i cittadini solidali e gli operatori umanitari
che li hanno conosciuti e sostenuti in questi anni.
5. Si è cercato di fare passare l’idea che i
sindaci si fossero semplicemente proposti di “disobbedire” alla legge, una
versione che faceva comodo per legittimare le minacce del ministro dell’interno. Si è dato così ampio
rilievo alle dichiarazioni di Cesare Mirabelli, già Presidente emerito della
Corte Costituzionale: «i sindaci devono applicare la legge – ha
detto a Tv2000 – non hanno il potere di disapplicarla se la ritengono in
contrasto con la Costituzione e non possono essi stessi direttamente accedere
alla Corte Costituzionale per farne dichiarare l’ incostituzionalità». Ma nessun sindaco aveva
proposto di fare “ricorso diretto” alla Corte Costituzionale, meno che mai il
sindaco di Palermo che ha insegnato per anni Diritto pubblico all’Università.
Secondo Mirabelli, la scelta dei sindaci ribelli costituirebbe soltanto «un
atto politico. I Comuni sono tenuti a uniformarsi alle leggi» in quanto «la
pubblica amministrazione non può sollevare questioni di legittimità
costituzionale e deve uniformarsi alla legge, a meno che non sia liberticida,
che potrebbe essere un caso eccezionale, una rottura dell’ordinamento
democratico. Bisogna vedere se si tratta di norme rispetto alle quali è
prevista un’attività del Comune che ha carattere di discrezionalità, che la
legge impone e che il sindaco ritiene di disapplicare. Se la disapplica, e in
ipotesi interviene il prefetto o un’altra autorità, sorge un contenzioso e
allora potrebbe essere sollevata una questione di legittimità costituzionale».
Le dichiarazioni di Mirabelli non sono così contrarie ai sindaci obbedienti
alla Costituzione, come si è cercato di fare credere. È esattamente questo
l’obiettivo finale perseguito dai sindaci che si oppongono all’applicazione di
alcune parti del decreto sicurezza, che contiene norme palesemente
incostituzionali, tanto da avere suscitato le perplessità della Presidente
della Repubblica, costretto alla firma del provvedimento di legge dopo giorni
di trattative. Solo che la questione di costituzionalità non sarà sollevata in
un procedimento che il Prefetto avvierà contro il sindaco inadempiente, come
spera Salvini sulla base di una norma dello stesso decreto sicurezza (art.28),
ma in un autonomo giudizio
civile che il sindaco potrà avviare per rilevare il carattere discriminatorio
della nuova normativa, sollecitando
il rinvio della questione alla Corte Costituzionale. Che spetterà
comunque al magistrato. Senza escludere altre iniziative che si potrebbero
assumere a livello internazionale, sollevando nei medesimi procedimenti civili
questioni pregiudiziali legate al contrasto tra la normativa europea e la
normativa italiana in materia di diritti fondamentali degli stranieri.
Va inoltre ricordato che, se il ministero dell’interno volesse insistere in
una linea di scontro con i sindaci, ritenendo che questi ne disapplichino
alcune disposizioni, si potrebbe arrivare all’applicazione dell’art. 142 del Decreto legislativo 267/2000 – Testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali . Con
la possibilità di ricorsi in sede amministrativa, oltre che civile, ma fino al
possibile intervento della Corte Costituzionale. E fatte salve eventuali
iniziative della magistratura penale. Sono queste le vere minacce che Salvini,
al di là del linguaggio e dei mezzi di comunicazione che usa, sta facendo
valere contro i sindaci che intendono obbedire alla Costituzione.
Articolo 142
Rimozione e sospensione di amministratori locali.
Rimozione e sospensione di amministratori locali.
1. Con
decreto del Ministro dell’interno il sindaco, il presidente
della provincia, i presidenti dei consorzi e delle comunità montane, i
componenti dei consigli e delle giunte, i presidenti dei consigli
circoscrizionali possono essere rimossi quando compiano atti
contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di
legge o per gravi motivi di ordine pubblico.
2. In
attesa del decreto, il prefetto può sospendere gli amministratori di cui al
comma 1 qualora sussistano motivi di grave e urgente necessita’.
6. L’accusa di propaganda viene poi ribaltata sui
sindaci che si sono ribellati all’applicazione della nuova normativa in materia
di iscrizione anagrafica degli stranieri, Secondo il giudice Nordio, “la
decisione del sindaco Orlando di non applicare il “decreto sicurezza”
sull’iscrizione dei migranti nel registro dei residenti, si colloca in quel
filone di matrice sofoclea, già inaugurato dal sindaco di Riace, per il quale quando
una legge confligge con le proprie idee è cosa buona e giusta violarne la
lettera e lo spirito. Naturalmente Sofocle non c’entra nulla, perché Antigone,
l’eroina che antepone le norme della sua coscienza a quelle vigenti, non solo
si trova davanti un tiranno, ma accetta le conseguenze fatali della sua nobile
disubbidienza. Mentre Orlando e gli altri sindaci che lo stanno seguendo non
solo hanno di fronte la legge di uno Stato democratico, approvata secondo la
procedura prevista dalla Costituzione “più bella dl mondo”, ma invece di
dimettersi intendono, come tutti hanno capito, trarre un ipotetico vantaggio
politico. E questo ci induce a due riflessioni di ordine giuridico. La prima,
banale, che il rispetto delle leggi non è la volatile opzione di moralisti
sospetti, ma un obbligo vincolante e positivamente sanzionato. La seconda che
il giudizio di anticostituzionalità, che giustificherebbe – sempre secondo
Orlando – la loro disapplicazione, non solo è prerogativa dell’apposita Corte,
ma costituisce una mancanza di rispetto proprio nei confronti di Mattarella
che, a rigor di norme, è il primo a delibare sulla loro conformità alla
Costituzione. Arrogarsi questo compito, come pare stiano facendo questi
sindaci, non è dunque solo un atto giuridicamente illegittimo, ma anche un
atteggiamento politicamente offensivo verso la massima carica istituzionale.
Come se fosse soltanto il Presidente della Repubblica a potere sollevare una
questione di costituzionalità e non invece tutti i magistrati della Repubblica
che, come i ministri, sulla Costituzione hanno giurato. Risuonano ancora, e
tutti dovrebbero tenerle a mente, le parole nel discorso del Presidente
Mattarella a fine anno. I sindaci hanno dimostrato il massimo rispetto nei
confronti del Presidente della Repubblica, certamente più di quanti gli hanno
imposto di firmare provvedimenti di legge approvati con gravissime torsioni
costituzionali, di cui si occuperà la Corte nei prossimi giorni, che non erano
neppure giunti in tempo al Quirinale per la dovuta verifica di conformità alla
Carta Costituzionale.
Ritorna poi l’attacco contro gli operatori solidali
che denunciano i casi sempre più frequenti di discriminazione istituzionale,
mentre dovrebbe essere noto a tutti che la situazione di dissesto di molti
comuni deriva non certo dall’accoglienza dei migranti, ma dai drastici tagli,
confermati anche nell’ultima legge di bilancio, che il governo ha imposto agli
enti locali. Con il chiaro obiettivo di scatenare una guerra tra poveri e di
azzerare le autonomie locali. Da questo punto di vista la questione della
residenza anagrafica è un terreno ideale per aizzare gli uni contro gli altri,
la solita guerra tra poveri, che giova solo a chi governa. Sempre a detta di
Nordio, “la gestione dei migranti ha sollevato, e continua a sollevare,
problemi immensi di natura finanziaria e gestionale che le varie Autorità
stentano a risolvere per mancanza di mezzi, di coordinamento e di
programmazione. Orbene, soltanto la strumentalizzazione ideologica di una falsa
solidarietà può evocare lo spettro di una discriminazione razziale, quando è
sotto gli occhi di tutti che i Comuni soffocano sotto le difficoltà di una
redistribuzione ragionevole di questa massa di stranieri approdati – senza un
criterio selettivo – nel nostro Paese”. Se Nordio o i giornalisti che ne hanno
riportato le posizioni, ma ancor meglio i cittadini che le hanno assunte,
leggessero gli atti della Commissione d’inchiesta della camera sui
centri di accoglienza per stranieri, e in particolare la relazione ispettiva sul Cara di Mineo, forse
potrebbero convincersi che il male del nostro sistema di accoglienza è stato
perpetuato proprio dal decreto sicurezza, adesso legge 132/2018, con lo
smantellamento del sistema SPRAR, sotto attacco da tempo, in favore dei centri
di accoglienza di grandi dimensioni (i Cara) come quelli, famigerati di Mineo
(CT) e di Crotone. Rimane ancora in piedi e sembra destinato ad ampliarsi
l’intero sistema dei centri per i rimpatri ( CPR) che sono una macchina
mangiasoldi, a favore dei soliti noti di fiducia del ministro di turno, un
sistema di detenzione amministrativa che, adesso che si estende fio a sei mesi
di trattenimento, si dimostrerà ancora una volta del tutto privo di impatto
pratico sulla effettività dei rimpatri, per la mancanza di accordi con i paesi
di origine, questione sulla quale l’Italia si ritrova sul banco degli accusati
in Europa.
7. Hanno sorpreso non poco le parole pronunciate da
un altro ex presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, in
un’intervista a Radio Anch’io, su Radio 1: “Non spetta al sindaco decidere di
sospendere l’applicazione di una legge se la ritiene incostituzionale ma
ricorrere all’autorità giudiziaria per chiedere che ne verifichi
l’applicabilità e nel caso l’autorità giudiziaria ne investe la Corte
costituzionale”. Esattamente quello che si propone di fare il sindaco Orlando a
Palermo, seguito da altri sindaci in Italia, sul punto specifico della
iscrizione anagrafica, senza sospendere la legge, ma limitandosi ad un doveroso
atto di cautela nel rispetto dei principi di autonomia e di fedeltà alla
Costituzione. Colpisce la circostanza che, proprio i giudici Mirabelli
e Flick , in passato, avevano espresso gravi dubbi sulla costituzionalità del
decreto “sicurezza” n.113 del 2018
Valutazioni che erano state divulgate sui media e che
oggi nessuno sembra ricordare. Ma si sa, delle
opinioni dei giuristi si riportano, in tempi di
populismo mediatico e giudiziario,
sempre quelle che convengono di più.
Per un altro magistrato, che adesso è passato a fare il sindaco di Napoli,
“Salvini sta rafforzando i temi critici dell’immigrazione nel nostro Paese
perché non fa nulla per l’integrazione, scarica tutto sui sindaci, alimenta
l’odio sociale e le tensioni che possono portare a pericolosissimi focolai”. De
Magistris rincara poi la dose. “Riguardo alle
minacce che il ministro dell’Interno rivolge ad alcuni sindaci, non vorrei
essere costretto a fargli notare che poco tempo fa, prima di diventare
ministro, egli stesso invitava platealmente i sindaci a disobbedire a una legge
dello Stato, quella sulle unioni civili”,
8. Appare necessario ricordare come tutte le
persone collegate in maniera stabile ad un determinato territorio, sia come
singoli che come componenti di una famiglia o di una convivenza, hanno diritto
ad essere iscritte all’Ufficio Anagrafico di un determinato comune. Come
richiamato dalla Corte di Cassazione (Cass., sez. II, 14 marzo 1986, n.1738),
la residenza è determinata dalla abituale e volontaria dimora del singolo
consociato in un determinato luogo per l’individuazione del quale debbono
sussistere in capo al soggetto due elementi: uno oggettivo, ossia la sua
permanenza fisica in un determinato luogo, ed uno soggettivo, ossia la
volontarietà di tale permanenza, desumibile dal comportamento tenuto dal
soggetto.
Ad avviso dell’ASGI,”L’art. 13 nella
parte in cui abroga l’iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo
appare viziata da manifesta illegittimità costituzionale per violazione del
principio di eguaglianza previsto dall’art. 3 Cost. poiché introduce una
irragionevole discriminazione rispetto agli altri stranieri in possesso di
permesso di soggiorno che, in presenza di dimora abituale o domicilio effettivo
(come quello dei richiedenti asilo), sono obbligatoriamente iscritti alle
anagrafi delle popolazioni residenti a condizione di parità coi cittadini
italiani, ai sensi dell’art. 6 d. lgs. n. 286/1998″.
Il diritto
alla residenza, ovvero il diritto ad essere iscritti alle liste anagrafiche tenute dai
comuni, si configura pertanto come un diritto soggettivo e non un interesse
legittimo e in tal senso si sono espresse anche le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione (cfr. Cass. S.U. n. 499/2000). Poiché il permesso di soggiorno
rilasciato per richiesta di asilo costituisce documento di riconoscimento ai
sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera c) del decreto del Presidente della
Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 e nessun altro documento di riconoscimento
può essere chiesto allo straniero che ha chiesto protezione internazionale per
l’accesso ai diritti riconosciuti dalla legge, la previsione di cui all’art.
13, nella parte in cui prevede che lo stesso titolo di soggiorno non
costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica, appare chiaramente
contraddittoria.
9. Andando oltre la questione della residenza
anagrafica, l’abolizione della figura generale della protezione umanitaria, con
l’abrogazione dell’art. 5 comma sesto del Testo Unico sull’immigrazione n.286
del 1998, è all’origine di tutte le questioni applicative sulle quali in questi
primi giorni dell’anno si stanno scontrando i sindaci con il ministero
dell’interno, e adesso anche all’interno dell’Anci, In particolare, per quanto
riguarda l’abrogazione dell’istituto della protezione per motivi
umanitari, va ricordato che la norma che la prevede, e tutte le
norme che la sostituiscono, potrebbero risultare in contrasto con il dettato
costituzionale. Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di
Cassazione (Cass., I Sez. Civ., 23
febbraio 2018, n. 4455),
“la protezione umanitaria costituisce una delle forme di attuazione
dell’asilo costituzionale (art. 10, terzo comma Cost.), secondo il costante
orientamento di questa Corte (Cass. 10686 del 2012; 16362 del 2016), unitamente
al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, evidenziandosi anche in
questa funzione il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle
condizioni per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione ampia
del diritto d’asilo contenuto nella norma costituzionale, espressamente
riferita all’impedimento nell’esercizio delle libertà democratiche, ovvero ad
una formula dai contorni non agevolmente definiti e tutt’ora oggetto di ampio
dibattito”.
Non si vede quindi come
il legislatore italiano possa abrogare una forma di protezione che è
direttamente attuazione di una prescrizione costituzionale. I
giudici nazionali, in assenza della previsione sulla protezione umanitaria già
disciplinata dall’art. 5 comma 6 del Testo unico sull’immigrazione n.286 del
1998 ( e successive modifiche) potranno comunque tornare a riconoscere la
diretta applicazione della norma costituzionale, come aveva già riconosciuto la
giurisprudenza. In base ad una nota sentenza della Corte di Cassazione ( Sez.
Unite, 17-12-1999, n. 907), che qualificava lo status direttamente
derivante dall’art. 10 comma 3 della Costituzione come un diritto soggettivo
perfetto, distinto e di maggiore portata rispetto al
diritto di asilo previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Anche molte vittime di tratta che,
dopo la paralisi dei progetti di protezione sociale previsti dall’art. 18 del
T.U. sull’immigrazione, ottenevano con il riconoscimento della protezione
umanitaria la possibilità di soggiorno legale e di emancipazione dalle mafie,
ricadranno nelle mani dei loro ex sfruttatori . Gli appartenenti a queste
categorie vulnerabili, che fino al 5 ottobre trovavano nel permesso di
soggiorno per motivi umanitari l’unica possibilità di mantenere una condizione
di soggiorno regolare, resteranno senza permesso di soggiorno e saranno di
nuovo preda di organizzazioni criminali e di sfruttamento quotidiano. Con
rischi sempre più consistenti di caduta nel baratro dei circuiti criminali”.
Coloro che saranno
espulsi dai percorsi di integrazione già avviati da anni, privati dei diritti
fondamentali, e del permesso di soggiorno, si troveranno a sopravvivere per
strada, utilizzando rifugi occasionali, o dormendo in case occupate, e finiranno per rischiare di essere destinatari
di incriminazione per le diverse fattispecie penali previste dal decreto legge
per tutti quei casi che appaiono particolarmente ricorrenti nel caso di
immigrati senza fissa dimora perché costretti alla irregolarità. Malgrado gli
interventi di polizia e l’aumento degli organici delle forze dell’ordine si moltiplicheranno
gli insediamenti abitativi informali, come
le tendopoli, e gli insediamenti abitativi abusivi. «Ameno ottocento nuovi senzatetto». sarà questa la
prima conseguenza del decreto relativo a sicurezza e immigrazione firmato dal
ministro dell’Interno, Matteo Salvini.Lo ha detto Pierfrancesco Majorino, assessore comunale
alle Politiche sociali del Comune di Milano.
10. ”Il criterio di territorialità, necessario portato
del principio solidaristico, dovrebbe consentire l’accesso anche dello
straniero alle prestazioni sociali e ai livelli essenziali di assistenza, a
parità di condizioni con i cittadini, in modo da rimuoverne ogni effettivo
impedimento all’inserimento nella vita civile e alla sana partecipazione al
tessuto sociale, per la tutela dei diritti fondamentali dello straniero stesso
(salute, istruzione, servizi sociali, etc.) e per la realizzazione della
dignità umana che ne è il fine ultimo, poiché, se è consentito al legislatore
regolare l’afflusso e la permanenza degli stranieri in Italia con determinate
norme e secondo determinate condizioni, non palesemente irragionevoli e non
contrastanti con gli obblighi internazionali, «una volta, però, che il diritto
a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono
discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari
limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona,
riconosciuti invece ai cittadini».
Le questioni di costituzionalità che si stanno aprendo sono dunque
molteplici e non si possono limitare alla protesta dei sindaci sulla questione
della residenza anagrafica. Le misure discriminatorie pervadono l’intera legge
Salvini n.132 del primo dicembre 2018, (conversione del decreto legge
“sicurezza”n.113/2018). Ennesimo manifesto elettorale di un movimento politico
che si propone di stravolgere l’assetto costituzionale nel nostro paese. E
adesso anche nell’applicazione del cd. reddito di cittadinanza potrebbero
emergere le stesse tendenze alla discriminazione, basate sul falso presupposto
che quello che si toglie ai migranti accresce il benessere e la sicurezza degli
“italiani”. mentre si scoprirà presto che succede esattamente l’opposto.
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