Alla vigilia di un nuovo passo del negoziato russo-ucraino con la mediazione USA, e la comparsata di tre o quattro “volenterosi”, Zelensky non sa fare di meglio che compiere un devastante attacco contro la Russia, con l’ovvio assenso dei suoi padroni-protettori della UE. Stavolta l’attacco è stato decisamente pesante, con la distruzione di alcuni bombardieri nucleari e atti terroristici contro ponti e ferrovie con morti civili.
L’intento è chiaro. Naturalmente le grandi firme dei nostri giornaloni
daranno la colpa alla Russia. E intanto lo stesso Putin lascia capire che a
questo ultimo attacco vi sarà risposta. Vogliono proseguire con la guerra,
vogliono obbligare sia Zelensky sia Putin a combattere, e i loro uomini a
uccidere e a morire.
Peccato che atti del genere significhino un implicito invito a premere i
pulsanti delle armi nucleari. Ma a noi europei in fondo non importa più di
tanto: abbiamo il kit di sopravvivenza delle 72 ore…
Che la Russia risponda o no a questa ultima azione ucraina, essa è sempre
il regno del male, nel racconto dei nostri anchormen, che eccitano la
russofobia dei loro lettori, ma anche dei loro referenti politici, con l’
“autorevole” ausilio del nostro presidente della Repubblica il quale sta
procedendo, con passo felpato, a una vera riscrittura dei fatti storici, che
Orwell scansati!.
È stato denunciato sovente su questo giornale la russofobia, e io stesso
non faccio che parlarne in articoli conferenze convegni. Ora abbiamo un
libretto, dall’accattivante titolo latinizzante “De russophobia” di un
giornalista che lavora da anni in Donbass, Vincenzo Lorusso, che si fregia
della introduzione nientemeno che di Marija Zakharova, e di due succinti
contributi storici di Alberto Fazolo e di Andrea Lucidi (Le Rocce Edizioni). Il
testo ricostruisce diligentemente il grottesco e insieme inquietante elenco di
episodi di russofobia, per lo più in Italia, ma con qualche puntata fuori, come
quello davvero incredibile accaduto in Francia nel marzo ’22, quando alla
esposizione internazionale felina fu vietato l’accesso di allevatori e gatti
russi. O quello, che rasenta l’infamia, che impedì la partecipazione di atleti
russi e bielorussi alle Paralimpiadi, dopo che per quattro anni quei giovani e
quelle giovani si erano preparati faticosamente combattendo contro le loro
disabilità fisiche.
Il repertorio è tristemente lungo, dalla proibizione del corso su
Dostoevskij alla Bocconi al recente divieto del rettore dell’università di
Torino (per fortuna in scadenza) di proiettare e discutere in aula il film
documentario Maidan. La strada verso la guerra. Episodi simili si sono
registrati a Firenze, Bologna, Venezia, Udine, e via seguitando. Una caccia
alle streghe che sarebbe piaciuta al famigerato senatore McCarty.
Dal ’22 a oggi, i divieti a proiettare film, o a discutere libri, o suonare
o dirigere in teatri: famigerato il primo gesto del sindaco milanese Sala che
chiese al grande direttore russo Valery Gergiev, regolarmente contrattualizzato
dalla Scala, di esibirsi, se non avesse firmato un documento impostogli di
dissenso nei confronti del suo presidente, che ricordiamo era Vladimir Putin e
non Giuseppe Sala, per cui Georgiev non firmò e il pubblico milanese si perse
un grande evento musicale. Si era ai primi mesi del 2022, e da allora fu tutto
un fiorire di proibizioni, mentre non mancava chi (il “moderato” Domenico
Quirico su La Stampa) si augurava che qualcuno ammazzasse Putin. E poi la solita
Picierno, con il contorno di sindaci e dirigenti del suo partito (D) si
impegnavano nella demonizzazione della Russia, e di Putin come il Grande
Nemico, e contemporaneamente, nella ricerca di “Nemici Interni” da bandire,
silenziare, ostracizzare. E per evitare che gli italiani venissero a conoscenza
di verità diverse da quelle spacciate dai Federico Fubini e Maurizio Molinari,
fin dal marzo ’22 vennero chiusi tutti i siti giornalistici russi. Finché è
arrivata una reazione collettiva, con una raccolta di firme di cittadini (che
con azzardo davvero pericoloso Michele Serra, ormai indossati i panni
dell’ideologo, dichiarò essere fasulle, venendo smentito “scientificamente): lo
scopo era affermare, come il grande manifesto, autoprodotto, che intanto si diffondeva
in varie città: “La Russia non è mio nemico”. E la seconda parte del volume
riproduce decine di messaggi di solidarietà col popolo e il governo russo
contro la russofobia. E ve ne sono di carini; mi permetto di suggerire a
Mattarella di leggere questi messaggi, ricuperando un po’ di connessione con il
suo popolo.
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