Per commentare tale sperimentazione annunciata già da tempo e solo adesso
messa pienamente in atto dalla Ministra Fedeli – la quale si mostra
particolarmente fedele di nome e di fatto all’impianto complessivo della
riforma renziana della scuola – vorrei soffermarmi sul concetto di espropriazione.
Può sembrare fuori luogo, ma occorre mettere in chiaro innanzitutto la
modalità con la quale da vent’anni lo Stato italiano si sta occupando e
preoccupando di rivoluzionare il nostro sistema scolastico, con un’accelerazione
mai vista negli ultimi tempi (la 107, cosiddetta “Buona scuola”). Una
rivoluzione dall’alto che ha come effetto essenziale e irreversibile, ormai
evidente, la sottrazione di intere ore di studio – in aula e a casa – agli
studenti di ogni ordine e grado, con particolare riguardo alle scuole superiori
di secondo grado e soprattutto ai Licei.
Una sottrazione di tempo-studio accentuata dall’introduzione obbligatoria
della cosiddetta didattica per competenze1,
che marginalizza il contenuto disciplinare (le conoscenze specifiche delle
singole materie: quelle che vengono chiamate nozioni in senso dispregiativo, ma
che al contrario vanno rivalutate come tesoro di conoscenza e di memoria) a
vantaggio di tecniche di apprendimento/insegnamento che mettano al centro del
percorso di formazione il “saper fare”.
Le conoscenze possono cioè essere ridotte letteralmente in pillole, schemi,
mappe concettuali, pensiero per immagini: l’importante è che siano traducibili
in termini di competenze utili e spendibili fuori del contesto
scolastico, cioè nel mondo del lavoro.
L’obiettivo, si dice, non è più quello di imparare qualcosa di determinato
ma “imparare ad imparare”. Il saper fare di contro al mero sapere .
Con particolare riguardo alle competenze linguistiche e informatiche ben
sintetizzate dalla campagna pubblicitaria berlusconiana delle tre i (inglese,
impresa, informatica). Tutto questo, ovviamente, viene presentato come innovazione trainante
lo sviluppo del Paese2.
Con l’introduzione del POF e ora del PTOF (piani di offerta formativa), la
singola scuola si presenta, in competizione con le altre scuole del territorio,
proponendosi al potenziale bacino d’utenza (studenti provenenti da scuola di
grado inferiore), come luogo in cui non solo e non tanto si
studia sui libri in classe (e possibilmente anche a casa), ma ci si organizza fuori dalla
classe, sul territorio, progettando eventi, partecipando a manifestazioni di
varia natura, ricreative o pseudo lavorative, sganciate in parte o totalmente dalla
didattica curricolare, che abbiano come causa finale la preparazione al mondo
del lavoro, l’orientamento in uscita, il conseguimento di certificazioni utili
al curriculum professionale, ovvero una educazione al problem solving,
non coincidente con il classico concetto di istruzione, che al contrario riceve
la sua fondazione dai concreti e specifici contenuti disciplinari, inservibili
fuori dalle aule scolastiche.
Tant’è che, anche in aula, si propongono metodologie di insegnamento
alternative e decostruttive rispetto alla classica lezione frontale. Da qui la
pervasività di concezioni didattiche legate al coding o
pensiero computazionale; ovvero semplicemente di modalità di insegnamento
cosiddetto laboratoriale e/o a classe capovolta. Secondo un rovesciamento di
priorità attribuite al contenitore (metodologia) piuttosto che al contenuto
(conoscenze), che poi non consente a sua volta di essere nuovamente rovesciato.
A tutto questo si aggiunge come esito scontato e naturale l’introduzione
dell’obbligo (per il triennio finale delle superiori) dell’alternanza
scuola-lavoro: almeno 400 ore per gli Istituti tecnico/professionali e 200 per
i Licei. È bene precisare che tale attività di alternanza viene fatta passare e
considerata dal MIUR come equivalente alla didattica e posta
come condizione sine qua non per la licenza finale. In termini
molto generali, potremmo senza dubbio parlare di un vero e proprio primato del fare sul sapere .
Un primato che viene – tramite le prove INVALSI – dichiarato come l’unica forma
di conoscenza valutabile con criteri quantitativi e oggettivi, cioè sottratti
all’arbitrio dei singoli soggetti coinvolti nel processo di
apprendimento/insegnamento3.
Premesso tutto questo, in estrema sintesi, non stupisce la proposta ormai
avviata di riduzione di un anno del ciclo liceale. Senza peraltro proporre una
riforma dei cicli, dei programmi. Ma riducendo solo il tempo
scuola. Evidenziando con ciò l’irrazionalità di fondo della proposta e
l’incapacità inemendabile di chi queste cose le pensa.
Certamente, le finalità estrinseche al processo formativo riguardano il
risparmio in termini di organico che se ne ricaverebbe (visto tra l’altro che
la 107 non è solo una riforma dell’istruzione, ma sostanzialmente una riforma
del lavoro dell’insegnante in vista di una sua flessibilizzazione,
unita a meccanismi competitivi fra docenti, governati da una gestione
verticalizzata da parte del Dirigente, con restrizione dei poteri decisionali
dei collegi).
Non voglio soffermarmi sulla ideologia neoliberale che sottende tale piano
rivoluzionario del sistema formativo, introdotto in Italia senza soluzione di
continuità da parte di una classe dirigente che abbraccia diversi schieramenti,
tutti concordi nella linea inaugurata da Berlinguer, che ha come nocciolo duro
il sistema dell’autonomia scolastica, ovvero la mercatizzazione della
istruzione di base4.
Voglio al contrario sottolineare il processo di espropriazione a
cui la scuola è stata sottoposta: ma che cosa ci hanno
sottratto? Il tempo e lo spazio e i contenuti concreti del sapere.
Le ore complessive dedicate allo studio in aula; il tempo complessivo dedicato
allo studio a casa.
Sia i progetti sia l’alternanza vengono di fatto svolti nelle ore
curriculari antimeridiane ovvero nelle ore pomeridiane, mantenendo invariato il
monte ore complessivo della didattica curricolare: i ragazzi dunque in quelle
ore non stanno in classe oppure non possono studiare il pomeriggio a casa,
perché impegnati a fare altro. Tutto ciò provoca una contrazione della
programmazione e una sua inevitabile semplificazione. Per compensare cioè tale
sottrazione di tempo, si intensifica e si semplifica la
didattica svolta in classe.
Questo è il punto. Il tutto viene radicalizzato dalla riduzione a quattro
degli anni liceali: “si tratterebbe di operare una compressione dei contenuti
di studio sulla base di un’accurata analisi delle competenze irrinunciabili
riferite a ciascuna disciplina. Se ci limitiamo ai licei, abbiamo un esempio a
portata di mano: i licei italiani all’estero che, già oggi, hanno una durata di
quattro anni. Gli studenti di questi licei svolgono nel primo anno gli argomenti
che normalmente si svolgono nei primi due e, successivamente, seguono un
curricolo equivalente al nostro.”5
Non si vuole qui indugiare nella retorica di chi – a ragione – rimpiange la
scuola gentiliana o di chi giustamente contrappone allo stato di cose presente
un modello alternativo di sapere critico o di critica del sapere, per altro già
presente nella cultura italiana almeno dal Trecento in poi e che oggi, a ben
vedere, viene spazzato via.
Si vuole evidenziare il processo di espropriazione delle
conoscenze a cui siamo stati sottoposti – docenti e alunni – e che si aggrava
anche per le modalità non democratiche e dunque in sostanza violente con cui è
stato attuato dalle diverse riforme scolastiche: tutte scaturite da una
supremazia oggettiva del potere governativo sul legislativo e tutte improntate
implicitamente o esplicitamente all’assunto tremontiano secondo cui “la cultura
non si mangia”.
Si nutre di cultura solo chi, per dotazione familiare e di classe, può
permetterselo. Tutti gli altri vengono destinati a un mercato del lavoro che,
in Italia e soprattutto nel Sud, richiede per lo più solo camerieri6.
È per questo che dall’Europa (o dall’estero in generale) importiamo il peggio,
paradossalmente proprio nel momento in cui gli altri lo stanno mettendo in
discussione7.
Detto questo non stupisce certo la sperimentazione a quattro anni dei
Licei. Con evidente riduzione dell’obbligo scolastico in termini di anni
complessivi.
Che cosa si prevede? “ Stessi obiettivi in quattro anni invece che
cinque, con esami di Stato identici ai percorsi quinquennali. Questo il
contenuto della sperimentazione alla quale le scuole potranno partecipare a
seguito di una apposita progettazione da presentare al Ministero che dovrà
comprendere, tra le altre cose: potenziamento lingua con percorso CLIL,
attività laboratoriali e tecnologie digitali, rafforzamento alternanza
scuola-lavoro e progetti su mobilità internazionale.” CVD.
Note
1 Per una critica
radicale alla didattica delle competenze si veda tra gli altri: http://gisrael.blogspot.it/2009/11/la-scuola-delle-competenze-demenziali.html; ma
anche: https://www.carmillaonline.com/2012/05/02/dalla-formazione-alla-informazione-il-mito-delle-competenze/
2 Per una critica del nesso
competenze/lavoro si veda: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-scuola-che-piace-a-confindustria/?printpage=undefined.
3 Per una critica alla valutazione
INVALSI: http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/scuola_e_noi/255-invalsi-e-altre-storie-intervista-a-giorgio-israel.html; si
veda anche il recentissimo: http://www.roars.it/online/prove-invalsi-apriamo-una-grande-riflessione-pubblica-sulla-loro-funzione/.
4 Per una storia critica delle
riforme scolastiche in Italia e Europa si veda: A. ALLEGRA, La dimensione
europea della formazione tra competizione globale e crisi, Contropiano,
atti del convegno “Formazione, Ricerca e Controriforme”, Bologna 30 aprile
2016, Anno 25, n.2 2016. Ora anche su: http://dialetticaefilosofia.it/scheda-filosofia-saggi.asp?id=66. Ma
anche: http://www.roars.it/online/unaltra-scuola-per-unaltra-europa/.
5 Intervista del 2014 a Paolo Mazzoli, dirigente
scolastico di una grande scuola romana che ha partecipato concretamente alla
sperimentazione, collaborando con l’allora sottosegretario Marco Rossi Doria:http://www.unipd.it/ilbo/content/liceo-quattro-anni-possibile-forse-ma. Per
i confronti con il resto d’Europa si veda: http://www.unipd.it/ilbo/content/durata-delle-scuole-superiori-l%E2%80%99europa-va-ordine-sparso.
6 Sul declino economico dell’Italia: http://temi.repubblica.it/micromega-online/alle-origini-del-declino-economico-italiano/#_ftnref6
7 Si veda su
questo punto: http://www.gildains.it/public/documenti/3470DOC-758.pdf
Nessun commento:
Posta un commento