lunedì 29 maggio 2017

Liceo in quattro anni. Come viene espropriato il sapere - Carla Fabiani


Per commentare tale sperimentazione annunciata già da tempo e solo adesso messa pienamente in atto dalla Ministra Fedeli – la quale si mostra particolarmente fedele di nome e di fatto all’impianto complessivo della riforma renziana della scuola – vorrei soffermarmi sul concetto di espropriazione.
Può sembrare fuori luogo, ma occorre mettere in chiaro innanzitutto la modalità con la quale da vent’anni lo Stato italiano si sta occupando e preoccupando di rivoluzionare il nostro sistema scolastico, con un’accelerazione mai vista negli ultimi tempi (la 107, cosiddetta “Buona scuola”). Una rivoluzione dall’alto che ha come effetto essenziale e irreversibile, ormai evidente, la sottrazione di intere ore di studio – in aula e a casa – agli studenti di ogni ordine e grado, con particolare riguardo alle scuole superiori di secondo grado e soprattutto ai Licei.
Una sottrazione di tempo-studio accentuata dall’introduzione obbligatoria della cosiddetta didattica per competenze1, che marginalizza il contenuto disciplinare (le conoscenze specifiche delle singole materie: quelle che vengono chiamate nozioni in senso dispregiativo, ma che al contrario vanno rivalutate come tesoro di conoscenza e di memoria) a vantaggio di tecniche di apprendimento/insegnamento che mettano al centro del percorso di formazione il “saper fare”.
Le conoscenze possono cioè essere ridotte letteralmente in pillole, schemi, mappe concettuali, pensiero per immagini: l’importante è che siano traducibili in termini di competenze utili e spendibili fuori del contesto scolastico, cioè nel mondo del lavoro.
L’obiettivo, si dice, non è più quello di imparare qualcosa di determinato ma “imparare ad imparare”. Il saper fare di contro al mero sapere . Con particolare riguardo alle competenze linguistiche e informatiche ben sintetizzate dalla campagna pubblicitaria berlusconiana delle tre i (inglese, impresa, informatica). Tutto questo, ovviamente, viene presentato come innovazione trainante lo sviluppo del Paese2.
Con l’introduzione del POF e ora del PTOF (piani di offerta formativa), la singola scuola si presenta, in competizione con le altre scuole del territorio, proponendosi al potenziale bacino d’utenza (studenti provenenti da scuola di grado inferiore), come luogo in cui non solo e non tanto si studia sui libri in classe (e possibilmente anche a casa), ma ci si organizza fuori dalla classe, sul territorio, progettando eventi, partecipando a manifestazioni di varia natura, ricreative o pseudo lavorative, sganciate in parte o totalmente dalla didattica curricolare, che abbiano come causa finale la preparazione al mondo del lavoro, l’orientamento in uscita, il conseguimento di certificazioni utili al curriculum professionale, ovvero una educazione al problem solving, non coincidente con il classico concetto di istruzione, che al contrario riceve la sua fondazione dai concreti e specifici contenuti disciplinari, inservibili fuori dalle aule scolastiche.
Tant’è che, anche in aula, si propongono metodologie di insegnamento alternative e decostruttive rispetto alla classica lezione frontale. Da qui la pervasività di concezioni didattiche legate al coding o pensiero computazionale; ovvero semplicemente di modalità di insegnamento cosiddetto laboratoriale e/o a classe capovolta. Secondo un rovesciamento di priorità attribuite al contenitore (metodologia) piuttosto che al contenuto (conoscenze), che poi non consente a sua volta di essere nuovamente rovesciato.
A tutto questo si aggiunge come esito scontato e naturale l’introduzione dell’obbligo (per il triennio finale delle superiori) dell’alternanza scuola-lavoro: almeno 400 ore per gli Istituti tecnico/professionali e 200 per i Licei. È bene precisare che tale attività di alternanza viene fatta passare e considerata dal MIUR come equivalente alla didattica e posta come condizione sine qua non per la licenza finale. In termini molto generali, potremmo senza dubbio parlare di un vero e proprio primato del fare sul sapere . Un primato che viene – tramite le prove INVALSI – dichiarato come l’unica forma di conoscenza valutabile con criteri quantitativi e oggettivi, cioè sottratti all’arbitrio dei singoli soggetti coinvolti nel processo di apprendimento/insegnamento3.
Premesso tutto questo, in estrema sintesi, non stupisce la proposta ormai avviata di riduzione di un anno del ciclo liceale. Senza peraltro proporre una riforma dei cicli, dei programmi. Ma riducendo solo il tempo scuola. Evidenziando con ciò l’irrazionalità di fondo della proposta e l’incapacità inemendabile di chi queste cose le pensa.
Certamente, le finalità estrinseche al processo formativo riguardano il risparmio in termini di organico che se ne ricaverebbe (visto tra l’altro che la 107 non è solo una riforma dell’istruzione, ma sostanzialmente una riforma del lavoro dell’insegnante in vista di una sua flessibilizzazione, unita a meccanismi competitivi fra docenti, governati da una gestione verticalizzata da parte del Dirigente, con restrizione dei poteri decisionali dei collegi).
Non voglio soffermarmi sulla ideologia neoliberale che sottende tale piano rivoluzionario del sistema formativo, introdotto in Italia senza soluzione di continuità da parte di una classe dirigente che abbraccia diversi schieramenti, tutti concordi nella linea inaugurata da Berlinguer, che ha come nocciolo duro il sistema dell’autonomia scolastica, ovvero la mercatizzazione della istruzione di base4.
Voglio al contrario sottolineare il processo di espropriazione a cui la scuola è stata sottoposta: ma che cosa ci hanno sottratto? Il tempo e lo spazio e i contenuti concreti del sapere. Le ore complessive dedicate allo studio in aula; il tempo complessivo dedicato allo studio a casa.
Sia i progetti sia l’alternanza vengono di fatto svolti nelle ore curriculari antimeridiane ovvero nelle ore pomeridiane, mantenendo invariato il monte ore complessivo della didattica curricolare: i ragazzi dunque in quelle ore non stanno in classe oppure non possono studiare il pomeriggio a casa, perché impegnati a fare altro. Tutto ciò provoca una contrazione della programmazione e una sua inevitabile semplificazione. Per compensare cioè tale sottrazione di tempo, si intensifica e si semplifica la didattica svolta in classe.
Questo è il punto. Il tutto viene radicalizzato dalla riduzione a quattro degli anni liceali: “si tratterebbe di operare una compressione dei contenuti di studio sulla base di un’accurata analisi delle competenze irrinunciabili riferite a ciascuna disciplina. Se ci limitiamo ai licei, abbiamo un esempio a portata di mano: i licei italiani all’estero che, già oggi, hanno una durata di quattro anni. Gli studenti di questi licei svolgono nel primo anno gli argomenti che normalmente si svolgono nei primi due e, successivamente, seguono un curricolo equivalente al nostro.”5
Non si vuole qui indugiare nella retorica di chi – a ragione – rimpiange la scuola gentiliana o di chi giustamente contrappone allo stato di cose presente un modello alternativo di sapere critico o di critica del sapere, per altro già presente nella cultura italiana almeno dal Trecento in poi e che oggi, a ben vedere, viene spazzato via.
Si vuole evidenziare il processo di espropriazione delle conoscenze a cui siamo stati sottoposti – docenti e alunni – e che si aggrava anche per le modalità non democratiche e dunque in sostanza violente con cui è stato attuato dalle diverse riforme scolastiche: tutte scaturite da una supremazia oggettiva del potere governativo sul legislativo e tutte improntate implicitamente o esplicitamente all’assunto tremontiano secondo cui “la cultura non si mangia”.
Si nutre di cultura solo chi, per dotazione familiare e di classe, può permetterselo. Tutti gli altri vengono destinati a un mercato del lavoro che, in Italia e soprattutto nel Sud, richiede per lo più solo camerieri6. È per questo che dall’Europa (o dall’estero in generale) importiamo il peggio, paradossalmente proprio nel momento in cui gli altri lo stanno mettendo in discussione7.
Detto questo non stupisce certo la sperimentazione a quattro anni dei Licei. Con evidente riduzione dell’obbligo scolastico in termini di anni complessivi.
Che cosa si prevede? “ Stessi obiettivi in quattro anni invece che cinque, con esami di Stato identici ai percorsi quinquennali. Questo il contenuto della sperimentazione alla quale le scuole potranno partecipare a seguito di una apposita progettazione da presentare al Ministero che dovrà comprendere, tra le altre cose: potenziamento lingua con percorso CLIL, attività laboratoriali e tecnologie digitali, rafforzamento alternanza scuola-lavoro e progetti su mobilità internazionale.” CVD.

Note
4 Per una storia critica delle riforme scolastiche in Italia e Europa si veda: A. ALLEGRA, La dimensione europea della formazione tra competizione globale e crisi, Contropiano, atti del convegno “Formazione, Ricerca e Controriforme”, Bologna 30 aprile 2016, Anno 25, n.2 2016. Ora anche su: http://dialetticaefilosofia.it/scheda-filosofia-saggi.asp?id=66. Ma anche: http://www.roars.it/online/unaltra-scuola-per-unaltra-europa/.
5 Intervista del 2014 a Paolo Mazzoli, dirigente scolastico di una grande scuola romana che ha partecipato concretamente alla sperimentazione, collaborando con l’allora sottosegretario Marco Rossi Doria:http://www.unipd.it/ilbo/content/liceo-quattro-anni-possibile-forse-ma. Per i confronti con il resto d’Europa si veda: http://www.unipd.it/ilbo/content/durata-delle-scuole-superiori-l%E2%80%99europa-va-ordine-sparso.


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