Cari amici, cari colleghi del Tg1 e della Rai,
nei giorni scorsi si è concluso un lungo percorso amministrativo. Ora sono completamente fuori dal Tg1 ed anche dalla Rai. Sono entrato anch’io nel gruppo di colleghi che nei mesi scorsi ha dato le dimissioni dalla Rai, accettando l’incentivo economico proposto dall’azienda.
Alcuni di voi conoscevano, da molti mesi, tutto il mio disagio nel Tg1 e quindi non sono rimasti sorpresi della mia decisione, anche se più di qualcuno ha espresso il proprio rammarico per la mia uscita dall’azienda.
A loro e a tutti coloro che non sapevano di questa decisione rivolgo queste mie considerazioni. Io avevo una sola necessità: quella di lasciare il Tg1 per porre fine ad un feroce demansionamento di cui ero vittima, sin dal mio ritorno in Italia da Gerusalemme, il 1 settembre 2014. Una umiliazione professionale voluta e posta in essere dal direttore del Tg1, Mario Orfeo. Accettata dai vicedirettori. Eseguita con zelo da tutta la line della redazione esteri (dal caporedattore Oliviero Bergamini ai vice caporedattori Sergio Paini e Lucia Duraccio, al caposervizio Francesca Capovani).
Il mio lavoro e la mia presenza sui fatti internazionali, ma in particolar modo su quelli del Medio Oriente, sono stati semplicemente annullati, sin dall’inizio del mio ritorno a Saxa Rubra.
Qualcuno definirebbe tutto questo mobbing, io certo l’ho percepito così.
Ne sono stato vittima, ora ne sono certo, non per miei possibili errori e neppure per una cieca violenza altrui, ma al contrario a causa della mia esperienza professionale e della libertà di giudizio manifestata in tanti anni di lavoro come inviato e, poi, corrispondente a Il Cairo e a Gerusalemme.
Quella libertà di pensiero, in particolare, che ho mantenuto e difeso dalle indebite pressioni nei lunghi anni della mia corrispondenza da Gerusalemme. Pressioni tese ad omologare su tesi predefinite il racconto dei fatti che accadevano in Israele, in Palestina e nel resto del Medio Oriente.
A Roma, invece, si è giunti a scegliere, in modo freddo e calcolato, di non avvalersi del mio lavoro e della mia esperienza nei racconti dei fatti mediorientali.
Nel silenzio distratto del comitato di redazione del Tg1, durato ben due anni.
Una realtà professionale ed umana alla quale l’azienda non ha dato alcuna alternativa, se non la mia uscita dal Tg1 e contestualmente dall’azienda stessa.
Questo dovevo dire, andando via dal Tg1 e dalla Rai, perché un mio eventuale silenzio poteva, altrimenti, divenire assenso e complicità verso coloro che hanno compiuto le scelte prima descritte.
Tuttavia, la mia storia professionale in Rai, iniziata nell’agosto del 1987, va ovviamente oltre questi ultimi due anni. E’ stata un’esperienza gratificante e per certi versi politicamente trasversale. Ho avuto la stima e l’incoraggiamento di direttori molto diversi, da Sandro Curzi al Tg3 ad Albino Longhi al Tg1. Ho avuto il sostegno di straordinari colleghi come Italo Moretti, Vittorio Citterich, Ottavio Di Lorenzo. Ho avuto la fortuna e l’onore di lavorare con impiegate di redazione bravissime, come Barbara De Santis.
Ho potuto incontrare, lavorare ed imparare da tantissimi colleghi operatori, ne cito solo alcuni: Alberto Calvi (durante la prima Guerra del Golfo e poi nella ex Jugoslavia), Claudio Speranza (a Sarajevo e a Gerusalemme ), Renato Amico (a Gerusalemme), Franco Stampacchia (a Blace in Macedonia, a Pristina in Kosovo, a Beirut), Franco Ceccarelli (a Istanbul, a Sarajevo, a Gerusalemme), Mauro Maurizi (insieme a Sarajevo e poi ancora in Israele e in Palestina), a Niki Filipovic (in innumerevoli trasferte nella ex Jugoslavia in guerra). Li ringrazio tutti, anche coloro che non ho citato.
Non posso poi dimenticare il lavoro prezioso e bellissimo di tanti montatori, alcuni veri maestri dell’immagine, da Carlo Cofano a Carlo Casini, da Riccardo Parmigiani a Gianluca Della Valle. Sono alcuni nomi di un gruppo di persone che ha fatto grande la qualità del mio lavoro e di molti tra di noi.
E’ stato il lavoro di squadra, quello che ho imparato essere il fondamento del giornalismo televisivo. Un lavoro costruito sulla reciproca conoscenza, sulla fiducia, sull’umiltà e sul sacrificio nelle più diverse e difficili situazioni. Nulla di più lontano dalla acritica pretesa di imporre o controllare il lavoro di altri professionisti. Una pretesa che quasi sempre è frutto di incapacità e insicurezza proprie.
E’ il ricordo di questa Rai e di questo lavoro di squadra che porto con me, in primo luogo, andando via dal Tg1 e dalla Rai.
Per questo tipo di giornalismo e per amore della verità è valsa la pena anche rischiare la propria vita.
Per questa etica della professione e per offrire un’informazione completa e libera vale la pena continuare a lavorare e a lottare, anche fuori dalla Rai, nel mondo dell’informazione, della cultura e della politica.
Arrivederci!
Filippo Landi
nei giorni scorsi si è concluso un lungo percorso amministrativo. Ora sono completamente fuori dal Tg1 ed anche dalla Rai. Sono entrato anch’io nel gruppo di colleghi che nei mesi scorsi ha dato le dimissioni dalla Rai, accettando l’incentivo economico proposto dall’azienda.
Alcuni di voi conoscevano, da molti mesi, tutto il mio disagio nel Tg1 e quindi non sono rimasti sorpresi della mia decisione, anche se più di qualcuno ha espresso il proprio rammarico per la mia uscita dall’azienda.
A loro e a tutti coloro che non sapevano di questa decisione rivolgo queste mie considerazioni. Io avevo una sola necessità: quella di lasciare il Tg1 per porre fine ad un feroce demansionamento di cui ero vittima, sin dal mio ritorno in Italia da Gerusalemme, il 1 settembre 2014. Una umiliazione professionale voluta e posta in essere dal direttore del Tg1, Mario Orfeo. Accettata dai vicedirettori. Eseguita con zelo da tutta la line della redazione esteri (dal caporedattore Oliviero Bergamini ai vice caporedattori Sergio Paini e Lucia Duraccio, al caposervizio Francesca Capovani).
Il mio lavoro e la mia presenza sui fatti internazionali, ma in particolar modo su quelli del Medio Oriente, sono stati semplicemente annullati, sin dall’inizio del mio ritorno a Saxa Rubra.
Qualcuno definirebbe tutto questo mobbing, io certo l’ho percepito così.
Ne sono stato vittima, ora ne sono certo, non per miei possibili errori e neppure per una cieca violenza altrui, ma al contrario a causa della mia esperienza professionale e della libertà di giudizio manifestata in tanti anni di lavoro come inviato e, poi, corrispondente a Il Cairo e a Gerusalemme.
Quella libertà di pensiero, in particolare, che ho mantenuto e difeso dalle indebite pressioni nei lunghi anni della mia corrispondenza da Gerusalemme. Pressioni tese ad omologare su tesi predefinite il racconto dei fatti che accadevano in Israele, in Palestina e nel resto del Medio Oriente.
A Roma, invece, si è giunti a scegliere, in modo freddo e calcolato, di non avvalersi del mio lavoro e della mia esperienza nei racconti dei fatti mediorientali.
Nel silenzio distratto del comitato di redazione del Tg1, durato ben due anni.
Una realtà professionale ed umana alla quale l’azienda non ha dato alcuna alternativa, se non la mia uscita dal Tg1 e contestualmente dall’azienda stessa.
Questo dovevo dire, andando via dal Tg1 e dalla Rai, perché un mio eventuale silenzio poteva, altrimenti, divenire assenso e complicità verso coloro che hanno compiuto le scelte prima descritte.
Tuttavia, la mia storia professionale in Rai, iniziata nell’agosto del 1987, va ovviamente oltre questi ultimi due anni. E’ stata un’esperienza gratificante e per certi versi politicamente trasversale. Ho avuto la stima e l’incoraggiamento di direttori molto diversi, da Sandro Curzi al Tg3 ad Albino Longhi al Tg1. Ho avuto il sostegno di straordinari colleghi come Italo Moretti, Vittorio Citterich, Ottavio Di Lorenzo. Ho avuto la fortuna e l’onore di lavorare con impiegate di redazione bravissime, come Barbara De Santis.
Ho potuto incontrare, lavorare ed imparare da tantissimi colleghi operatori, ne cito solo alcuni: Alberto Calvi (durante la prima Guerra del Golfo e poi nella ex Jugoslavia), Claudio Speranza (a Sarajevo e a Gerusalemme ), Renato Amico (a Gerusalemme), Franco Stampacchia (a Blace in Macedonia, a Pristina in Kosovo, a Beirut), Franco Ceccarelli (a Istanbul, a Sarajevo, a Gerusalemme), Mauro Maurizi (insieme a Sarajevo e poi ancora in Israele e in Palestina), a Niki Filipovic (in innumerevoli trasferte nella ex Jugoslavia in guerra). Li ringrazio tutti, anche coloro che non ho citato.
Non posso poi dimenticare il lavoro prezioso e bellissimo di tanti montatori, alcuni veri maestri dell’immagine, da Carlo Cofano a Carlo Casini, da Riccardo Parmigiani a Gianluca Della Valle. Sono alcuni nomi di un gruppo di persone che ha fatto grande la qualità del mio lavoro e di molti tra di noi.
E’ stato il lavoro di squadra, quello che ho imparato essere il fondamento del giornalismo televisivo. Un lavoro costruito sulla reciproca conoscenza, sulla fiducia, sull’umiltà e sul sacrificio nelle più diverse e difficili situazioni. Nulla di più lontano dalla acritica pretesa di imporre o controllare il lavoro di altri professionisti. Una pretesa che quasi sempre è frutto di incapacità e insicurezza proprie.
E’ il ricordo di questa Rai e di questo lavoro di squadra che porto con me, in primo luogo, andando via dal Tg1 e dalla Rai.
Per questo tipo di giornalismo e per amore della verità è valsa la pena anche rischiare la propria vita.
Per questa etica della professione e per offrire un’informazione completa e libera vale la pena continuare a lavorare e a lottare, anche fuori dalla Rai, nel mondo dell’informazione, della cultura e della politica.
Arrivederci!
Filippo Landi
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