Confusione, dilettantismo, indecisione politica. Indagini a carico dei servizi
segreti, più segreti che capaci. E una generale sensazione di imbarazzo che fa
a pugni con l'orgoglio mostrato solo qualche giorno fa, quando Londra scagliava
aspre critiche sulla Casa Bianca, colpevole di non aver conservato con cura
certe informazioni sull'attentato di Manchester. Theresa May e il suo Governo cercano in queste ore di far credere di
avere tutto sotto controllo ma il loro sforzo è ormai quasi patetico. Salman
Abedi, il ragazzo di 22 anni che ha fatto strage nella Manchester Arena, era
ben noto per i suoi legami con gli ambienti dell'islam radicale. Di
più: era il rampollo di una famiglia il cui patriarca, Ramadan Abedi, era un
mlitante del Gruppo combattente islamico di Libia, una formazione anti-Gheddafi
legata ad Al Qaeda. Ramadan era tornato in Libia nel 2011 per combattere contro
il Rais e si era portato dietro il figlio, che anche in seguito era andato
avanti e indietro dalla Libia.
Tutto in segreto? Non troppo, visto che le autorità sapevano dei suoi
viaggi, sapevano
della sua radicalizzazione e peraltro ben conoscevano gli umori della comunità
libica di Fallowfield, a Sud di Manchester, dove tra gli altri aveva trovato
rifugio anche Abd al-Baset Azzouz, esperto di ordigni esplosivi e capo di un
gruppo di almeno 300 miliziani affiliato ad Al Qaeda e attivo in Libia.
La vicinanza con Azzouz potrebbe spiegare, tra l'altro, come mai un
terrorista pivello come Salman andasse in giro con un ordigno con un duplice
meccanismo d'innesco, studiato
per rendere certa la deflagrazione dell'esplosivo. Peccato che nessuno abbia
pensato di applicare agli Abedi il TEO (Temporary Exclusion Order), ovvero la
legge che dal 2015 consente di impedire il rientro nel Regno Unito a coloro che
sono sospettati di essere foreign
fighter. Legge che in
questi due anni è stata applicata una sola volta, come è stata costretta ad
ammettere Amber Rudd, ministro degli Interni, subito travolta dalle polemiche e
ormai a rischio di dimissioni forzate.
Salman
Abedi, il ragazzo di 22 anni che ha fatto strage nella Manchester Arena, era
ben noto per i suoi legami con gli ambienti dell'islam radicale
Tutto
questo, però, rappresenta alla perfezione ciò che noi occidentali da quasi 17
anni (cioè da quando George Bush junior la proclamò, il 20 settembre 2001)
chiamiamo“guerra al terrorismo”: un
informe e ipocrita pasticcio che ci ha portati ad avere sempre più attentati (tra
2014 e 2015 un più 18% negli attacchi suicidi), sempre più morti (cresciuti di nove volte tra 2000 e 2016) e sempre meno sicurezza.
Dopo tutto questo tempo, seguitiamo a chiamare “terrorista” chiunque
uccida civili.Sembra una
cosa sensata ma non lo è: c'è un'enorme differenza, infatti, tra il mattocchio
di Londra, che si lanciò con l'automobile sui passanti sul ponte di
Westminster, e il kamikaze di Manchester, che portava sulle spalle un ordigno
costruito da un professionista. La
stessa differenza che passa tra uno che viene mandato a uccidere dai propri
demoni interiori e uno che fa una strage su mandato e indicazione di menti
ferine ma lucide.
Noi
occidentali siamo ormai diventati incapaci di qualunque distinzione. Se avessimo conservato un minimo di
lucidità, capiremmo che contro il “lupo solitario” dalla mente deragliata c'è
poco che si possa fare, oltre a confidare nella professionalità
delle forze di polizia e dei servizi sanitari. Mentre c'è molto che si può ancora fare contro le azioni dei
professionisti del terrore, quelli capaci di trovare uno squilibrato,
trasformarlo in un kamikaze e lanciarlo in mezzo alla folla con una bomba che
nessuno può disinnescare.
È questo il terrorismo di cui dovremmo avere paura, è questo il
terrorismo che si può combattere e neutralizzare, come proprio il “caso
Manchester” e la storia di Salman Abedi dimostrano. E la prima cosa da fare
sarebbe tagliare le sue linee di rifornimento. Viene però il sospetto che anche la confusione
abbia un suo scopo. Trasformare il terrorismo in una notte in cui tutti i gatti
sono bigi può egregiamente servire a non spiegare perché, dopo tanti lutti e
tanti lamenti, seguitiamo a coccolare i Paesi che sono in prima fila nel
finanziamento e nel sostegno ai terroristi.
La guerra al terrorismo”: un informe e ipocrita pasticcio che ci ha
portati ad avere sempre più attentati
Qualche
esempio. Che senso ha che il G7
concluda che serve un maggiore scambio di informazioni tra i Paesi membri per
combattere gli attentatori se Donald Trump, appena prima di firmare
quell'impegno, ha rovesciato sull'Arabia Saudita, che con il Qatar è uno dei
grandi sponsor della violenza islamista, un fiume di armi che andranno ad alimentare, appunto, anche il terrorismo? Che
senso ha che Theresa May si impegni a garantire la sicurezza del
proprio Paese se l'industria degli armamenti del Regno Unito ha come primo
cliente proprio quell'Arabia Saudita di cui abbiamo appena detto? Se ci sono
più di 120 joint venture anglo-saudite che fatturano centinaia di miliardi di
sterline l'anno? A che servono
tutte le dichiarazioni se poi le azioni politiche concrete vanno in senso
contrario?
Ecco, forse
tutta quella confusione in merito a terroristi e terrorismo serve proprio a questo. A non far capire ai cittadini spaventati che
se si è il migliore amico del migliore amico dei terroristi, la guerra al
terrorismo te la puoi scordare.
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