Leggo che Mark Rutte, segretario generale della Nato, presentando l’Assemblea dell’Alleanza all’Aja, abbia detto che siamo in un’alleanza dove «combattiamo insieme e, se necessario, soffriamo e moriamo anche insieme».”
“We are in an alliance where we fight together and, if
necessary, where we also suffer and die together”
Vi lascio due letture diverse.
La prima è che Mark Rutte sia
una persona molto coraggiosa.
Il signor Rutte, secondo Wikipedia, non è sposato e non ha figli, e
possiamo ipotizzare che si tratti di una rinuncia altruista: lui ha scelto,
assieme ai suoi amici più cari, una vita di sofferenze sul campo di battaglia,
e poi di morire con i capelli ancora scuri. Non vuole lasciarsi dietro vedove o
orfani.
La seconda lettura è che Mark
Rutte voglia dire,
“io ho deciso di dirigere da qualche protettissimo
bunker una guerra mondiale. Per farla, sono disposto a prendere tuo figlio, età
diciotto anni, e farlo storpiare, accecare o morire tra atroci dolori. E
siccome credo alla parità di genere, farò la stessa cosa anche a tua figlia, e
se tu ti opponi, ti faccio arrestare o fucilare.
Nel mentre, ordino di votare una legge che chiude la
scuola dove va tua figlia per dare a mio cugino l’appalto per farci una
caserma.
Comunque a guerra finita, ordinerò di fare un Avatar
Virtuale pure dei tuoi figli, quindi non ti preoccupare.”
Ovviamente non ho idea quale dei due sia il vero Rutte.
Il dubbio infatti nasce per un motivo grammaticale,
la clusività di
prima persona.
Nelle lingue indoeuropee e semitiche, “noi” vuol dire due cose totalmente
diverse.
“Noi mangeremo questo pranzo”
può significare,
“Io Miguel e te che mi ascolti, mangeremo insieme
questo pranzo” (noi
inclusivo)
come può invece significare:
“Io Miguel, e mio cugino detto Er Maiale, mangeremo
insieme questo pranzo, e te chi mi ascolti, se osi avvicinarti alle briciole,
ti spaccheremo la faccia” (noi esclusivo)
Insomma, l’indoeuropeo e semitico “noi” include
o esclude – quindi sappiamo solo che clude.
Nel primo caso, la lingua malesiana, ad esempio, usa il pronome inclusivo
di prima persona, kita.
Nel secondo quello esclusivo, kami.
Noi speriamo che l’auspicio ruttiano di soffrire e morire ammazzati (“We
are in an alliance”) sia un noi esclusivo.
Simpaticamente, in questo caso, c’è sempre un piccolo, umano tocco di pudicizia. La guerra è come il sesso, si parla poco
del piacere. Nella
retorica bellica moderna, si piagnucola infatti solo dei nostri che soffrono, muoiono e si sacrificano.
Come se lo scopo di fare la guerra fosse quello di farsi male da soli.
No.
Spessissimo, gli umani si divertono, come
tanti altri animali, a sottomettere, a fare male e a uccidere. Non escludo che mi
divertirei anch’io, semplicemente è una di quelle cose, come il crac, che non
ho mai provato.
E siccome gli umani almeno di sesso maschile si divertono così da quando
esiste la storia, e pur di poter uccidere sono
disposti persino a morire, non neghiamo a Rutte e ai suoi “noi” questo piccolo piacere di fare strage,
prima che esalino l’ultimo respiro su qualche campo di battaglia.
Questo non cambia il discorso sui pronomi: anche nel caso di un noi esclusivo (“io e i miei amici intimi vogliamo
ammazzare prima e solo dopo crepare”), Rutte sogna di storpiare, mutilare e
accecare gente che non sono dei miei “noi”.
Ragazzini russi, o arabi o con gli occhi a mandorla, o roba del genere.
Questa foto invece ci dà un’ottima idea di come sarebbe un Rutte inclusivo, dove il suo “noi” ci mette dentro anche le
persone che vuole soffrire e far morire ammazzati.
Ma aveva già detto tutto Georges Brassens:
“Oh voi, fomentatori
Oh voi, buoni apostoli
Morite voi per primi, vi cediamo il passo
Ma per carità, diamine
Lasciate vivere gli altri
La vita è quasi l’unico lusso che hanno quaggiù
Perché, in fin dei conti, la Morte
È abbastanza vigile
Non ha bisogno che le teniamo la falce”
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