sabato 7 giugno 2025

Palestina: massacri, stupri, saccheggi e distruzione di interi villaggi - Hagar Shezaf

 

 una giornalista israeliana – sui crimini commessi a partire dal 1948. La pulizia etnica come marchio d’origine di Israele e come nasconde le prove dei crimini commessi.

a cura di Giorgio Riolo

 

Hagar Shezaf è una giornalista israeliana del quotidiano Haaretz. Ha ricevuto vari riconoscimenti per il suo coraggioso lavoro giornalistico. Ha rivelato recentemente gli attacchi dei coloni israeliani in Cisgiordania e gli abusi, le torture, gli assassinii di detenuti palestinesi nel carcere di Sde Teiman. Ricordo solo qui che storici e giornalisti coraggiosi esistono in Israele. Haaretz è un giornale israeliano che pubblica molti articoli contro i crimini compiuti contro i palestinesi.

Questo lungo articolo che vi faccio avere di seguito è stato scritto nel luglio 2019. La giornalista ha compiuto un lavoro scrupoloso d’indagine, intervistando ufficiali militari, funzionari governativi, responsabili di archivi israeliani. Il tema è cosa hanno fatto gli israeliani nel 1948. E come hanno cercato e cercano di occultare i massacri, gli stupri, i saccheggi e le distruzione di interi villaggi compiuti nel corso della loro autoglorificante “Guerra d’Indipendenza”. La Nakba per il popolo palestinese, investito da questa sciagura, da questa tragedia.

Noi viviamo entro la bolla narrativa occidentale, Europa, Usa, Occidente, della mitologia creata attorno a Israele. Una mitologia molto interessata, una teoria di legittimazione dell’oppressione coloniale a copertura del genocidio, passato e presente.

Naturalmente nella mitologia è compresa l’accusa di antisemitismo rivolta a chi decostruisce questa Grande Narrazione Mitologica, a chi mostra banalmente il razzismo, la superiorità bianca da “signori del mondo”, la ferocia assassina, la barbarie di questa storia.

L’articolo è lungo, ma la narrazione della concretezza storica, con il supporto di documenti, è molto importante, oltre la denuncia e le analisi generalizzanti che spesso facciamo. Per chi avesse voglia e tempo di leggere.

Sottolineo che non ho volutamente usato la nozione di nazismo per descrivere questa concretezza storica. La barbarie della colonizzazione europea e occidentale anticipa temporalmente la barbarie nazista

Seppellire la Nakba. Come Israele nasconde le prove della espulsione degli arabi del 1948

di Hagar Shezaf

Quattro anni fa, la storica Tamar Novick è rimasta scioccata da un documento trovato nel dossier di Yosef Vashitz, del dipartimento arabo del partito di sinistra Mapam, negli archivi di Yad Yaari a Givat Haviva. Il documento, che sembrava descrivere eventi avvenuti durante la guerra del 1948, iniziava come segue:

“Safsaf [ex villaggio palestinese vicino a Safed] – 52 uomini sono stati catturati, legati insieme, è stata scavata una fossa e sono stati fucilati. 10 erano ancora in preda alle convulsioni. Le donne sono venute a chiedere pietà. Trovati i corpi di 6 anziani. C’erano 61 corpi. 3 casi di stupro, uno a est di Safed, una ragazza di 14 anni, 4 uomini uccisi a colpi di pistola. A uno di loro sono state tagliate le dita con un coltello per rubare un anello”.

L’autore prosegue descrivendo altri massacri, saccheggi e abusi perpetrati dalle forze israeliane durante la guerra d’indipendenza di Israele. “Non ci sono nomi sul documento e non è chiaro chi l’abbia scritto”, spiega Tamar Novick ad Haaretz. “Il documento è incompleto. L’ho trovato molto inquietante. Sapevo che, trovando un documento del genere, avevo la responsabilità di chiarire ciò che era accaduto”.

Il villaggio di Safsaf, nell’Alta Galilea, fu catturato dalle Forze di difesa israeliane nel corso dell’Operazione Hiram alla fine del 1948. Sulle sue rovine si è costituita la colonia-insediamento di Moshav Safsufa. Nel corso degli anni sono state avanzate accuse secondo cui la Settima Brigata avrebbe commesso crimini di guerra in questo villaggio. Queste accuse sono supportate dal documento trovato da Novick, non a conoscenza degli studiosi. Potrebbe anche costituire una prova ulteriore secondo cui gli alti gradi israeliani erano informati su ciò che stava accadendo in tempo reale.

Novick ha deciso di consultare altri storici in merito al documento. Benny Morris, i cui libri sono i testi base per lo studio della Nakba – la “calamità”, come i palestinesi descrivono l’emigrazione di massa degli arabi dal paese durante la guerra del 1948 – le disse che anche lui aveva trovato documenti simili in passato.

Si riferiva agli appunti presi da Aharon Cohen, membro del Comitato Centrale del Mapam, sulla base di un discorso tenuto nel novembre 1948 da Israel Galili, l’ex Capo di Stato Maggiore della milizia Haganah, divenuta poi IDF (Israel Defence Forces, o Tsahal). Gli appunti di Cohen sulla vicenda, pubblicati da Morris, recitano: “Safsaf: 52 uomini legati con una corda. Gettati in una fossa e fucilati. 10 sono stati uccisi. Le donne imploravano pietà. Ci sono stati 3 casi di stupro. Catturati e rilasciati. Una ragazza di 14 anni è stata violentata. Altri 4 sono stati uccisi. Anelli (rubati con il coltello)”.

La nota a piè di pagina di Morris (nella sua opera fondamentale The Birth of the Palestinian Refugee Problem, 1947-1949, in italiano presso Rizzoli editore Esilio. Israele e l’esodo palestinese 1947-1949) indica che questo documento è stato trovato anche negli archivi dello Yad Yaari. Ma quando Novick tornò a esaminare il documento, fu sorpresa di scoprire che non c’era più.

“All’inizio ho pensato che Morris non fosse stato preciso nella sua nota a piè di pagina, che potesse aver commesso un errore”, ricorda Novick. “Mi ci è voluto un po’ di tempo per considerare la possibilità che il documento fosse semplicemente scomparso”. Quando chiese ai funzionari dove fosse il documento, le fu risposto che era stato messo sotto chiave allo Yad Yaari, per ordine del Ministero della Difesa.

Dall’inizio dello scorso decennio, squadre del Ministero della Difesa stanno rovistando negli archivi locali, rimuovendo troppe carte storiche e mettendole sotto chiave. Ma non sono solo i documenti relativi al progetto nucleare di Israele o alle relazioni estere del Paese a essere trasferiti nelle casseforti: centinaia di documenti sono stati nascosti come parte di uno sforzo sistematico per nascondere le prove della Nakba.

Il fenomeno è stato rilevato per la prima volta dall’Istituto Akevot, che si occupa di ricerche sul conflitto israelo-palestinese. Secondo un rapporto redatto dall’istituto, l’operazione è stata condotta dal Malmab, il dipartimento segreto di sicurezza del Ministero della Difesa (il nome è un acronimo ebraico per “direttore della sicurezza dell’istituzione della difesa”), le cui attività e il cui bilancio sono segreti. Il rapporto afferma che il Malmab ha rimosso documenti storici illegalmente e senza autorizzazione, e in alcuni casi ha sigillato documenti che erano stati precedentemente approvati per la pubblicazione dal censore militare. Alcuni dei documenti messi in cassaforte erano già stati pubblicati.

Un’inchiesta di Haaretz ha rivelato che Malmab ha nascosto testimonianze di generali dell’esercito israeliano sull’uccisione di civili e sulla demolizione di villaggi, nonché prove dell’espulsione di beduini durante il primo decennio dello Stato di Israele. Conversazioni condotte da Haaretz con direttori di archivi pubblici e privati hanno rivelato che il personale dei servizi di sicurezza ha trattato gli archivi come una loro proprietà, in alcuni casi minacciando gli stessi direttori degli archivi.

Yehiel Horev, che ha diretto il Malmab per due decenni fino al 2007, ha ammesso ad Haaretz di essere stato il fautore del progetto, che è ancora in corso. Egli sostiene che ha senso nascondere gli eventi del 1948, poiché la loro rivelazione potrebbe causare disordini tra la popolazione araba del Paese. Alla domanda sul perché i documenti già pubblicati dovrebbero essere ritirati, ha spiegato che l’obiettivo è quello di minare la credibilità degli studi sulla storia del problema dei rifugiati. Secondo Horev, un’affermazione fatta da un ricercatore e supportata da un documento originale non è la stessa cosa di un’affermazione che non può essere provata o confutata perché il documento è inaccessibile.

Il documento che Novick stava cercando avrebbe potuto rafforzare il lavoro di Morris. Nel corso dell’indagine, Haaretz è riuscito a trovare il promemoria di Aharon Cohen, che riassume una riunione del Comitato politico del Mapam sul tema dei massacri e delle espulsioni del 1948. I partecipanti alla riunione hanno chiesto di collaborare con una Commissione d’inchiesta per indagare sugli eventi. Uno dei casi esaminati dal comitato riguardava “gravi azioni” compiute nel villaggio di Al-Dawayima, a est di Kiryat Gat. Un partecipante ha menzionato la milizia clandestina Lehi, poi sciolta. Sono stati riportati anche atti di saccheggio: “A Lod e Ramle, a Be’er Sheva, non c’è un solo negozio [arabo] che non sia stato scassinato. La Nona Brigata parla di sette (negozi saccheggiati), la Settima Brigata di otto”.

“Il partito”, si legge nel documento verso la fine, “è contrario alle espulsioni se non sono militarmente necessarie. Ci sono diversi approcci per valutare la necessità. E la cosa migliore è ottenere maggiori dettagli. Quello che è successo in Galilea è stato un atto nazista! Ognuno dei nostri membri deve riferire ciò che sa”.

La versione israeliana

Uno dei documenti più affascinanti sulle origini del problema dei rifugiati palestinesi è stato scritto da un ufficiale dello Shai, il precursore del servizio di sicurezza Shin Bet.

Spiega perché il Paese è stato svuotato di così tanti abitanti arabi, concentrandosi sulla situazione di ciascun villaggio. Compilato alla fine di giugno del 1948, era intitolato “L’emigrazione degli arabi dalla Palestina”.

Questo documento è servito come base per un articolo che Benny Morris ha pubblicato nel 1986. Dopo la pubblicazione dell’articolo, il documento fu rimosso dagli archivi e reso inaccessibile ai ricercatori. Anni dopo, il team di Malmab riesaminò il documento e ordinò che rimanesse classificato. Non sapevano che qualche anno dopo i ricercatori di Akevot avrebbero trovato una copia del testo e l’avrebbero presentata ai censori militari, i quali ne avrebbero autorizzato la pubblicazione senza condizioni. Oggi, dopo anni di occultamento, l’essenza del documento viene qui svelata.

Il documento di 25 pagine inizia con un’introduzione che approva senza riserve l’evacuazione dei villaggi arabi. Secondo l’autore, il mese di aprile “è stato eccellente per quanto riguarda l’aumento dell’emigrazione”, mentre maggio “è stato benedetto dall’evacuazione del maggior numero possibile di località”. Il rapporto prosegue discutendo “le cause dell’emigrazione araba”.

Secondo la narrazione israeliana diffusa negli anni, la responsabilità dell’esodo da Israele è da attribuire ai politici arabi che hanno incoraggiato la popolazione ad andarsene [come se questo potesse giustificare l’esproprio, la monopolizzazione e il divieto di ritorno di queste popolazioni, sostituite da coloni ebrei, e persino la distruzione dei loro villaggi]. Tuttavia, secondo questo documento, il 70% degli arabi se ne andò a causa delle operazioni militari ebraiche.

L’anonimo autore del testo classifica le ragioni della partenza degli arabi in ordine di importanza. Il primo motivo è costituito da “atti di ostilità diretta da parte degli ebrei contro gli insediamenti arabi”. Il secondo motivo era l’impatto di queste azioni sui villaggi vicini. In terzo luogo, c’erano le “operazioni dei gruppi dissidenti”, cioè l’Irgun e il Lehi (organizzazioni terroristiche ebraiche) clandestini. Il quarto motivo dell’esodo arabo erano gli ordini impartiti dalle istituzioni e dalle “bande” arabe (il documento descrive tutti i gruppi di combattimento arabi come ‘bande’); il quinto motivo erano le “operazioni di ‘suggerimento’ ebraico (guerra psicologica) volte a indurre gli abitanti arabi a fuggire”; e il sesto fattore erano gli “ultimatum all’evacuazione”.

L’autore afferma che “non c’è dubbio che le operazioni ostili siano state la causa principale dello sfollamento della popolazione”. Inoltre, “gli altoparlanti in lingua araba si sono dimostrati efficaci se usati correttamente”. Per quanto riguarda le operazioni dell’Irgun e del Lehi, il rapporto osserva che “molti abitanti dei villaggi della Galilea centrale hanno iniziato a fuggire dopo il rapimento degli anziani di Sheikh Muwannis [un villaggio a nord di Tel Aviv]. Gli arabi hanno imparato che non basta raggiungere un accordo con l’Haganah e che ci sono altri ebrei [cioè milizie dissidenti] da temere”.

L’autore nota che gli ultimatum ad andarsene sono stati usati soprattutto nella Galilea centrale, ma meno nella regione del Monte Gilboa. “Naturalmente, questo ultimatum, come l’effetto del ‘consiglio amichevole’, è arrivato dopo una certa preparazione del terreno attraverso azioni ostili nella regione”.

Un’appendice al documento descrive le cause specifiche dell’esodo da ciascuna delle decine di località arabe:

Ein Zeitun: “nostra distruzione del villaggio”;

Qeitiya: “molestie, minaccia di azione”;

Almaniya: “nostra azione, molti assassinati”;

Tira: “consiglio amichevole degli ebrei”;

Al’Amarir: “dopo i furti e gli omicidi commessi dai dissidenti”;

Sumsum: “nostro ultimatum”;

Bir Salim: “attacco all’orfanotrofio”;

Zarnuga: “conquista ed espulsione”.

Una miccia corta

All’inizio degli anni 2000, il Centro Yitzhak Rabin ha condotto una serie di interviste a ex personaggi pubblici e militari nell’ambito di un progetto di documentazione delle loro attività al servizio dello Stato. La longa manus di Malmab è entrato in possesso anche di queste interviste. Haaretz, che ha ottenuto i testi originali di molte interviste, li ha confrontati con le versioni ora disponibili al pubblico, dopo che ampie sezioni di esse sono state classificate come segreti della difesa.

Tra queste, ad esempio, alcune parti della testimonianza del generale di brigata Aryeh Shalev sull’espulsione attraverso il confine degli abitanti di un villaggio da lui chiamato “Sabra”. Più avanti nell’intervista, sono state cancellate le seguenti frasi: “C’era un problema molto serio nella valle. C’erano rifugiati che volevano tornare nella valle, nel Triangolo [una concentrazione di città e villaggi arabi nella parte orientale di Israele]. Li abbiamo espulsi. Li ho incontrati per convincerli a non farlo. Ho dei documenti al riguardo”.

In un altro caso, Malmab ha deciso di nascondere questo segmento di un’intervista che lo storico Boaz Lev Tov ha condotto con il riservista Maggiore Generale Elad Peled:

Lev Tov: “Stiamo parlando di una popolazione composta da donne e bambini?”

Peled: “Tutti, tutti, sì”

Lev Tov: “Non ha fatto alcuna distinzione (tra uomini e donne/bambini)?”

Peled: “Il problema è molto semplice. È una guerra tra due popolazioni. Lasciano le loro case”

Lev Tov: “Se c’è una casa, hanno un posto dove tornare?”.

Peled: “Non sono ancora eserciti, sono bande. Anche noi siamo bande. Noi lasciamo la casa e torniamo alla casa. Loro lasciano la casa e ci tornano. A volte è la loro casa, a volte la nostra”.

Lev Tov: “Gli scrupoli sono una prerogativa della generazione più recente?”

Peled: “Sì, oggi (ci sono più scrupoli). Quando mi siedo in poltrona e penso a quello che è successo, mi vengono in mente tutti i tipi di pensieri.”

Lev Tov: “Allora non c’erano scrupoli?”

Peled: “Guardate, lasciate che vi racconti qualcosa di ancora meno vergognoso, qualcosa di crudele sulla grande incursione a Sasa [un villaggio palestinese nell’Alta Galilea]. Lo scopo era infatti quello di dissuaderli, di dire loro: “Cari amici, il Palmach [le truppe d’assalto dell’Haganah] può raggiungere qualsiasi luogo, non siete al sicuro da nessuna parte.

Era il cuore dell’insediamento arabo. Ma cosa abbiamo fatto? Il mio plotone ha fatto saltare in aria 20 case con tutto quello che c’era dentro.”

Lev Tov: “Mentre la gente dormiva lì?”

Peled: “Suppongo di sì. È successo che siamo entrati nel villaggio, abbiamo messo una bomba vicino a ogni casa, poi Homesh ha suonato la tromba, perché non avevamo la radio, e quello è stato il segnale [che le nostre forze] dovevano andarsene. Tu torni indietro, i genieri restano, fanno scattare i detonatori, è una cosa primitiva. Accendevano la miccia o attivavano il detonatore e tutte quelle case sparivano”.

Un altro passaggio che il Ministero della Difesa ha voluto nascondere al pubblico proviene dalla conversazione del dottor Lev Tov con il Maggiore Generale Avraham Tamir:

Tamir: “Ho servito sotto Chera [il Maggiore Generale Tzvi Tzur, futuro Capo di Stato Maggiore dell’IDF], e ho avuto ottimi rapporti con lui. Mi diede completa libertà d’azione – non fatemi domande – e fui responsabile degli uomini e delle operazioni durante due sviluppi derivanti dalla politica di Ben-Gurion. Uno sviluppo fu l’arrivo di notizie di marce di profughi dalla Giordania verso villaggi abbandonati [in Palestina]. Allora Ben-Gurion decise che avremmo dovuto demolire [i villaggi] in modo che non avessero un posto dove tornare.

Cioè tutti i villaggi arabi, la maggior parte dei quali si trovava nell’area coperta dal Comando Centrale, la maggior parte.”

Lev Tov: “Quelli che erano ancora in piedi”

Tamir: “Quelli che non erano ancora abitati da israeliani. C’erano luoghi in cui avevamo già insediato degli israeliani, come Zakariyya e altri luoghi. Ma la maggior parte erano ancora villaggi abbandonati.”

Lev Tov: “Quali erano ancora in piedi?”

Tamir: “Sì. Non dovevano avere un posto dove tornare, così ho mobilitato tutti i battaglioni di ingegneria del Comando centrale e nel giro di 48 ore ho distrutto tutti quei villaggi. Tutto qui. Non c’era nessun posto dove potessero tornare.”

Lev Tov: “L’ha fatto senza esitazione, immagino.”

Tamir: “Senza esitazione. Questa era la politica. Ho mobilitato la manodopera e le attrezzature necessarie e ho fatto ciò che andava fatto.”

Tonnellate di documenti chiusi in casseforti

La cassaforte del Centro di ricerca e documentazione Yad Yaari si trova nel seminterrato. Nel caveau, che in realtà è una piccola stanza ben protetta, ci sono pile di scatole contenenti documenti riservati. Gli archivi contengono documenti del movimento Hashomer Hatzair, del movimento dei kibbutz Ha’artzi, del Mapam, del Meretz e di altre organizzazioni come Peace Now.

Il direttore dell’archivio è Dudu Amitai, che è anche presidente dell’Associazione degli Archivisti di Israele. Secondo Amitai, il personale del Malmab ha visitato regolarmente l’archivio tra il 2009 e il 2011. Il personale dell’archivio racconta che le squadre del dipartimento di sicurezza – due funzionari del Ministero della Difesa in pensione senza alcuna formazione archivistica – si presentavano due o tre volte alla settimana. Cercavano documenti usando parole chiave come “nucleare”, ‘sicurezza’ e “censura”, e dedicavano molto tempo alla guerra d’indipendenza e al destino dei villaggi arabi prima del 1948.

“Alla fine ci hanno presentato un riassunto in cui dicevano di aver trovato alcune decine di documenti sensibili”, dice Amitai. Di solito non smantelliamo i fascicoli, quindi decine di fascicoli, nella loro interezza, sono finiti nella nostra cassaforte e sono stati rimossi dai documenti accessibili al pubblico”. Un fascicolo può contenere più di 100 documenti.

Uno dei fascicoli che è stato sigillato riguarda il governo militare che ha controllato la vita dei cittadini arabi di Israele dal 1948 al 1966. Per anni i documenti sono stati conservati nello stesso caveau, inaccessibili ai ricercatori. Di recente, su richiesta del professor Gadi Algazi, storico dell’Università di Tel Aviv, Amitai ha esaminato il fascicolo stesso e ha deciso che non c’era motivo di non sigillarlo, nonostante il consiglio di Malmab.

Secondo Algazi, ci sono diverse possibili ragioni per la decisione di Malmab di mantenere il fascicolo segreto. Una di queste riguarda uno dei documenti contenuti, un allegato segreto a un rapporto di una commissione che ha esaminato il funzionamento del governo militare. Il rapporto tratta quasi interamente delle lotte per la proprietà della terra tra lo Stato e i cittadini arabi, e sfiora appena le questioni di sicurezza.

Un’altra possibilità è un rapporto del 1958 del Comitato ministeriale che supervisionava il governo militare. In una delle appendici segrete del rapporto, il colonnello Mishael Shaham, un alto ufficiale del governo militare, spiega che una delle ragioni per non smantellare l’apparato della legge marziale era la necessità di limitare l’accesso dei cittadini arabi al mercato del lavoro e di impedire la ricostruzione dei villaggi distrutti.

Una terza spiegazione che potrebbe rivelare il desiderio di mantenere segreto questo fascicolo riguarda un resoconto storico inedito dell’espulsione dei beduini. Alla vigilia della creazione dello Stato di Israele, quasi 100.000 beduini vivevano nel Negev. Tre anni dopo, il loro numero era sceso a 13.000. Negli anni precedenti e successivi alla Guerra d’Indipendenza, nel sud del Paese furono condotte diverse operazioni di espulsione. In un caso, gli osservatori delle Nazioni Unite hanno riferito che Israele aveva espulso 400 beduini della tribù Azazma e hanno citato testimonianze di tende bruciate. La lettera che appare nel file classificato descrive un’espulsione simile effettuata nel 1956, come racconta il geologo Avraham Parnes:

“Un mese fa abbiamo visitato [il cratere] Ramon. I beduini della regione di Mohila sono venuti a trovarci con le loro mandrie e le loro famiglie e ci hanno chiesto di condividere il loro pasto. Ho risposto che avevamo molto lavoro da fare e non avevamo tempo. Durante la nostra visita di questa settimana, ci siamo diretti di nuovo a Mohila. Al posto dei beduini e delle loro mandrie, c’era un silenzio tombale. Decine di carcasse di cammelli erano sparse nella zona. Abbiamo appreso che tre giorni prima l’esercito israeliano aveva “***”. I beduini, e che le loro mandrie erano state decimate: i cammelli a colpi d’arma da fuoco, le pecore a colpi di granate. Uno dei beduini, che aveva iniziato a protestare, fu ucciso, gli altri fuggirono”.

La testimonianza prosegue: “Due settimane prima, avevano ricevuto l’ordine di rimanere dove si trovavano per il momento, dopodiché fu loro ordinato di andarsene e, per accelerare le cose, furono massacrate 500 teste… L’espulsione fu eseguita ‘in modo efficiente'”.

La lettera prosegue citando ciò che uno dei soldati disse a Parnes, secondo la sua testimonianza: “Non se ne andranno finché non avremo distrutto le loro mandrie. Una ragazza di circa 16 anni si è avvicinata a noi. Indossava una collana di perle di ottone a forma di serpente. La collana fu strappata via e ognuno di noi ne prese una come souvenir”.

La lettera era stata originariamente inviata al deputato Yaakov Uri del Mapai (il precursore del Partito Laburista), che l’aveva inoltrata al Ministro dello Sviluppo Mordechai Bentov (Mapam). “La sua lettera mi ha scioccato”, ha scritto Uri Bentov. Quest’ultimo ha fatto circolare la lettera a tutti i ministri del governo, scrivendo: “Sono dell’opinione che il governo non possa semplicemente ignorare i fatti in essa contenuti”. Bentov ha aggiunto che, alla luce del contenuto sconcertante della lettera, aveva chiesto agli esperti di sicurezza di verificarne l’attendibilità. Questi hanno confermato che il contenuto “è effettivamente, in generale, vero”.

La scusa nucleare

Fu durante il mandato dello storico Tuvia Friling come archivista capo di Israele, dal 2001 al 2004, che Malmab effettuò le sue prime incursioni archivistiche. Quella che iniziò come un’operazione per impedire la fuga di segreti nucleari, dice, alla fine si trasformò in un vero e proprio progetto di censura.

“Mi sono dimesso dopo tre anni, e questo è uno dei motivi per cui mi sono dimesso”, spiega il professor Friling. “La classificazione del documento sull’emigrazione degli arabi nel 1948 è proprio un esempio di ciò che temevo. Il sistema di archiviazione non è un organo di pubbliche relazioni dello Stato. Se c’è qualcosa che non ti piace, è la vita. Una società sana impara anche dai propri errori.”

Perché Friling ha permesso al Ministero della Difesa di accedere agli archivi? Il motivo, dice, era l’intenzione di rendere accessibili al pubblico i documenti d’archivio pubblicandoli su internet. Durante le discussioni sulle implicazioni della digitalizzazione del materiale, si è temuto che i riferimenti nei documenti a “un certo argomento” potessero essere resi pubblici per errore. L’argomento, ovviamente, è il progetto nucleare israeliano. Friling insiste sul fatto che l’unica autorizzazione ricevuta da Malmab è stata quella di ricercare documenti su questo argomento.

Ma l’attività di Malmab è solo un esempio di un problema più ampio, osserva Friling: “Nel 1998, la riservatezza dei [documenti più antichi negli] archivi dello Shin Bet e del Mossad è scaduta. Per anni, queste due istituzioni hanno ignorato l’archivista capo”. Quando ho assunto l’incarico, hanno chiesto che la riservatezza di tutto il materiale fosse estesa [da 50] a 70 anni, il che è ridicolo: la maggior parte del materiale può essere resa accessibile al pubblico. Nel 2010, il periodo di riservatezza è stato esteso a 70 anni; lo scorso febbraio, è stato portato a 90 anni, nonostante l’opposizione del Consiglio Supremo degli Archivi. “Lo Stato può imporre che alcuni dei suoi documenti rimangano riservati”, afferma Friling. “La questione è se il pretesto della sicurezza non stia fungendo da copertura. In molti casi, è già diventato una barzelletta”. Secondo Dudu Amitai degli archivi di Yad Yaari, la riservatezza imposta dal Ministero della Difesa deve essere messa in discussione. Durante il suo mandato, rivela, uno dei documenti depositati nel caveau era un ordine impartito da un generale dell’esercito israeliano durante una tregua durante la Guerra d’Indipendenza, affinché le sue truppe si astenessero da stupri e saccheggi [indicando che questi erano all’ordine del giorno]. Amitai intende ora esaminare i documenti depositati nel caveau, in particolare quelli del 1948, e rendere pubblico tutto il possibile. “Lo faremo con cautela e responsabilità, ma riconoscendo che lo Stato di Israele deve imparare a gestire gli aspetti meno edificanti della sua storia”.

A differenza di Yad Yaari, dove il personale del ministero non si reca più, a Yad Tabenkin i documenti del centro di ricerca e documentazione del Movimento Unito dei Kibbutz vengono ancora attentamente esaminati. Il direttore di questo archivio, Aharon Azati, ha raggiunto un accordo con lo staff di Malmab affinché i documenti fossero trasferiti nel caveau solo se fosse stato convinto che fosse giustificato. Ma anche a Yad Tabenkin, Malmab ha ampliato la sua ricerca oltre il progetto nucleare, includendo interviste condotte dal personale dell’archivio con ex membri del Palmach e persino esaminando meticolosamente documenti sulla storia degli insediamenti nei territori occupati. Malmab, ad esempio, ha espresso interesse per il libro in lingua ebraica Un decennio di segretezza: la politica di insediamento dei territori dal 1967 al 1977, pubblicato da Yad Tabenkin nel 1992 e scritto da Yehiel Admoni, direttore del Dipartimento per gli Insediamenti dell’Agenzia Ebraica durante il decennio in questione. Il libro menziona un piano per insediare i rifugiati palestinesi nella Valle del Giordano e lo sradicamento di 1.540 famiglie beduine dall’area di Rafah, nella Striscia di Gaza, nel 1972, inclusa un’operazione che prevedeva la chiusura di pozzi da parte dell’esercito israeliano. Ironicamente, nel caso dei beduini, Admoni cita l’ex Ministro della Giustizia Yaakov Shimshon Shapira, il quale afferma: “Non c’è bisogno di andare troppo oltre nella logica della sicurezza. La vicenda beduina non è un capitolo glorioso dello Stato di Israele”.

Secondo Azati, “Ci stiamo muovendo sempre più verso una chiusura dei ranghi. Sebbene viviamo in un’era di apertura e trasparenza, a quanto pare ci sono forze che spingono nella direzione opposta”.

Segretezza illegale

Circa un anno fa, la consulente legale degli Archivi Nazionali, Naomi Aldouby, ha redatto un parere intitolato “Chiusura non autorizzata di documenti negli archivi pubblici”. Secondo lei, la politica relativa all’accessibilità degli archivi pubblici è di esclusiva responsabilità del direttore di ciascun centro archivistico.

Nonostante l’opinione di Aldouby, nella stragrande maggioranza dei casi, gli archivisti confrontati con le decisioni irragionevoli di Malmab non hanno sollevato obiezioni, almeno fino al 2014, quando il personale del Ministero della Difesa è arrivato agli archivi dell’Harry S. Truman Research Institute presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. Con sorpresa dei visitatori, l’allora direttore Menahem Blondheim ha respinto la loro richiesta di esaminare gli archivi, che contengono collezioni appartenenti all’ex ministro e diplomatico Abba Eban e al Maggiore Generale (di Riserva) Shlomo Gazit.

Secondo Blondheim, “Ho detto loro che i documenti in questione risalivano a decenni fa e che non potevo immaginare che ci fosse un problema di sicurezza che giustificasse la limitazione dell’accesso ai ricercatori”. In risposta, hanno chiesto: “E se qui ci fossero testimonianze che i pozzi siano stati avvelenati durante la Guerra d’Indipendenza?”. Ho risposto: “In tal caso, i responsabili dovrebbero essere assicurati alla giustizia”.

Il rifiuto di Blondheim portò a un incontro con un alto funzionario del ministero, ma questa volta l’atteggiamento che incontrò fu diverso e gli furono rivolte minacce esplicite. Alla fine, le due parti raggiunsero un accordo.

Benny Morris non è sorpreso dall’attività di Malmab. “Ne sono a conoscenza”, ha detto. “Non ufficialmente, nessuno mi ha informato, ma me ne sono reso conto quando ho scoperto che i documenti che avevo visto in passato erano ora sigillati. C’erano documenti provenienti dagli archivi dell’esercito israeliano che avevo usato per un articolo su Deir Yassin, e ora sono sigillati. Quando sono arrivato agli archivi, non mi è stato più permesso di vedere gli originali, e così ho annotato in una nota a piè di pagina [all’articolo] che gli Archivi di Stato mi avevano rifiutato l’accesso ai documenti che avevo pubblicato 15 anni prima.” »

Il caso Malmab è solo un esempio della lotta per l’accesso agli archivi in ​​Israele. Secondo il direttore esecutivo dell’Akevot Institute, Lior Yavne, “Gli archivi delle IDF, che sono i più grandi in Israele, sono quasi sigillati ermeticamente. Solo l’1% dei documenti è accessibile. Gli archivi dello Shin Bet, che contengono documenti di immensa importanza, sono completamente chiusi, tranne una manciata di essi”.

Shraga Peled, 91 anni, che lavorava nel servizio informazioni dell’Haganah al momento del massacro di Deir Yassin, ha riferito di essere stato inviato al villaggio con una macchina fotografica per documentare ciò che aveva visto. “Quando sono arrivato a Deir Yassin, la prima cosa che ho visto è stato un grande albero a cui era legato un giovane arabo. E quell’albero è stato bruciato in un incendio”. “Lo hanno legato e bruciato. L’ho fotografato”, racconta. I corpi venivano ammucchiati e bruciati, poi sepolti in modo che la Croce Rossa non li scoprisse: essendo donne e uomini anziani, non potevano essere presentati come combattenti. Peled afferma inoltre di aver fotografato da lontano quello che sembravano alcune decine di altri cadaveri recuperati da una cava adiacente al villaggio. Ha consegnato il filmato ai suoi superiori, afferma, e da allora non ha più visto le foto.

Probabilmente perché le foto fanno parte del materiale visivo che rimane nascosto a tutt’oggi negli archivi delle forze armate israeliane e del Ministero della Difesa, la cui pubblicazione lo Stato ne proibisce ancora la pubblicazione. Circa dieci anni fa, Neta Soshani, che stava girando un film sul massacro di Deir Yassin, aveva presentato una petizione all’Alta Corte di Giustizia.

Lo Stato ha spiegato che la pubblicazione delle immagini avrebbe potuto danneggiare le relazioni estere dello Stato e il “rispetto dovuto ai morti” (una visita al memoriale dell’Olocausto di Yad Vashem suggerirebbe che Israele nutra più rispetto per le vittime palestinesi che per le vittime ebree, che vengono spudoratamente esposte). Nel 2010, dopo aver visionato le foto, i giudici della Corte Suprema hanno respinto la richiesta, tenendo il materiale lontano dalla vista del pubblico.

Un rapporto redatto dall’ex archivista capo degli Archivi di Stato, Yaacov Lozowick, al momento del suo pensionamento, fa riferimento al controllo degli archivi del Ministero della Difesa. Scrive: “Una democrazia non dovrebbe nascondere informazioni con la scusa che potrebbero mettere in imbarazzo lo Stato. In pratica, le agenzie di sicurezza in Israele e, in una certa misura, le agenzie per le relazioni estere, interferiscono con il dibattito [pubblico]”.

I sostenitori dell’insabbiamento hanno avanzato diverse argomentazioni, osserva Lozowick: “Rivelare i fatti potrebbe fornire ai nostri nemici un ariete contro di noi e indebolire la determinazione dei nostri amici; rischia di agitare la popolazione araba; potrebbe indebolire le argomentazioni dello Stato in tribunale; e ciò che viene rivelato potrebbe essere interpretato come crimini di guerra israeliani”. Ma, continua, “tutte queste argomentazioni devono essere respinte. È un tentativo di nascondere parte della verità storica per costruirne una versione più comoda”.

Cosa dice Malmab

Yehiel Horev è stato il custode dei segreti dell’apparato di sicurezza per oltre vent’anni. Ha diretto il dipartimento di sicurezza del Ministero della Difesa dal 1986 al 2007 e, naturalmente, si è tenuto lontano dagli occhi del pubblico. A suo merito, ora ha accettato di parlare apertamente ad Haaretz del piano di censura degli archivi.

“Non ricordo quando è iniziato”, dice Horev, “ma so di averlo iniziato io. Se non sbaglio, è iniziato quando la gente voleva pubblicare documenti dell’archivio. Abbiamo dovuto istituire delle squadre per esaminare tutto il materiale che usciva.”

Haaretz: “Dalle conversazioni con i direttori degli archivi, è chiaro che buona parte dei documenti su cui è stata imposta la segretezza riguarda la Guerra d’Indipendenza. Occultare gli eventi del 1948 fa parte dell’obiettivo di Malmab?”

Horev: “Cosa si intende per “parte dell’obiettivo”? L’argomento viene esaminato in base a un approccio volto a determinare se possa danneggiare le relazioni estere di Israele e l’apparato di difesa. Questi sono i criteri. Credo che siano ancora rilevanti. Non c’è stata pace dal 1948. Potrei sbagliarmi, ma a mia conoscenza, il conflitto arabo-israeliano non è stato risolto. Quindi sì, potrebbero rimanere questioni problematiche.”

Alla domanda sul perché tali documenti possano essere problematici, Horev fa riferimento al potenziale di disordini tra i cittadini arabi del Paese. Dal suo punto di vista, ogni documento deve essere studiato attentamente e ogni caso deve essere deciso caso per caso, sulla base di un’analisi rischi-benefici.

Haaretz: “Se gli eventi del 1948 non fossero noti, potremmo effettivamente pensare che questo approccio sia forse quello giusto: varrebbe la pena porsi la domanda. Ma non lo è. Numerose testimonianze e studi sono stati pubblicati sulla storia del problema dei rifugiati. Che senso ha nascondere le cose?”

Horev: “La domanda è se sia dannoso o meno. È un argomento molto delicato. Non è stato pubblicato tutto sulla questione dei rifugiati, e ci sono resoconti di ogni tipo. Alcuni sostengono che non ci sia stata alcuna fuga, solo un’espulsione. Altri sostengono che ci sia stato un esodo volontario. Non è tutto bianco e nero. C’è una differenza tra la fuga volontaria e chi afferma di essere stato espulso con la forza. È un’altra storia. Non posso dire al momento se questo meriti la completa riservatezza, ma è un argomento che deve essere assolutamente discusso prima di decidere cosa pubblicare”.

Haaretz: “Per anni, il Ministero della Difesa ha imposto la riservatezza su un documento dettagliato che descrive le ragioni della partenza di coloro che sono diventati rifugiati. Benny Morris ha già pubblicato degli scritti su questo documento, quindi qual è la logica nel tenerlo nascosto?”

Horev: “Non ricordo il documento di cui parli, ma se Morris ne ha citato un estratto e il documento stesso non è accessibile, allora le sue affermazioni sono infondate. Se avesse detto: “Sì, ho il documento in mio possesso”, nessuno avrebbe potuto obiettare. Ma se dicesse che questo documento esiste da qualche parte senza essere in grado di produrlo, ciò che dice potrebbe essere vero o falso. Se il documento fosse già in mano pubblica e sigillato negli archivi, direi che è assurdo. D’altra parte, se qualcuno cita questo documento, ma rimane riservato, ciò fa una notevole differenza in termini di validità delle prove citate”.

Haaretz: “In questo caso, è il ricercatore più citato sulla questione dei rifugiati palestinesi.”

Horev: “Il fatto che tu lo chiami “ricercatore” non mi impressiona. Conosco accademici che dicono sciocchezze su argomenti che conosco a menadito. Quando lo Stato impone la riservatezza, il lavoro pubblicato viene indebolito perché i documenti in questione non sono in loro possesso”.

Haaretz: “Ma nascondere documenti citati nelle note a piè di pagina nei libri pubblicati non è forse un tentativo di chiudere a chiave la stalla dopo che i buoi sono scappati?”.

Horev: “Le ho fatto un esempio che dimostra che non è necessariamente così. Se qualcuno scrive che il cavallo è nero, se il cavallo non è fuori dalla stalla (e la stalla è chiusa a chiave), non si può dimostrare che sia davvero nero.”

Haaretz: “Secondo alcuni pareri legali, l’attività di Malmab negli archivi è illegale e non autorizzata.”

Horev: “Se so che un archivio contiene documenti classificati, ho l’autorità di ordinare alla polizia di andarci e confiscarli. Posso anche fare ricorso ai tribunali. Non ho bisogno del permesso dell’archivista. Se ci sono documenti classificati, ho l’autorità di agire. Guarda, questa è la politica attuale. I documenti non vengono sigillati senza motivo. Ma anche così, non ti dirò che tutto ciò che è sigillato è sigillato al 100% per una buona ragione.”

Il Ministero della Difesa ha rifiutato di rispondere a domande specifiche riguardanti i risultati di questa indagine, limitandosi alla seguente risposta: “Il direttore della sicurezza dell’Istituto di Difesa agisce in conformità con la sua responsabilità di proteggere i segreti di Stato e le sue risorse di sicurezza. Il Malmab non fornisce dettagli sulle sue modalità operative o sulle sue missioni”.

Fonte: Haaretz, 5 luglio 2019

Hagar Shezaf è una giornalista israeliana del quotidiano Haaretz. Ha ricevuto vari riconoscimenti per il suo coraggioso lavoro giornalistico. Ha rivelato recentemente gli attacchi dei coloni in Cisgiordania e gli abusi, le torture, gli assassinii di detenuti palestinesi nel carcere di Sde Teiman.

L’originale inglese si può leggere in

https://web.archive.org/web/20220511074244/https://www.haaretz.com/israel-news/.premium.MAGAZINE-how-israel-systematically-hides-evidence-of-1948-expulsion-of-arabs-1.7435103

Si raccomanda la sua visione anche per la pubblicazione di foto che mostrano la tragedia del popolo palestinese. Le foto sono importanti.

La traduzione francese dell’articolo si può leggere in

https://investigaction.net/massacres-viols-pillages-et-destruction-de-villages-entiers-comment-israel-dissimule-les-preuves-du-nettoyage-ethnique-de-1948/

 

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